Il perché della rinascita leghista dopo gli scandali. Partito “etico” e partito “identitario”.

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La rinascita della Lega Nord ha colto di sorpresa quanti, tra analisti ed osservatori, davano il Carroccio per spacciato dopo i crolli elettorali seguiti agli scandali che avevano interessato la classe dirigente bossiana.

A stupire era essenzialmente come un movimento che ha fatto della questione morale uno dei suoi cavalli di battaglia potesse tornare credibile e competitivo dopo aver tradito in modo tanto clamoroso i principi dell’etica politica. Queste analisi non tenevano conto della reale natura della Lega Nord, ovvero quella di partito “identitario” e non “etico”.

La questione morale è infatti sempre astata accessoria e consequenziale alle vere rivendicazioni del Carroccio , legata precipuamente alla fase localista-antimeridionalista ( a voler dimostrare l’insostenibilità della convivenza con il Sud) per poi ridimensionarsi ulteriormente nella transizione verso l’impianto odierno, nazionalista-xenofobo.

L’affermazione e il lancio mediatico di un personaggio carismatico, appartenente ad una nuova generazione dirigenziale e capace di riprendere con efficacia le tematiche del populismo identitario (lotta ai rom, all’immigrazione, ecc), è dunque stata sufficiente a ridare linfa al partito*.

Ben diverso il destino di un soggetto come l’IdV, partito etico che non seppe per questo reggere l’urto delle inchieste giudiziarie e degli scandali (in qualche caso montature mediatiche) che lo travolsero.

 

*Anche per questo, la Lega sembra resistere ai nuovi scandali.

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Perché Donald Trump ama gli ignoranti. Astuzia di una strategia.

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“Amo le persone ignoranti”; così il repubblicano Donald Trump, dopo la sua vittoria nei caucus del Nevada. La frase, ingenuamente catalogata come provocatoria, rientra invece nel quadro di una ben delineata strategia politica e comunicativa, tanto dirompente quanto sottile ed efficace.

Appropriandosi di uno degli stilemi classici delle destre populiste, il magnate cerca infatti di parlare all’ “uomo comune” (“everyman”) dell’ “uomo comune” con il linguaggio dell’ “uomo comune”. Trump si rivolge, nel caso di specie, alla “working class” (bianca) che, secondo la sua traiettoria concettuale, è “ignorante” perchè non ha tempo da perdere in vacui esercizi intellettuali, dovendo lavorare e produrre.

In questo modo, il candidato goppista rivolge un attacco anche alla sinistra, tradizionalmente bollata dalle destre populiste come lontana dal “Paese reale”.

La frase trumpiana sarà paragonabile alle cravatte allentate di Umberto Bossi o al “trash talking” grilliano e salviniano, tutti esempi di comunicazione concepita per suggerire alle masse vicinanza, pragmatismo e genuinità.

La strategia supponente della sinistra renziana.Dal vestito marrone di Occhetto alla birra di Bersani: una storia distorta

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A partire dalla sua concezione, la sinistra renziana si è appropriata, a scopo propagandistico, di quella diffusa mitologia del perdente riferita alle leadership di Via Sant’Andrea delle Fratte anteriori al dicembre 2013. Tale lettura (non di rado incapsulata in un abito retorico vacuamente canzonatorio) che vuole le vecchie dirigenze progressiste sempre sconfitte e strategicamente inadeguate, è da respingersi come superficiale ed immatura, in quanto basata solo ed esclusivamente su una panoramica di tipo materialistico (monca e frettolosa) del dato elettorale e sulla colpe, reali o o presunte, del centro sinistra dal 1993 al 2013.

Una ricognizione più approfondita sui 20 anni della parabola berlusconiana dimostrerà infatti come il centro-sinistra sia riuscito a portare a casa 3 risultati utili su 6 alle politiche (Renzi non si è ancora misurato in nessuna competizione di questo genere) in un Paese tradizionalmente conservatore e nonostante un avversario forte di un potere mediatico ed economico eccezionale, senza riscontro in nessuna realtà democratica come semi-democratica.

Nel caso di Occhetto, in particolare, fatto assurgere ad emblema dello sconfitto e dileggiato per il suo stile considerato incompatibile con le nuove traiettorie della comunicazione politica, sarà utile ricordare come il leader progressista riusci quasi a costringere Berlusconi al pareggio sebbene l’arcoriano potesse disporre a piene mani del proprio arsenale mediatico, mancando molti dei dispositivi di regolamentazione e controllo oggi presenti nonché una matura coscienza democratica a riguardo.

Il “canguro” e le bugie di Luigi Di Maio (e quelle di Gianroberto Casaleggio)

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Di Maio (M5S) : “Rivolgo un appello a Renzi. Noi sulle unioni civili ci siamo al cento per cento. Possiamo votare la legge, senza canguro, in due tre giorni”.

