La lungimiranza di Helmut Schmidt, il premier di sinistra che volle gli euromissili

12226418_10206793658913858_1975123561_nSocialista dotato di grande acutezza pragmatica, Helmut Schmdit fui tra i promotori dell’installazione, nel teatro europeo-occidentale, dei missili statunitensi IRBM Pershing-2 e di quelli Cruise da crociera BGM-109 Tomahawk, i cosiddetti “euromissili”.

Il precedente posizionamento, a ridosso della Cortina, dei vettori sovietici a medio-corto raggio SS-20, aveva dato vita ad una situazione potenzialmente pericolosa per gli europei e l’intero asse atlantico: non avendo, gli SS-20, la capacità di colpire il territorio americano, il timore di Schmidt era infatti quello di un “decoupling nucleare”, ovvero di una separazione tra le esigenze strategico-difensive europee e quelle statunitensi.

In buona sostanza, secondo il Cancelliere tedesco-occidentale, in caso di attacco delle forze del Patto di Varsavia al Vecchio Continente, Washington avrebbe difficilmente portato un “first strike” per difendere gli alleati contro un nemico che non la stava minacciando in modo diretto, rischiando così una rappresaglia nucleare olocaustica (“second strike”) sul proprio territorio.

L’installazione dei Pershing e dei Cruise “legò” invece europei e americani, costituendo una deterrenza credibile e razionale nei confronti del blocco sovietico.

La politica schmidtiana sugli eruomissili ebbe come conseguenza il distacco di una parte consistente della sinistra del suo partito (SPD) e il definitivo lancio dei Verdi tedeschi, ma si rivelò, sul lungo periodo e come ribadito dalle dinamiche storiche, opportuna e condivisibile.

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Lo scandalo Volkswagen e il “tanto in Germania pagheranno”. Perché una parte del popolo italiano difenderà sempre i tedeschi.

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“I rapporti tra Italia e Germania si caratterizzano da sempre per una certa dose di ambivalenza: dietro all’aspirazione alla conoscenza e all’intesa si celano sovente il sospetto e l’incomprensione. Gli italiani, per parte loro, hanno sempre avuto un atteggiamento di amore-odio per il mondo tedesco”

Questo, un estratto della prefazione al saggio “L’antigermanismo italiano: da Sedan a Versailles” dello storico ed accademico Federico Niglia.

L’affaire Volkswagen ha fatto emergere in tutta la sua impetuosità questa ambivalenza emotiva che caratterizza la nostra visione dei i tedeschi ed il nostro approcciarsi a loro, al loro mondo e al loro modo di essere e di vivere; da un lato, la soddisfazione nel vedere un Paese circonfuso da un’aura (immeritata) di mito proiettato nel fango dello scandalo, dall’altro (e qui vuole soffermarsi la mia breve analisi), la difesa coriacea, ostinata ed irrazionale della Germania.

L’aggettivo “irrazionale” non sarà scelto a caso, dal momento in cui , pur al cospetto dell’evidenza del fatto, il movimento d’opinione germanofilo sceglie di tenere la posizione, ripiegando sull’esaltazione di un (asserito) maggior rigore della giustizia teutonica che, a loro avviso, colpirà i responsabili e nel “tanto lo fanno tutti”.

A costoro, chi scrive vuole rammentare come la giustizia tedesca ed il sistema tedesco abbiano, ad esempio, molto spesso coperto i criminali nazisti, rifiutando di indagare nei loro confronti, di processarli e creando ostacoli nelle pratiche per le loro estradizioni.

Germania 1919 e Grecia 2015: un paragone non ha ragion d’essere. Tra metodo storiografico e analisi politica.

Big_fourTra le conseguenze della crisi ellenica, il regresso del dibattito pubblico a tematiche che sembravano definitivamente affidate alla memorialistica ed alla storiografia. Tra queste, oltre alla polemica sul mancato pagamento dei debiti di guerra tedeschi dopo la II Guerra Mondiale, il paragone, utilizzato come monito, tra la presunta umiliazione che le nazioni vincitrici avrebbero inflitto alla Germania con il Trattato di Versailles (1919) e l’attuale condotta delle istituzioni europee nei confronti di Atene.

