Il trauma delle due guerre mondiali, apogeo nefasto di rivalità particolari ultramillenarie, e l’esigenza di creare un argine al blocco sovietico, avevano traghettato l’Europa occidentale verso un’ unità di intenti e politica assolutamente inedita nella storia del Vecchio Continente.
Ecco, ad esempio, la nascita della CEE e poi della UE, ed ecco che alla vecchia “raison d‘Etat” , stella polare delle cancellerie continentali fino al 1945, si sostituiva la “ragion di blocco”, espressione di una vera e propria “solidarietà di blocco” in virtù della quale i popoli tra Lisbona e Berlino Ovest si fondevano, nel segno di uno spirito collaborativo e solidaristico, in una sola anima contro un avversario comune e contro quegli egoismi nazionali che per troppo tempo avevano diviso la famiglia europea.
Oggi, la moneta unica e i problemi ad essa legati stanno risvegliando quel magma di rivendicazioni, rancori e pulsioni identitarie che sembravano definitivamente consegnati alla storia ed alla storiografia; le polemiche sul pagamento dei debiti tedeschi, in risposta all’austerity voluta e promossa da Berlino, la riesumazione di un dibattito contrappositivo sul 1914-1915 ed il 1939 e, addirittura, l’utilizzo delle politiche ottocentesche dei maggiori Paesi europei (Germania, Francia, Regno Unito e Italia) come cartina di tornasole per la lettura delle loro condotte attuali, sono segnali preoccupanti di una regressione, culturale, politica e sociale, a quel claustrofobismo degli stati-nazione già manifestatosi in tutta la sua devastante pericolosità.
Un turning point nelle linee di indirizzo di Bruxelles e Francoforte si staglia dunque come vitale e indispensabile, se si vorrà evitare la trasformazione della nuova e moderna comunità Europa in un campo di battaglia tra opposti populismi ed opposti particolarismi.
In gioco, oggi, c’è molto più dell’Euro.