La replica di Monica Cirinnà, ideatrice della legge: “NO, non è vero. Non si potrebbe votare la legge in un giorno, né in due e neanche in tre.

La discussione con questo numero di emendamenti e di incognite sul voto segreto durerà settimane.

Volete un calcolo di quanto?

Per prima cosa, quanti sono gli emendamenti? Ci sono i 580, (non 500 come viene detto) sopravvissuti degli otre 5000 presentati inizialmente dalla Lega. Ad essi ne vanno aggiunti qualche altro centinaio provenienti da NCD, FI, e destre varie (oltre ai 40 residui del PD).

In tutto, circa circa 800 emendamenti che non si votano in due giorni. E chi lo afferma mente sapendo di mentire. Perché? Andiamo per punti:

• innanzitutto per via del loro contenuto, visto che come abbiamo detto specialmente quelli leghisti sono innanzitutto trappole, 500 trappole;

• per le condizioni in cui lavora l’Aula: senza relatore, senza pareri del Governo e, soprattutto, senza possibilità di contingentamento dei tempi, (massimo 2 minuti a intervento) e previsti solo per i decreti legislativi del governo, (non per un disegno di legge come quello per le Unioni civili in discussione);

• stando così le cose, per ogni emendamento al ddl, ogni gruppo potrebbe parlare 10 minuti. Siccome in parlamento ci sono 10 gruppi, il calcolo del tempo di discussione necessario per gli 800 emendamenti sarebbe di 1333 ore (10 min X 10 gruppi X 800 emendamenti / 60). Circa 166 giornate lavorative di 8 ore ciascuna: un anno di lavoro medio, se l’aula si riunisse tutti i giorni lavorativi occupandosi solo di questo ddl. Dato che potrebbe ridursi a 56 giorni, circa 2 mesi, ma il senato dovrebbe riunirsi in seduta permanente notte e giorno senza mai pause, nemmeno per mangiare o dormire.

• Se, invece, vogliamo guardare il problema da un’altra angolazione, per discutere tutti gli emendamenti in due giorni (l tempo sventolato in questi giorni come realmente necessario), ossia circa 11 ore di aula, il senato dovrebbe e votare un emendamento ogni 50 secondi circa (11H*60Min*60sec/800).”

Unioni Civili: il centro-sinistra e l’alibi a cinque stelle

Oggi come nel 2007, a mettere a rischio il varo di un dispositivo che tuteli le “unioni di fatto” sono la mancanza di un maggioranza reale al Senato da parte del centro-sinistra (anche includendo l’ala cattolica del PD) e la disomogeneità della sua comunità parlamentare.

Puntare il dito contro elementi esterni quali il M5S, forza di opposizione estranea alle piattaforme valoriali del socialismo e del socialismo democratico, è dunque un “modus operandi” tanto immaturo quanto intellettualmente disonesto.

 

Altro errore marchiano, l’incaponimento sulla non urgente “stepchild”, che ha offerto un pretesto ideale al centro-destra per delegittimare l’intero DDL.

George W.Bush esce allo scoperto e commette subito un errore

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L’ex Presidente degli Stati Uniti, George W. Bush, è sceso in campo per il fratello in South Carolina.

Questo, un estratto del discorso:

“Io so che le campagne elettorali sono stressanti e pesanti, ma è così che deve essere. Perchè essere presidenti è molto più duro che fare una campagna elettorale. E’ un periodo molto duro, e ci rendiamo conto che gli americani siano arrabbiati e frustrati. Ma non abbiamo bisogno di eleggere qualcuno allo Studio Ovale che sia lo specchio e che infiammi la nostra rabbia e la nostra frustrazione. Abbiamo bisogno di qualcuno che sia in grado di risolvere i problemi che causano la vostra rabbia e la vostra frustrazione. E questa persona è Jeb Bush”

Imperniato sulla frustrazione, sul pessimismo e sulla rabbia che affliggono il Paese, l’intervento, diretto contro il populismo trumpiano, ricorda molto da vicino la retorica utilizzata da Ronald Reagan nella sfida a Jimmy Carter del 1980. Tuttavia, l’origine di buona parte degli attuali problemi statunitensi proprio nell’ottennato di Bush jr, lo rende poco credibile e potenzialmente dannoso per la causa del governatore della Florida.

La ricercatrice, la ministra e la falsa emergenza sulla “fuga dei cervelli”

La vicenda della ricercatrice Roberta D’Alessandro, che dal suo spazio Facebook ha lanciato un “j’accuse” contro il Ministro della Pubblica Istruzione Stefania Giannini lamentando una presunta disattenzione delle nostre istituzioni verso i giovani laureati, ha fatto tornare alla ribalta il fenomeno del “brain drain”’, ovvero la “fuga dei cervelli” all’estero.

