Il progetto secessionista e la sua vulnerabilità.Il caso dei Padani che volevano parlare in Italiano

Il Primo Congresso Nazionale Ordinario della Lega Lombarda (Segrate, 8-10/12/1989) segnò la fine dell’idea bossiana di creare un idioma comune al progetto padano, da utilizzare in via ufficiale anche dal suo movimento, al posto dell’Italiano. Il leader di Cassano Magnago aveva pensato al “Lumbard”, ma la scelta si presentò da subito non priva di interrogativi e complicazioni: sarebbe stata accettata, quale lingua ufficiale, dai militanti delle altre regioni settentrionali e, in caso di secessione, dall’intero Nord ? Ancora: come avrebbero fatto, i “padani” appartenenti alle altre regioni, a comprendere il nuovo codice? E quale “Lombardo”, poi? Milanese? Bergamasco? Cremonese? Bresciano? Mantovano?

“Ma che lingua vuole che si parli, nella Repubblica del Nord? Naturalmente l’Italiano”, confidò Bossi ad un inviato. “Su questa storia dei dialetti abbiamo riflettuto. E siamo giunti alla conclusione che è meglio soprassedere. La Padania non ha prodotto una lingua comune, come la Catalogna. E allora non resta che l’Italiano, che non è poi da buttar via come lingua comune”.

Questa, la pietra tombale sui sogni e le speranze del popolo verde di fregiarsi di un marchio comunicativo che segnasse e segnalasse l’identità nordista e l’alterità leghista rispetto ai segmenti politici tradizionali (quest’ultimo, “must” e carburante primo delle forze a vocazione populistico-demagogica).

Perché un progetto separatista abbia fortuna, l’unità che secede deve poter contare su un’omogeneità, un’ organicità ed una solidità ad ampio raggio, dal punto di vista linguistico, culturale, etnico , sociale e storico, altrimenti il nuovo soggetto non sarà che una riproposizione, in scala ridotta, del precedente, con tutte le sue problematiche e le sue contraddizioni. Sicuramente imperfetto e perfettibile, lo stato unitario presidia e garantisce tuttavia un ecumenismo inclusivo ed asettico che le singole porzioni territoriali spesso non possono e non potrebbero assicurare, e l’esempio, a noi prossimo e vicino, del Regno delle Due Sicilie, ne è la conferma. Dilaniato da spinte centrifughe costanti e continue, il suo disomogeneo fascio di comparti locali non accettava (tra le altre cose) il dominio e la rappresentanza della corona di Napoli, senza tema di smentita meno universalizzante del progetto unitario e dell’ombrello storico romano, pur con tutto il suo corteo di errori, anomalie e fragilità..

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Il centro-destra e l’ “opposizione permantente”

L’impianto strategico ed autopromozionale del centro-destra italiano si fonda e snoda su una scelta di importanza decisiva ed irrinunciabile, sfuggita alla sosta analitica di buona parte degli osservatori ( politologi, massmediologi , sociologi della comunicazione, cronisti, ecc.). Si tratta della capacità che il segmento berlusconiano ha di porsi e proporsi come “permanent opposition ”, quando presiede il governo così come, più in generale, per quel che con concerne le ultime due decadi della vita politica nazionale (l’intera Seconda Repubblica) che hanno visto una preminenza temporale a Palazzo Chigi di FI-PdL ed alleati. In questo modo, il centro-destra riesce a “liberarsi” di “colpe” e responsabilità appartenenti e riconducibili alla propria gestione trasferendoli, nella percezione collettiva, ai suoi “competitors” (il centro-sinistra).

Il successo di questa operazione di “abiezione dislocata”, va ricondotto, innanzitutto, a due elementi: la potenza dell’arsenale mediatico (quindi persuasivo e propagandistico) berlsuconiano ed il portato storico recente-repubblicano, che ha visto la sinistra (nelle sua varie declinazioni e ramificazioni) ricoprire un ruolo senza dubbio più attivo ed assertivo rispetto ad una destra marginalizzata ed automarginalizzatasi che si sovrappone, nella cultura italiana, all’intero comparto moderato e conservatore.

Il “popolo stanco” e la rivoluzione. Esegesi di una mitologia.

Il 1989 e il caso romeno.