Si tratta, ad ogni modo, di un accostamento improprio nel metodo come nel merito, destinato a cedere sotto l’azione del lavoro di scavo razionale.

Nel primo caso (il metodo) viene infatti omesso il criterio della contestualizzazione, cardine ed atomo primo dell’analisi storiografica; se, infatti, le clausole del 1919 possono sembrare severe all’osservatore attuale, non va dimenticato come l’imperialismo germanico (ed asburgico) fosse responsabile di quella che, fino ad allora, era stata la guerra di gran lunga più violenta e sanguinosa di ogni tempo (15 milioni di morti accertati), suscitando così nell’opinione pubblica democratica una riprovazione, forte e legittima, di cui oggi non possiamo avere l’esatta percezione.

Nel secondo caso (il merito), Atene non può disporre, per ragioni demografiche, geografiche, economiche e militari, della potenza per scatenare una rappresaglia revanscista paragonabile a quella del 1939.

La Grecia, inoltre, non è una nazione sconfitta ma semplicemente un debitore insolvente.

Un paragone del tutto irrazionale ed ingenuo, quindi, utilizzato più con finalità intimidatorie che come una consapevole e produttiva elaborazione politica e storica.

Né rigore teutonico né lassismo greco. La “terza via” che potrebbe salvare l’Europa.

de gasperi adenauer schuman cat reporter79La soluzione ai problemi europei dovrà passare da un approccio razionale che faccia tabula rasa di ogni emotività revanscista e rigetti il manicheismo dal sistema normativo della politica come del singolo.

Da qui, l’esigenza di formulare una via di mezzo tra il rigorismo, la cui conclusione non potrà né potrebbe essere “sine die”, e il solidarismo, aprioristico e ideologico, verso quelle mentalità gestionali d’impronta mediterranea inadeguate al confronto con l’economia moderna e incompatibili con le regole alla base di una proficua e giusta convivenza.

Una “terza via”, dunque, come soluzione unica per far tornare l’Europa alla Carta di Nizza ed allo spirito di Messina nonché ad una reale e solida capacità competitiva in grado di affrancare il Vecchio Continente dall’altra sponda dell’Oceano come dai giganti euroasiatici.

Da dove nasce la polemica sui debiti di guerra tedeschi: i pericoli per un’Europa che guarda indietro.

tedeschi grecia catreporter79Il trauma delle due guerre mondiali, apogeo nefasto di rivalità particolari ultramillenarie, e l’esigenza di creare un argine al blocco sovietico, avevano traghettato l’Europa occidentale verso un’ unità di intenti e politica assolutamente inedita nella storia del Vecchio Continente.

Ecco, ad esempio, la nascita della CEE e poi della UE, ed ecco che alla vecchia “raison d‘Etat” , stella polare delle cancellerie continentali fino al 1945, si sostituiva la “ragion di blocco”, espressione di una vera e propria “solidarietà di blocco” in virtù della quale i popoli tra Lisbona e Berlino Ovest si fondevano, nel segno di uno spirito collaborativo e solidaristico, in una sola anima contro un avversario comune e contro quegli egoismi nazionali che per troppo tempo avevano diviso la famiglia europea.

Oggi, la moneta unica e i problemi ad essa legati stanno risvegliando quel magma di rivendicazioni, rancori e pulsioni identitarie che sembravano definitivamente consegnati alla storia ed alla storiografia; le polemiche sul pagamento dei debiti tedeschi, in risposta all’austerity voluta e promossa da Berlino, la riesumazione di un dibattito contrappositivo sul 1914-1915 ed il 1939 e, addirittura, l’utilizzo delle politiche ottocentesche dei maggiori Paesi europei (Germania, Francia, Regno Unito e Italia) come cartina di tornasole per la lettura delle loro condotte attuali, sono segnali preoccupanti di una regressione, culturale, politica e sociale, a quel claustrofobismo degli stati-nazione già manifestatosi in tutta la sua devastante pericolosità.

Un turning point nelle linee di indirizzo di Bruxelles e Francoforte si staglia dunque come vitale e indispensabile, se si vorrà evitare la trasformazione della nuova e moderna comunità Europa in un campo di battaglia tra opposti populismi ed opposti particolarismi.

