Appunti di comunicazione – Il pizzicotto iraniano, la solita estate 1914 e le responsabilità dell’informazione



Dopo il raid d’inizio mese a Damasco, una reazione iraniana era prevista e prevedibile perché  inevitabile. Conscia della pericolosità di qualsiasi atto ritorsivo che potesse portare ad uno scontro militare su larga scala contro una grande potenza  nucleare (e largamente superiore anche sotto il profilo convenzionale), Teheran ha quindi scelto una risposta dimostrativa, sostanzialmente innocua, addirittura annunciata. Una forma di propaganda “interna”, più nello specifico, rivolta innanzitutto alla propria opinione pubblica ed a quelle della porzione di mondo arabo e musulmano che guardano alla teocrazia del Golfo come ad un (nuovo) punto di riferimento.

Se non è irrazionale che l’uomo “comune”, l’ “everyman”, il quale non sempre padroneggia certe dinamiche della storia, della geopolitica e della comunicazione, si metta in allarme, preoccupato per escalation distruttive prima locali e poi globali (i puntuali ed immancabili riferimenti all’estate 1914), non è invece accettabile che ad alimentare certi timori siano i professionisti dell’informazione, che anche se posizionati ideologicamente e politicamente sono tenuti a seguire ben precisi e rigorosi indirizzi deontologici.



Restando agli agit-prop, fa sorridere (volendo ricorrere ad un’espressione indulgente) un Corradino Mineo, quando annuncia adrenalinico e trionfante il presunto successo bellico iraniano (“ha dimostrato stanotte di poter rispondere”, “ha mandato una pioggia di droni e missili su Israele ma non ha affondato il colpo”) e mette in guardia circa una presunta “rete di solidarietà atomica” composta da Russia e Cina, che a tutto ambiscono fuorché  a scomparire dalle mappe sacrificandosi per gli ayatollah.

Appunti di comunicazione- Il dramma ignorato della vigoressia e un approfondimento utile



Intervistata da Caterina Balivo sulle condotte disfunzionali legate all’alimentazione ed alla percezione del proprio sé esteriore, Francesca Fialdini ha menzionato anche la vigoressia. Si è trattato di un momento prezioso di buona ed utile comunicazione poiché la vigoressia, cioè la convinzione di non essere abbastanza muscolosi ed atletici, è alla base di numerose e dolorose problematiche psicologiche spesso con esiti drammatici; percependosi fisicamente inadeguato, il soggetto può infatti ricorrere a soluzioni e scorciatoie quali steroidi, anabolizzanti ed allenamento estremo, andando incontro a danni irreparabili se non fatali (tumori, infarti, mutazioni ormonali, ingrossamento degli organi, ecc).



Una condizione di cui si parla purtroppo poco (escluse lodevoli eccezioni come questa), forse perché va ad interessare in prevalenza gli uomini e per una certa superficialità di fondo nell’accostarsi al mondo delle palestre e del bodybuilding.

Vigoressia: l’ossessione per il fisico perfetto

Appunti di comunicazione – La propaganda e lo “svantaggio” dell’Occidente



Se in Occidente la propaganda russa è di fatto libera di filtrare, senza limiti e condizionamenti ma anzi amplificata dai numerosi canali di appoggio di Mosca, non è così a parti invertite. Questo senza dimenticare che, essendo società “aperte”, plurali e democratiche, le occidentali non hanno una propaganda univoca, standardizzata ed “ufficiale”.

Per il Kremlino è dunque più facile destabilizzare l’ opinione pubblica avversaria, ad esempio con la ciclica minaccia nucleare intervenendo con la “grassroots propaganda” (dirett al “grass”, il “prato”, appunto il cittadino comune), bloccando e manomettendo eventuali contrattacchi.

In questa fase della “guerra grigia” in atto (gray zone warfare), la Russia è insomma favorita e avvantaggiata, benché non si tratti di un aspetto realmente decisivo.

Appunti di comunicazione”Io c’ero”


L’espressione “flashbulb memories” indica una tipologia di ricordo personale rimasto impresso nella memoria in quanto collegato ad un evento di grande rilevanza per il mondo o la nostra comunità.
Eccezionali meccanismi di “codifica” in entrata come potenziali stimoli per “falsi ricordi”, consentono comunque di rafforzare il sentimento di appartenenza alla nostra comunità ed alla sua storia (“io c’ero”). Nel ricordo, falso come autentico, gioca infatti un ruolo d’importanza fondamentale la sfera emozionale

