Michail Gorbačëv e i vantaggi di una sconfitta: una chiave di lettura per il futuro?

Riconoscendo l’errore di aver invaso l’Afghanistan e ritirando le truppe, Michail Gorbačëv perse, sì, la guerra e la credibilità davanti al regime collaborazionista del PDPA , ma sull’altro piatto della bilancia ottenne vantaggi ben più importanti e pesanti.

Più nel dettaglio:

-risolse il problema dell’emorragia di uomini (oltre 1 milione), mezzi e denaro derivata dal conflitto (a tal proposito non andrà dimenticata la questione, spinosissima, del mancato o inefficace reinserimento dei reduci, spesso respinti dalla società)

-rilanciò la credibilità internazionale dell’URSS

-fece diminuire la diffidenza dei paesi vicini e del Terzo Mondo, ma più in generale della comunità mondiale, verso Mosca

Un passo non troppo difficile per l’uomo della perestrojka, se si considera che non era stato lui ad iniziare la guerra ma Leonid Brežnev.

Non è quindi irrazionale ipotizzare che un successore di Putin farà altrettanto con l’Ucraina, qualora il confronto militare con Kiev dovesse protrarsi a lungo, impantanando i russi come 40 anni fa.

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Bo e Luke alla conquista dei Mari del Sud

Alla fine degli anni ’90 del secolo scorso il parlamento delle Isole di Yap, in Micronesia, mise il veto ai programmi tv statunitensi* trasmessi dalla vicina Guåhan (territorio non incorporato degli USA). Secondo i nazionalisti polinesiani, micronesiani e melanesiani, Washington usava ed usa infatti i suoi programmi televisivi ed il suo cinema, ma anche i suoi prodotti commerciali (i più scadenti, in modo che fossero e siano facilmente acquistabili), così da assimilare e “colonizzare” sul piano culturale gli indigeni.

In particolare i Peace Corps, la nota organizzazione di giovani volontari pensata da Hubert Humphrey e John Kennedy per realizzare programmi educativi e di sostegno nei paesi del Terzo e Quarto Mondo, era ed è, secondo loro, un ariete di sfondamento per una contaminazione culturale filo-americana.

* soprattutto alla serie “Hazzard” (The Dukes of Hazzard), accusata di mitizzare i criminali e ridicolizzare le forze dell’ordine e le istituzioni pubbliche

Perché la Cina non sparerà (e non può sparare) nemmeno un colpo di cerbottana

A Taiwan-Formosa esiste, da sempre, una rappresentanza permanente degli Stati Uniti, sebbene “informale”, che ha anche lo scopo di dissuadere Pechino dal compiere azioni militari contro l’isola. La visita di Pelosi non è dunque qualcosa di unico ed eccezionale.

La sproporzione, soprattutto a livello di armamenti nucleari, tra la Cina e il blocco USA-NATO (circa 350 testate, per la maggior parte montate su vettori fissi installati a terra, contro circa 6285 testate, per la maggior parte montate su sottomarini, bombardieri strategici e vettori mobili*), è poi tale da rendere inconcepibile, per il regime di Xi Jinping, la sola idea di un confronto aperto con Washington e l’Occidente.

“Smargiassate” come quelle delle ultime ore, o le uscite grottesche di personaggi quali Ramzan Kadyrov (“tra 15 minuti vedremo chi è la grande potenza, gli USA o la Cina) e Yevgeny Popov della TV di Stato russa (“Pelosi vuole trasformare il pianeta in polvere. Non ha niente da perdere. Dopotutto ha 82 anni”) sono quindi da intendersi come mere mosse comunicative e propagandistiche, PsYOps (operazioni di pressione psicologica) per galvanizzare la propria opinione pubblica (propaganda “interna”) e spaventare l’opinione pubblica dei paesi avversari (propaganda “esterna”) così da destabilizzarne i governi.

Alla lunga il ricorso, vuoto, alla minaccia, può tuttavia indebolire, se non proprio ridicolizzare, questa risorsa tattico-strategico di persuasione, una delle punte di lancia nell’approccio di Mosca (soprattutto) e Pechino alla politica estera.