Il 18 dicembre del 1989, il noto settimanale romeno “ Scanteia Tineretului” pubblicò un articolo alquanto strano ed anomalo, dal titolo: “Qualche consiglio per chi in questi giorni è al mare”. Strano ed anomalo, perché la stagione era quella invernale, e il clima particolarmente rigido della Romania in quella fase dell’anno non era e non è sicuramente tale da consigliare escursioni tra le onde e le spiagge. Si trattava in realtà di un messaggio in codice, diretto a coloro i quali, di lì a pochi giorni, avrebbero posto in atto la “rivoluzione” nel Paese Socialista. Ecco la il testo del trafiletto e la sua decodificazione:

ARTICOLO

-Evitate l’esposizione continua e prolungata al sole. E’ preferibile iniziare con sedute di 10-15 minuti , prima da una parte e poi dall’altra . In questo modo vi assicurerete una bella e uniforme abbronzatura su tutto il corpo

-Non andate troppo al largo e , in caso di pericolo, non urlate. E’ inutile. La possibilità che qualcuno arrivi in vostro aiuto è minima

-Approfittate del frutto benefico dei raggi ultravioletti. Com’è noto, essi sono più efficaci tra le 5.30 e le 7.30. Lo raccomandiamo soprattutto alle persone più deboli.

-Se avete una natura sentimentale e amate i tramonti, le librerie sul lungomare vi offrono un vasto assortimento di cartoline che ritraggono questi spettacoli

-E ancora: se questi consigli vi lasciano perplessi, e siete esitanti, e quindi pensate sia meglio andare in montagna, significa che non amate la bellezza del mare.

DECODIFICAZIONE

-Evitate il contatto prolungato con le forze dell’ordine. All’inizio agite da soli e a brevi riprese di 10-15 minuti, ora in una zona ora nell’altra, per aumentare il panico e la confusione. In questo modo , la riuscita è garantita.

-Non agite troppo in massa. E comunque, in caso di pericolo, non urlate. Siete da soli. Nessuno accorrerà in vostro soccorso.

-Agite preferibilmente tra 5:50 e le 7.30. Le forze dell’ordine sono meno presenti, in queste ore. Si raccomanda di adescare le persone più ingenue, vi sarà più facile coinvolgerle nell’azione contro Ceauşescu.

-Di sera, col buio, spaccate le vetrine dei negozi. Le autorità entreranno nel panico e la gente riprenderà coraggio

-Se avete paura, è meglio che rinunciate, altrimenti mettere in pericolo gli altri, i quali sono invece decisi a mettere in atto azioni di commando in città.

Non si tratta di un singulto astorico e dietrologico; Bush e Gorbačëv avevano infatti deciso la fine del regime di Ceauşescu quello stesso dicembre, durante il loro summit di Malta , e il leader della Perestrojka dispose l’opzione del colpo di stato mascherato da insurrezione popolare. La storiografia e la pubblicistica divulgativa hanno consegnato il “middle must” della rivoluzione messa in atto da un popolo stanco e vessato da quasi un 50ennio di soprusi, ma non è e non fu così. Se è vero che i Romeni maltolleravano il regime, è tuttavia altrettanto vero che non ci fu nessuna rivolta di massa, almeno nella capitale e almeno così come la si è voluta e la si vuole presentare (a tutt’oggi, non è stato possibile risalire ai colpevoli che spararono sulla folla a Bucarest ). Fu invece un “golpe” in piena regola, organizzato meticolosamente, prima ( il vademecum pubblicato da “Scanteia Tineretului” ne è una delle prove) , con la compiacenza degli stessi fedelissimi del dittatore (Stanculescu, Milea, Vlad, Dascalescu ed altri) ed il supporto dei servizi segreti britannici, francesi, statunitensi, italiani e, ovviamente, sovietici (in quel 1989, l’afflusso dei cittadini sovietici in Romania con visto turistico, in realtà agenti del KGB, subì un vertiginosa impennata, arrivando ad una crescita del ben 118% rispetto agli anni precedenti).

Per avere successo ed affermarsi sul lungo periodo, una rivoluzione non può mai prescindere dal consenso del popolo (quantomeno di una sua porzione numericamente solida e significativa) ma non si tratta e non si è mai trattato di un gesto integramente spontaneo, come un certo romanticismo mitologico ed etereo vorrebbe bisbigliare ai pori ricezionali dei meno avveduti. C’è sempre una direzione criptica e criptata, una fascio di leve che agiscono in ottemperanza s schematismi ponderati ben definiti e definibili, non di rado addomesticati verso il tornaconto di qualcuno o di qualcosa.