Tematica tra le più scottanti nel dibattito contemporaneo, il “brain drain” italiano non ha, tuttavia, quei contorni di emergenzialità che una certa pubblicistica vorrebbe conferirgli.

Analizzandolo più nel dettaglio, potremo infatti notare come l’Italia sia soltanto nona per numero di laureati “in fuga”, alle spalle di Australia, Belgio, Brasile, Canada, Danimarca, Francia, Germania e India (Paesi avanzati e con un elevato grado di istruzione). Osservando invece il numero totale degli emigranti europei, ci accorgeremo di essere alle spalle di Federazione Russa, Germania, Regno Unito, Francia e Spagna.

Sebbene piaghe quali l’ipertrofismo burocratico, il nepotismo e la scarsità dei fondi destinati alla ricerca e all’istruzione siano reali ed evidenti, è tuttavia necessario osservare il percorso dell’analisi razionale, per non cedere il passo ad un allarmismo che ha, sovente, un backround ideologico.

L’ ansia da informazione: un rischio per il nostro Paese.Secondo lo studioso americano Saul Wurman, l’eccesso quantitativo di informazioni mediatiche può dare origine ad un fenomeno, potenzialmente molto insidioso, detto “information anxiety” (ansia da informazione).

Bombardato da imput di ogni genere, il cittadino rischierà, secondo Wurman, di perdere il suo senso dell’orientamento cognitivo, ancor più se questi imput saranno di carattere sensazionalistico-allarmistico. Tra le nazioni maggiormente esposte all’ “information anxiety”, per il massmediologo Mauro De Vincentiis, l’Italia, Paese in stato perenne di emergenza emotiva ( a confermarlo, la capacità di sedimentazione di “fattoidi”* quali il “brain drain”, l’ “emergenza” suicidi, l’ “emergenza” criminalità, l’ “emergenza” immigrazione, ecc).

*nel gergo della comunicazione, il “fattoide” è un non-fatto, una “bufala” o una bufala parziale creata e manipolata ad arte da chi fa informazione

Perché è giusto parlare delle torture a Giulio Regeni, anche se può far male

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Il “fatto” e la storia

Compito del giornalista (come dello storico), quello di ricostruire e raccontare il “fatto”, secondo gli imperativi della razionalità scientifica, rendendolo il più possibile chiaro, comprensibile e aderente al contesto che lo ha generato e nel quale si è sviluppato.

I dettagli sulla morte di Giulio Regeni non rappresentano soltanto un “fatto” ( e non un “fattoide”), ma contribuiscono a spiegare e ad illustrare la fisionomia morale dei suoi carnefici e il loro “modus operandi”, militare come politico.

Benché lo shock emotivo per divulgazione di certi macabri particolari sia legittima e comprensibile, essi sono quindi legati in modo inestricabile e fondamentale alla vicenda del ragazzo e, più in generale, dell’Egitto in questo segmento storico.

Cirinnà e voto segreto: la miopia comunicativa della Chiesa

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In una società sempre più secolarizzata e in un momento storico come quello attuale, che vede la Chiesa nel mirino per gli scandali legati alla pedofilia ed allo stile di vita di alcuni suoi esponenti, incursioni plateali nella politica di uno Stato laico come quella di Bagnasco sul DDL Cirinnà rappresentano errori comunicativi tanto ingenui quanto controproducenti.

Un profilo più basso sarebbe senza dubbio una scelta migliore per l’altra sponda del Tevere.

La destra italiana e le contraddizioni del putinismo

Nonostante il crollo dell’URSS, la Russia ha mantenuto le sue partnership strategiche con i vecchi alleati dell’era sovietica, rinsaldandole con Vladimir Putin nell’ambito del progetto di rilancio della potenza russa voluto dall’ex ufficiale del KGB.

Questo apre una serie di interrogativi per quei settori della destra italiana (moderata come radicale) “convertiti” al putinismo in reazione alla presenza di Barack Obama alla Casa Bianca; dai rapporti con i paesi socialisti e comunisti superstiti (Cuba, Vietnam, Laos e, soprattutto, Corea del Nord, RPC e Venezuela) a quelli con le teocrazie islamiche (in primis l’Iran) all’amicizia con Israele e alla fedeltà alla NATO, i conservatori di casa nostra si trovano infatti alle prese con le contraddizioni sollevate dalla non facile posizione tra l’incudine e il martello rappresentata, da un lato, dal loro DNA storico e, dall’altro, dalle seduzioni di un potenza precipuamente anti-occidentale e vetero-staliniana.