*storico alleato di Washington, Israele dispone invece di circa 90 atomiche e vanta uno degli eserciti più potenti del mondo

Civitanova Marche, le istituzioni “distratte” e quella spirale verso il basso

Le indagini sul caso di Civitanova Marche hanno, ad oggi, escluso il movente politico e razziale. Ex tossicodipendente, pregiudicato, già sottoposto a TSO e in cura al CIM, bipolare fino all’invalidità civile e sotto la tutela legale della madre, il Ferlazzo è infatti un individuo pericoloso, instabile e imprevedibile (lo si può dedurre pure analizzando il suo profilo Facebook), che nella stessa situazione avrebbe potuto aggredire anche un bianco*. Un soggetto “malato”, come forse lo era Alessia Pifferi, non adeguatamente seguito visto ciò che è accaduto.

Se da alcuni l’equazione “bianco-che-uccide-nero=bianco razzista” risponde ad un’astuta mossa propagandistica, e quindi è una semplificazione intenzionale, da altri muove da un primitivo schema figlio di quello stesso razzismo che generalizza di fronte ad un episodio criminale quando vede l’immigrato nella parte del colpevole.

Una spirale verso il basso, di cui è responsabile innanzitutto la prima categoria, quella che mette in atto una strumentalizzazione tattico-strategica per un voto in più.

*nel 2018 aveva aggredito una studentessa italiana in treno

Brando, il Bounty e gli anni ’60

Intellettuale complesso e idealista ancor prima che divo cinematografico, Marlon Brando voleva mostrare il destino degli ammutinati del “Bounty” nei drammatici anni che seguirono l’approdo a Pitcain e interpretare per questo non il vice-capitano Fletcher Christian ma l’ultimo dei marinai superstiti, ovvero John Adams*.

La MGM bocciò tuttavia la proposta, come non inserì nella versione definitiva del film un prologo ed un epilogo che avrebbero dovuto fare da perno al racconto di Adams nel 1814, 24 anni dopo l’ammutinamento (in realtà i superstiti vennero trovati nel 1808, da una baleniera statunitense).

La produzione non accettò nemmeno l’idea di Brando di girare una scena in cui Fletcher Christian meditava, davanti alle fiamme del “Bounty”, sulla violenza e la disumanità dei propri simili.

Quale sia stato il motivo di questi rifiuti (magari la paura di “appannare” il mito del “Bounty”), la vicenda e la pellicola avevano comunque gli ingredienti per colpire l’immaginario collettivo, in special modo negli anni ’60: un’idealista amico dei nativi americani come protagonista, l’appello al sesso libero e la ribellione contro il potere.

*marinaio del Middlesex arruolatosi con il nome di Alexander Smith. La capitale di Pitcairn prende oggi il suo nome (Adamstown). I quindici uomini (nove europei e sei polinesiani) si massacrarono tra loro, in modo orribile.

Il paradigma Korotich: perché in Russia niente è mai certo

Fervente comunista, il giornalista e scrittore sovietico (nato a Kiev) Vitaly Korotich divenne famoso anche per un libro, “Il volto dell’odio”, in cui illustrava la sua visione politica, caratterizzata da una forte intransigenza verso gli Stati Uniti che fu giudicata eccessiva persino da alcuni conservatori del del PCUS.

Negli anni della perestrojka si trasformò tuttavia in uno dei più fedeli collaboratori di Gorbačëv, sostenendone la linea dalle colonne della storica rivista “Ogoniok” (di cui era diventato direttore anche grazie al supporto dell’ “apparatchik” Aleksandr Nikolaevič Jakovlev ) con articoli di taglio smaccatamente anti-comunista, filo-americano e filo-capitalista.

Nel 1992 si trasferì negli USA, dove ha persino insegnato giornalismo (alla Boston University).

Una parabola comune, in Russia e nelle realtà non-democratiche, che ci dice molto su quel Paese suggerendoci prudenza nel dare per definitive, incrollabili e accettate certe dinamiche di potere e consenso.