“E io pago”. Le insidie del ventalismo.

L’importanza del finanziamento pubblico a stampa e partiti.

Presente, accettato e consolidato nella maggior parte degli stati, il finanziamento pubblico ai partiti è deve essere considerato un presidio democratico di irrinunciabile importanza e di insuperabile efficacia. Suo scopo è, infatti, quello di garantire l’aspetto ed il ruolo inclusivo e partecipativo della politica, impedendo che la dialettica e la prassi gestionale diventino terreno di caccia e patrimonio esclusivo di “lobbies” e potentati economici, così come avveniva fino al secolo XIXesimo e, in parte, fino alla prima metà del secolo XXesimo. Il dispositivo sta tuttavia diventando il catalizzatore di un un malessere generale e trasversale che parte da altrove, ovvero dall’arroganza miope di una classe politica abbarbicata su anacronistici privilegi da “Ancien Régime ” francese e decisa a non cedere posizioni e ad elargire concessioni sul piano del buongusto e della responsabilità istituzionale. Sta, ancora una volta, alle forze più equipaggiate sul piano della maturità civile, evitare che soggetti meno avveduti manipolino e plasmino il disappunto popolare, facendone un “ must” e un “middle must” da orientare e addomesticare verso soluzioni che danneggerebbero in modo definitivo la partecipazione corale e collettiva.

P.S: L’assunto è trasferibile e sovrapponibile anche sul tema del finanziamento alle testate giornalistiche; se è vero che l’irruzione di internet ha allargato le maglie della comunicazione, consentendo la nascita e lo sviluppo di realtà come il “citizen journalism” e di figure quali i “presumers” , è altrettanto vero che un buon servizio di informazione non potrà, mai ed in nessun caso, prescindere dalla voce economica. Una testata in carenza di fondi non sarà difatti in grado di essere pienamente operativa e funzionale, e questo ne manometterà e limiterà la funzione civica, sociale e culturale propria del giornalismo.

La forza della democrazia

La pubblicistica divulgativa e la saggistica accademica hanno relegato il cosiddetto “Golpe Borghese” ai margini della ricostruzione documentale e del fraseggio politico, incapsulandolo nei contorni di un bislacco rigurgito squadristico presto sfaldatosi per l’insipienza dei suoi organizzatori.

Ma non è così.

Ideato da un militare esperto e privo di scrupoli (l’ufficiale di Marina Junio Valerio Borghese), il “golpe” si presentava estremamente elaborato e ponderato, in ogni dettaglio e sfumatura (era già pronto il discorso che Borghese avrebbe dovuto tenere alla Nazione) e poteva contare sul placet ed il supporto degli Stati Uniti D’America, desiderosi di sbarazzarsi della testa di ponte filo-sovietica in Italia ( tra i punti cardine del piano c’era la messa al bando di qualsiasi partito o movimento di ispirazione comunista). La presenza nel Mediterraneo di alcune unità navali di Mosca, mandò tuttavia a monte la manovra dell’ex ufficiale repubblichino; l’URSS non avrebbe infatti mai tollerato che un Paese importante come l’Italia potesse cadere sotto i tentacoli di un regime dittatoriale di tipo reazionario e totalmente sbilanciato verso Washington, perché questo avrebbe comportato una violazione ed una manomissione degli equilibri nati con gli accordi del 1943. Nixon si vide pertanto costretto a ritirate l’appoggio statunitense al progetto, che si arenò.

Oggi non ci sono più ICBM sovietici pronti a partire dai silos siberiani per “difendere” posizioni, dinamiche e baricentri che (fortunatamente ) appartengono al passato, ma la coscienza democratica, sicuramente più forte ed evoluta rispetto ad allora, la maggiore forza politica della UE e, soprattutto, l’apparato militare della NATO, stroncherebbero qualsiasi tentativo di sabotaggio messo in atto contro la nostra democrazia, anche se l’esperimento golpistico dovesse vedere l’adesione di settori delle forze dell’ordine, dell’Esercito o delle istituzioni politiche.

I Forconi e le proteste diverse.