Appunti di comunicazione – “Se vuoi, puoi!”: non esattamente


Se da bambino il soggetto X non sarà stato incoraggiato, dalla famiglia o dai caregiver, nei suoi “tentativi di padronanza” (fare da solo), svilupperà bisogno di approvazione, ansia, diminuirà la sua percezione interna di competenza (da qui l’ “evitamento” della prova). Questo porta, in senso più ampio, alla cosiddetta “visione entitaria/statica”*: “ho paura di fallire”, “non sono abbastanza bravo”, “se faccio un grande sforzo e poi fallisco nel compito, dimostrerò di non essere capace, quindi meglio dire che non sono riuscito perché non mi sono nemmeno impegnato, non ho nemmeno provato”, ecc. Ad una valutazione fatta sulla persona, per cui se la prova andrà male, X darà solo la colpa a sé stesso (Dweck) e sarà incentrato sui “obiettivi di prestazione” e non di “padronanza”. Ancora, tutto questo potrà sfociare nella cosiddetta “impotenza appresa”; resa completa, in partenza, talvolta alla base di gravi stati depressivi (Seligman).
La motivazione e le sue dinamiche, è bene ricordarlo, fanno capo anche a fattori di tipo biologico.
Il vulnus negli approcci di molti motivatori, mental coach, ecc, è proprio non tener conto (non conoscere?) del potenziale substrato che può “bloccare” un individuo. Non basta, insomma, dire “devi provarci” o “devi credere in te stesso”, ma bisogna agite sulla cause della crisi intesa come stasi, come paura.
*l’opposto è la visione “incrementale” (obiettivi di padronanza”

Appunti di comunicazione – Non solo Giulia Cecchettin: perché può essere sbagliato colpevolizzare le “crocerossine” (e le loro famiglie)



Il Sistema Motivazionale Interpersonale (SMI) dell’ “accudimento”, reciproco a quello dell’ “attaccamento”, si attiva quando abbiamo di fronte un soggetto che percepiamo come più fragile, in difficoltà, bisognoso di aiuto. Se impossibilitati ad assisterlo, proveremo ansia, tenerezza protettiva e senso di colpa, emozioni che giocano un ruolo intermedio tra la presa d’atto della situazione e il comportamento per raggiungere l’obiettivo, nel caso di specie il soccorso*.

Non si tratta, è bene evidenziarlo, di teorizzazioni e ipotesi astratte, bensì di meccanismi psicobiologici facenti capo al sistema limbico (amigdala e giro del cingolo).

Appellarsi alle ragazze affinché non facciano da “crocerossine” a individui problematici e narcisisti**, è quindi un approccio scorretto, superficiale e sostanzialmente privo di utilità, com’è sbagliato colpevolizzare le famiglie delle vittime (anch’esse inconsapevoli di certe dinamiche complesse), imputando loro disattenzioni e mancanze di iniziativa. Le istituzioni dovrebbero invece, tramite la scuola, “educare” i giovani a riconoscere certi segnali di allarme nell’altro e, nel caso, a chiedere aiuto.

*Bowlby-Liotti

**la cosa riguarda anche gli uomini, dato che anche loro possono diventare vittime di relazioni “tossiche” e pericolose

Appunti di comunicazione – L’artista “pazzo”, tra mito e realtà



Il cliché dell’intellettuale o dell’artista “pazzo” non è, a ben vedere, qualcosa di infondato e “naïf” come si potrebbe, di primo acchito, pensare. Secondo il Prof. Hans Eysenck esisterebbe infatti un legame tra psicoticismo (basso senso di colpa, bassa capacità di gestire le proprie emozioni, scarsa empatia, ecc) e creatività.

Più nel dettaglio, lo psicopatico sarebbe caratterizzato dal pensiero “overinclusive”, che tende ad inglobare anche dettagli irrilevanti nel “problem solving” (quindi potenzialmente creativi ma pure “bizzarri”). La teoria viene però negata dai sostenitori dell’inibizione cognitiva che distingue il creativo, cioè la predisposizione ad eliminare i dettagli superflui nella soluzione dei problemi e nell’atto del creare (aspetto peraltro connesso al “pensiero divergente”, tratto cardine della creatività).

Ulteriori studi evidenzierebbero tuttavia come lo psicoticismo sia legato al pensiero divergente, alla “fluenza” e all’ “originalità” (quantità e originalità di idee e progetti) benché dopo una certa soglia inibirebbe l’estro. Le persone con un forte disturbo psicopatoligico hanno inoltre scarso controllo sulle proprie idee e spesso non sono nemmeno consapevoli di produrle e di produrre arte (un possibile esempio sarebbe l’Art Brut).