Natalia Ginzburg e gli italiani

Natalia Ginzburg – Levi era una comunista (parlamentare del PCI), quindi anche per questo, o forse innanzitutto per questo, non apprezzava l’Italia e gli italiani, tracimando in banalizzazioni come quella che molti stanno riciclando sui social nelle ultime ore. Il disappunto verso un popolo che non premiava il suo partito e l’anti-italianismo come rifiuto di qualsiasi afflato identitario in nome di un’interpretazione arbitraria dell’internazionalismo marxiano e per effetto del tabù dell’esperienza fascista.

L’Unione Sovietica e quella democrazia che fece “girare la testa”*

Con la riforma istituzionale ed elettorale del 1988/1989, che andava a emendare la precedente Costituzione brezneviana, in Unione Sovietica si venne a creare uno scenario sotto certi aspetti paradossale, per cui se prima il PCUS dirigeva in modo pervasivo ogni fase delle elezioni, dopo il Comitato Centrale gli impose di defilarsi per quanto possibile.

Una metamorfosi brusca, ancor più per un Paese come quello, che favorì l’ascesa di figure poco limpide. Una situazione di cui l’Unione Sovietica, la Russia, e poi l’intera comunità internazionale, avrebbero pagato le conseguenze.

*”Dopo tanti anni di vita in un ambiente chiuso, la democrazia è come una bombola di ossigeno puro: aspirarvi può fare girare la testa”; così la “Pravda” nell’estate 1988, appunto sui rischi derivati da un processo di riforma troppo rapido. Sempre la “Pravda” e sempre in quei mesi: “La democrazia è come la bomba atomica, è una cosa utile e necessaria, ma come l’energia nucleare è pericolosa soprattutto quando non si sa come maneggiarla”

Quando Mosca lavò i panni sporchi in pubblico (nell’acqua dei fiumi kazaki)

Nel gennaio 1987 la decisione di silurare il Primo Segretario del PCUS kazako, il brezneviano e corrotto Dinmuchamed Achmedovič Kunaev, e di sostituirlo con un russo, il gorbacioviano Gennadij Vasil’evič Kolbin, diede origine a grandi malumori in tutta la Repubblica Socialista Sovietica Kazaka (fomentati anche dallo stesso Kunaev), destinati a sfociare a dicembre in scontri di piazza che richiesero l’intervento non solo delle milizie locali ma pure dei reparti speciali del Ministero dell’Interno e l’imposizione del coprifuoco.

Allontanandosi da una tradizione improntata alla più assoluta riservatezza, Mosca diede ampio risalto mediatico alla crisi, e questo sia per evidenziare la differenza tra il nuovo córso gorbacioviano ed il passato sia per lanciare un monito alle altre repubbliche asiatiche.

I moti kazaki del 1987, e quelli del giugno 1989 contro gli immigrati delle zone del Caucaso (accusati di avere salari e condizioni di vita migliori), dimostrano quanto drammatiche fossero le tensioni etniche nell’URSS e quando il gigante euro-asiatico fosse un’unione solo in via formale*.

*i kazaki, che protestavano anche contro il carovita e la scarsità di beni di prima necessità e di consumo, arrivarono a chiedere la deportazione degli immigrati caucasici (azeri, armeni, lezghini, ecc) nelle loro terre di origine

Il robot multilivello-monolivello

Le dinamiche spersonalizzanti non sono una peculiarità esclusiva dei fondamentalismi più noti (religiosi, politico-ideologici, criminali, ecc). Anche il marketing commerciale e certe tipologie di imprese fanno ampio ricorso a questa strategia di promozione e fidelizzazione.

A tutti noi sarà ad esempio capitato di conoscere qualcuno che fa parte di una società multilevel o piramidale; ebbene, avremmo notato un cambiamento in essi, radicale e profondo. Il loro “Io” si va infatti a fondere e diluire nel “Noi” del marchio, inducendoli a comportarsi non tanto come soci o dipendenti quanto come robot, entusiasti, ma robot, i cui orizzonti, e spesso gli stessi argomenti di conversazione, sono solo quelli dell’azienda o legati all’azienda.