“Balbum melius balbi verba cognoscere”

All’Università “La Sapienza” di Roma, dove si sta svolgendo la Conferenza Nazionale sulla “Green Economy”, le forze dell’ordine hanno caricato alcuni giovani che (in modo violento ed antidemocratico) stavano manifestando contro il Governo. Contestualmente, i “Forconi” si vedono, “de facto”, liberi di paralizzare l’economia del Paese e di minacciare e colpire, anche fisicamente, i cittadini e i lavoratori che rifiutano di soggiacere ai loro diktat.

Coincidenza?

Strategia?

Dietrologia?

Doppiopesismo?

E in caso affermativo (doppiopesismo), perché ?

Continguità ideologica?

Oppure..

Qualche giorno fa, il segretario generale del Siulp ha rivolto un duro attacco all’esecutivo Letta, spingendosi a travisare, volutamente, il gesto del casco, annunciandolo come una condivisione, da parte di poliziotti che si sentirebbero vessati ed oppressi dalle tasse, delle idee dei “forconiani”. In effetti, sul tavolo del Governo giacciono molti interrogativi e molte richieste, da parte dei sindacati di PS, in merito ai tagli ed alla spesa stanziata per le forze dell’ordine.

Se si sta verificando o si è verificata una differenza di trattamento tra i due segmenti politici in piazza, questa potrebbe spiegarsi come un tentativo di pressione attuato nei confronti del Governo da qualcuno per ottenere in cambio qualcosa?

Sicuramente, no. Dopotutto, alla “Sapienza” c’erano alcune alte cariche istituzionali da proteggere. Nelle piazze pugliesi, no.

Ma le manganellate al “Popolo delle carriole”, allora? A chi potevano far male, gli aquilani terremotati? Le vedove, gli orfani..

No, sicuramente no……

La colonna antirenziana e la sua Ruota della Sfortuna.Errori e vulnerabilità di una strategia

Uno dei più importanti esperti italiani di politica americana, il Prof.Lucconi, individua nello scandalo Watergate l’inizio di una nuova era, nella politica a stelle e strisce, nella quale l’aspetto scandalistico sarebbe diventato il perno della strategia di delegittimazione dell’avversario,da parte delle varie forze partitiche. Se da un lato la tesi può sembrare debole ed approssimativa perché fonde, confonde e mescola episodi di assoluta gravità come il Watergate, gli scandali Iran-Contra, Clarence Thomas, Gary. A. Condit, ecc, a banalità come i casi Jim Wright, Clinton-Lewinsky o John H. Sununu, dall’altro mette allo scoperto quella che è diventata, senza tema di smentita, una nuova e del tutto inedita realtà nel linguaggio e nella politica made in USA.

Secondo Lucconi, questo mutamento sarebbe dovuto all’esigenza di intercettare, mediante tematiche ad elevato impatto emotivo ed immaginifico, l’interesse e l’attenzione dell’opinione pubblica, sempre più disaffezionata alla politica, risvegliando di conseguenza anche il dissenso, in modo da poterlo convogliare all’indirizzo dell’avversario. Ci sono però due aspetti, che l’analisi di Lucconi non prende in esame: lo “scadimento” dell’offerta mediatico-giornalistica, sopraggiunto con l’ingresso dell’ “infotainment” e la debolezza argomentativa del propagandista che fa ricorso alla scorciatoia scandalistica o gossippara, condizioni che fanno di questo nuovo orientamento dialettico e teorico un “must” inevitabilmente internazionale ed internazionalizzato.

Osservando i recenti attacchi rivolti a Matteo Renzi dai democratici più ostili alla sua leadership, vedremo un ricorso, massiccio e martellante, al ricordo della sua apparizione alla “Ruota della Fortuna” o, ancora, ad “Amici” di Maria De Filippi; si tratta di un’ opzione che si colloca al di là del perimetro del fraseggio politico per andarsi a posare nella capziosità denigratoria più fragile ed ingenua. L’obiettivo, nelle intenzioni di chi sterza verso questo genere di scelta, è infatti quello di incapsulare il borgomastro fiorentino nell’immagine, poco edificante ( se vista da sinistra) del “tycoon” di berlusconiana memoria (la ricerca di una facile ed immediato guadagno e l’adesione ai format televisivi di Cologno Monzese). La sterilità e il fallimento di questo tipo di soluzioni concettuali e tattiche, ovunque esse siano state proposte (oltreoceano e , in Italia, contro Berlusconi) dovrebbe tuttavia suggerire alla porzione antirenziana della sinistra italiana una variazione tattica subitanea e radicale.