Appunti di comunicazione – Il “tabù” delle false accuse e le evidenze scientifiche a sostegno



« Caro XX
perché ti scrivo questa lettera: a dire il vero, papà, ricordo quasi tutto quello che mi hai fatto. Che tu lo ricordi o no, non ha importanza, l’importante è che io ricordi. L’altro giorno ho avuto questa esperienza di regressione fino a quando ero bambina. Stavo urlando e piangendo ed ero assolutamente isterica. Avevo paura che saresti venuto a prendermi e a torturarmi. Questo è ciò che l’abuso sessuale rappresenta per un bambino: la peggiore tortura… Avevo bisogno della tua protezione, guida e comprensione. Invece ho ricevuto odio, violazione, umiliazione e abuso. Non devo perdonarti…non ti do più l’onore di essere mio padre.
“C” »

Questa lettera, dal contenuto drammatico e terribile, fu scritta da una figlia al proprio padre. La donna aveva creduto, a seguito di alcune sedute con lo psicanalista, di aver “recuperato” i ricordi delle violenze subite dal genitore. Da qui, anche la decisione di citare in giudizio l’uomo. La “False Memory Sindrome Foundation”, associazione statunitense composta da psicologi, medici e avvocati che si occupa di fornire assistenza alle persone colpite da false accuse dovute a falsi ricordi, riuscì tuttavia a dimostrare l’infondatezza della denuncia, facendo assolvere l’uomo.

In un’indagine del 2001, il “Death Penalty Information Center” aveva invece rilevato come il grosso delle condanne a morte sulla base di errori giudiziari fosse dovuta, ancora, ad errori di testimonianza determinati da false accuse scaturite da falsi ricordi. Entrando più nel dettaglio, “The Innoncent Project” osservò come le false accuse da falsi ricordi colpiscano, nella maggior parte dei casi, cittadini afro-americani (negli USA).

Come abbiamo visto, la vittima o il testimone possono mentire non per malafede ma, appunto, perché convinti di dire la verità e il giusto.

Un falso ricordo può essere “spontaneo” (Roediger e McDermott) e “indotto” (Loftus) o il prodotto di “false aspettative” (cliché ) mentre le giurie possono, se ben manipolate dagli avvocati e dagli investigatori, cadere nella bias della “sicurezza del testimone”, ovvero credere al testimone quando egli si dimostra sicuro di ciò che afferma.

Le false accuse, pure in ambito sessuale, non sono, insomma, una mistificazione misogina e patriarcale, come vorrebbe suggerire un certo movimento d’opinione, ma una drammatica realtà con solidissime evidenze scientifiche.

La comunicazione irresponsabile – La cara, vecchia, Terza Guerra Mondiale



Durante l’ultimo (e in corso) conflitto arabo-israeliano, l’Iran si è limitato a manifestazioni di solidarietà verso Ḥamās senza tuttavia spingersi oltre ed anzi mostrando più volte irritazione verso l’ “alleato”. L’ipotesi di un attacco diretto e frontale ad Israele da parte di Teheran, usando come “casus belli” l’attentato di oggi (rivendicato dall’ISIS), è anche per questo del tutto irrazionale, com’è irrazionale credere che qualcuno, soprattutto una potenza non-nucleare, possa realmente voler muovere guerra ad una potenza nucleare.



Chi di nuovo paventa imminenti scenari apocalittici, e di nuovo una Terza Guerra Mondiale, è poco attrezzato per l’analisi geopolitica o cerca di spaventare il proprio bersaglio, di destabilizzarlo nel quadro di un disegno tattico o strategico preciso.

Sembrano i TDG, solo che fanno più danni.

Appunti di comunicazione – L’ambasciatore improvvisato

Nel 2001 un informatico italo-americano di nome Jonah Peretti inviò provocatoriamente alla NIKE la richiesta di personalizzare le proprie scarpe con la scritta “Sweatsop”*, termine che indica un luogo di lavoro caratterizzato da condizioni povere e socialmente inaccettabili per il dipendente. L’allusione era alle fabbriche della multinazionale nei paesi del Secondo e Terzo Mondo.

Il vivacissimo scambio di mail che ne derivò (“potete mandarmi un paio di scarpe del colore della pelle della bimba vietnamita di dieci anni che ha lavorato per farle?”) fu reso virale da una catena partita dagli amici dell’informatico, che nel giro di poche settimane si ritrovò famoso a livello globale e a dibattere sui media dei diritti dei lavoratori. Lui, senza alcuna competenza ed esperienza a riguardo, come infatti ebbe a riconoscere per primo.

L’aneddoto è emblematico non solo dei meccanismi della viralità ma pure dell’informazione, specialmente al giorno d’oggi; più del messaggio, in sé, conta chi lo veicola. Anche il caso di Gino ed Elena Cecchettin può essere per certi versi paragonabile a quello di Peretti.

*la NIKE aveva lanciato un sito tramite il quale i clienti avrebbero potuto scegliere colore e scritta delle loro scarpe