In gioco, oggi, c’è molto più dell’Euro.

L’imbarazzante Gerhard Schröder e l’irresponsabile Germania. Il caso North Stream.

gerhard_schroeder-938x535Da sempre un sostenitore del North Stream e delle politiche del Kremlino, l’ex Cancelliere tedesco, il socialdemocratico Gerhard Fritz Kurt Schröder, divenne presidente del progetto di costruzione del gasdotto (in cui Gazprom ha il ruolo maggiore) una volta rassegnate le dimissioni da capo del governo.

Alla mancanza di solidarismo europeista da parte di Berlino nella scelta energetica (privilegiando il canale russo si ridimensiona la concorrenza e si aumenta la dipendenza da Mosca), si aggiungono, nel caso in oggetto, l’opportunismo e il carrierismo del singolo, ovvero l’ex Cancelliere.

Questo dovrebbe suggerire più di una riflessione agli ultras della moralità politica tedesca.

“Durante la Guerra Fredda, i politici e i funzionari occidentali che prendevano soldi dal Kremlino rischiavano la disgrazia professionale o persino azioni giudiziarie. Oggi, gli affari sono affari” – Edward Lucas.

Tsipras e la Grecia tra rischi ed opportunità.

Quello che arriva dalle urne greche è un segnale, preciso e senza dubbio importante, rivolto sia all’attuale governace europea che ai movimenti d’opinione ostili a Francoforte e Bruxelles.

Nel primo caso, perché per la prima volta dallo scoppio della crisi (2008-2009) un Paese dell’Eurozona vede il trionfo di una forza dichiaratamente refrattaria all’attuale indirizzo rigorista, nel secondo perché la comunità maggiormente colpita dalla recessione ha scelto di affidarsi ad un partito che è, si, di rottura, ma europeista, lasciando ai margini le proposte di segno più estremistico (Alba Dorata e KKE).

Nel futuro prossimo di Alexīs Tsipras c’è tuttavia una sfida che si presenta come difficile, difficilissima, non soltanto per lo stato dei conti pubblici greci (che non consente l’attuazione delle promesse elettorali newdiliste di SYRIZA ) ma anche per la scarso peso di Atene nei consessi internazionali, fattore che impedisce al Paese di avere una forza contrattuale reale e vincolante (a differenza di Italia, Francia e Spagna).

Sembrano dunque esserci tutte le condizioni per fare del giovane ingegnere ateniese una “lame duck”, salvo il ricorso a coup de théâtre inattesi; uno di questi, potrebbe essere una sterzata strategica verso Oriente, con la vendita di quote del debito greco a Pechino (come fece il Portogallo nel 2010), una strada vantaggiosa anche per la Cina che ha la necessità vitale di uno sbocco sul Mediterraneo e che già dispone di una presenza massiccia sul Pireo.

Bruno Vespa, storiografo e sociologo improvvisato.L’arroganza dell’ignorante.

Nel suo nuovo libro “Italiani voltagabbana”, Bruno Vespa cita la prima Guerra Mondiale e il passaggio dalla Triplice Alleanza alla Triplice Intesa come una delle prove di una nostra (da lui supposta) incoerenza. Come già ricordato in altre occasioni, la Triplice Alleanza fu un patto a carattere difensivo, pertanto, aggredendo la Serbia, l’Austria-Ungheria venne meno al principio ispiratore della firma, sollevando quindi l’Italia da ogni obbligo nei suoi confronti.

Inoltre, il terzo partner, la Germania, affondò nel 1915 un nostro piroscafo, l’ ”Ancona” (massacrando anche i suoi naufraghi), compiendo in questo modo un atto di guerra in piena regola prima che fossero state aperte ufficialmente le ostilità tra Roma e Berlino.

Vespa si conferma dunque uno scrittore d’accatto, quello che gergo del disprezzo giornalistico e letterario viene definito un “pennivendolo”. Non pretende, l’osservatore attento, lo scibile di un Pierre Renouvin (che Vespa probabilmente scambierebbe per una mezza punta del Paris St.Germain) ma una conoscenza, minima e dignitosa, della materia.

Gli consigliamo un ritorno ai plastici della villetta di Garlasco.

