Dopo il raid d’inizio mese a Damasco, una reazione iraniana era prevista e prevedibile perché inevitabile. Conscia della pericolosità di qualsiasi atto ritorsivo che potesse portare ad uno scontro militare su larga scala contro una grande potenza nucleare (e largamente superiore anche sotto il profilo convenzionale), Teheran ha quindi scelto una risposta dimostrativa, sostanzialmente innocua, addirittura annunciata. Una forma di propaganda “interna”, più nello specifico, rivolta innanzitutto alla propria opinione pubblica ed a quelle della porzione di mondo arabo e musulmano che guardano alla teocrazia del Golfo come ad un (nuovo) punto di riferimento.
Se non è irrazionale che l’uomo “comune”, l’ “everyman”, il quale non sempre padroneggia certe dinamiche della storia, della geopolitica e della comunicazione, si metta in allarme, preoccupato per escalation distruttive prima locali e poi globali (i puntuali ed immancabili riferimenti all’estate 1914), non è invece accettabile che ad alimentare certi timori siano i professionisti dell’informazione, che anche se posizionati ideologicamente e politicamente sono tenuti a seguire ben precisi e rigorosi indirizzi deontologici.
Restando agli agit-prop, fa sorridere (volendo ricorrere ad un’espressione indulgente) un Corradino Mineo, quando annuncia adrenalinico e trionfante il presunto successo bellico iraniano (“ha dimostrato stanotte di poter rispondere”, “ha mandato una pioggia di droni e missili su Israele ma non ha affondato il colpo”) e mette in guardia circa una presunta “rete di solidarietà atomica” composta da Russia e Cina, che a tutto ambiscono fuorché a scomparire dalle mappe sacrificandosi per gli ayatollah.