Smacchiando le Jaguar. La “doppia morale” della destra forconiana

Gli avversari della sinistra “movimentista” hanno storicamente impostato la loro scelta argomentativa su due direttrici, una di tipo politico e l’altra di tipo etico e morale.

Nel primo caso, il tentativo era quello di evidenziare un’ipotetica mancanza di progettualità extra-rivoluzionaria, contestuale a quello che si voleva come un asettico velleitarismo dottrinale (in realtà, il “materialismo storico” ha una traiettoria speculativa estremamente definita e definibile). Nel secondo caso, invece, i detrattori cercavano di far emergere presunte discrepanze tra il portato ideologico dei manifestanti e la loro condizione sociale, economica e le loro abitudini, viste e presentate come incompatibili con il “byt” leniniano-marxiano formulato sull’essenzialismo. Si assisteva, quindi, alla comparsa di due dispositivi fondamentali della strategia della persuasione, ovvero la “proiezione o analogia” e l’ “etichettamento” (i manifestanti erano associati ad immagini e “cliché” impopolari come “radical chic”, snob, ecc).

Di notevole interesse da un punto di vista politico, sociale e culturale, la reazione che i “Forconi” ed i loro “supporters” (collocabili, in via prevalente, a destra), stanno avendo nei confronti delle accuse che li stanno interessando, le stesse che rivolgevano alla sinistra di piazza. Esattamente come per i loro avversari storici, l’impianto difensivo si sta imperniando e snodando sull’accusa di qualunquismo, demagogia e debolezza concettuale (il caso Jaguar, il passato berlusconiano di alcuni leader, ecc). Ecco emergere il criterio della “doppia morale”, frequente nel linguaggio della politica così come nella sua istologia culturale.

La recriminazione forconiana, del tutto legittima (quando non violenta) e sicuramente condivisibile in molte delle sue declinazioni, presenta tuttavia un “vulnus” di fondo che non può essere trascurato; si tratta di una protesta di tipo politico e non popolare, essenzialmente organizzata da destra per rovesciare un Premier di centro-sinistra. L’assenza di insegne partitiche contestuale alla presenza dei tricolori, vuol essere un tentativo di mimetizzazione grazie ad un rivestimento inclusivo ed ecumenico che, però, paga pegno ad una minima sosta analitica.

Eversione e politici: una “partnership” pericolosa

L’ “endorsement” di Berlusconi, Meloni e Grillo nei confronti dei “Forconi” e delle loro iniziative ai margini della legalità, non deve stupire, disorientare né cogliere impreparati.

Al di là del duropurismo etico, politico e ideologico del loro rivestimento promozionale, infatti, micro-gruppi come quelli che stanno animando i sommovimenti forconiani (in questo caso collocabili e collocati nelle porzioni più estreme e radicali della destra nazionale) usufruiscono, da sempre, di sponsor istituzionali, partiti maggiori ai quali delegano la loro rappresentanza nelle assise locali e nazionali convogliando e trasferendo, “sottobanco”, voti e consensi al loro indirizzo. Non è del resto un caso che i “Forconi”, così come gli autotrasportatori, abbiano sempre agito quando a Palazzo Chigi non c’era il centro-destra berlsuconiano (2007, 2012, 2013).

La situazione si presenta tuttavia assolutamente eccezionale e inedita per le turbolente sacche di anarchismo che si stanno venendo a creare in tutto il Paese, e qualora dovesse sfuggire di mano, il pur micidiale arsenale di Cologno Monzese o l’istrionica abilità persausiva da palcoscenico portrebbero non essere più sufficienti

Attenti, i “Forconi”, all’ira dei mansueti.

Ezio Pace e gli altri che non hanno avuto “culo”

Si chiamava Ezio Pace, morto a 19 anni in Via XX settembre 79, a L’Aquila. Giovane promessa del tennis, i Vigili del fuoco lo hanno trovato abbracciato alle sue racchette e al suo computer portatile, nel tentativo di cercare protezione dall’Orco che lo stava terrorizzando e uccidendo. Caro Lisi, se ne ricordi. E si vergogni.

 

ezio pace

‘L’Aquila città aperta’