Quando la parola ferisce più dell’austerità. L’arroganza dialettica merkeliana: un rischio per l’Europa del domani

A mettere a rischio la credibilità e l’esistenza stessa della moneta unica e delle istituzioni comunitarie così come le conosciamo oggi, non soltanto l’irrazionale politica rigorista voluta ed imposta dalle nazioni più “virtuose” ma anche la loro scelta comunicativa.

La battuta del Cancelliere tedesco sui paesi che “devono fare i compiti”, riferita al “non possumus” francese sul limite del 3% tra deficit e Pil, non è, infatti, che l’ultima di una lunga serie di incursioni al limite del buongusto e del buonsenso (cui si aggiungono le minacce, continue e reiterate, della BCE sulla volubilità dei mercati e della loro fiducia). Una simile pedanteria didascalica ed una simile arroganza non possono trovare spazio nel confronto diplomatico, come non possono trovare spazio in un circuito nato e sviluppato per essere unione di uomini, popoli e idee, prima ancora che di monete e mercati.

Penalizzata dal suo passato recente, la Germania è, inoltre, meno di ogni altro nella condizione di potersi concedere simili prepotenze; il rischio è e sarà, infatti, quello di riaprire ferite mai del tutto cicatrizzate (si veda la richiesta greca per il risarcimento dei danni causati dall’invasione nazista), dissipando così gli sforzi di decenni e facendo tornare la lancetta della storia pericolosamente indietro.

Le scienze storiche ci insegnano che nessuna acquisizione è irreversibile ed immodificabile; questo vale anche per l’Euro e la UE, e commetterebbe un errore grave colui il quale non voglia rendersene conto

Dal falso rapporto dell’ Ispettorato per l’immigrazione USA alla “bufala” del referendum svizzero per escludere gli italiani.Quando la propaganda migrazionista e quella razzista si danno la mano.

“Isola felice” nel cuore del Vecchio Continente in ragione della sua plurisecolare tradizione di neutralità, stabilità politica, continuità democratica e rispetto delle diversità etniche e culturali (pur tra numerose ombre e contraddizioni), la Confederazione Elvetica ha attirato ed attira tuttora un poderoso flusso migratorio da ogni angolo d’Europa, sia che si tratti di lavoratori “stanziali” che di “frontalieri”. Trattandosi di un Paese dalle limitatissime dimensioni territoriali, le sue capacità ricettive risultano ad ogni modo limitate, di qui l’esigenza di elaborare una soglia all’ingresso di manodopera estera, innanzitutto per quel che concerne i frontalieri, vera e propria spina nel fianco dell’economia di Berna e fonte di tensione politica e sociale nel paese. Analizzando nel dettaglio la mappatura dei lavoratori immigrati in terra svizzera, potremo notare come la maggior parte dei frontalieri provengano dalla Francia (74.000), la quale esporta a sua volta un totale di ben 179.000 pendolari, seguita dall’Italia con 40.000 unità, (circa 1/4 dei frontalieri totali dei “cugini” francesi ) e dalla “ricca” Germania, con 31.000 frontalieri (poco meno dell’Italia).

Il rigorismo imparziale del dato statistico ridimensiona quindi il “masscult” del referendum concepito per “colpire” la manodopera italiana, e il “refrain” dell’Italia “sud del nord”, benché innescante un certo impatto emotivo, risulterà svuotato di qualsiasi credibilità concettuale perché privo dell’aggancio all’elemento fattuale e documentale. La propaganda “migrazionista” ricorre in questo caso allo stratagemma della “semplificazione” per veicolare un messaggio inclusivo mirante alla demolizione dei contenuti più rozzamente identitari e razzisti attraverso il metodo della “somiglianza” e della “sovrapposizione” (gli italiani sarebbero visti come gli albanesi o i romeni della Svizzera).

Non è la prima volta che i supporters dell’accoglienza fanno uso della manomissione della notizia per puntellare le loro ragioni ; celebre, a questo proposito, il caso del rapporto (fasullo) dell’ Ispettorato per l’immigrazione USA , che voleva i nostri connazionali presentati come piccoli, puzzolenti ladri, violenti, ecc. In questo e per questo, non vi è differenza con i portabandiera del razzismo più truculento, con le loro “bufale” sul Ministro Cécile Kyenge.