Facendo un po’ di chiarezza…Chi era Giuseppe Zanardelli

Zanardelli

Costui è Giuseppe Zanardelli, fotografato in un momento di relax. L’italiano medio esalta il devastatore dello stato di diritto (Mussolini) e figuri della risma di Grillo e Santanchè, per poi ignorare la memoria e l’opera di questo straordinario liberale. Fu lui a dotare l’Italia del più avanzato Codice Penale d’Europa, fu lui ad abolire la pena capitale (altre grandi democrazie vi arrivarono soltanto pochi anni fa o ancora mantengono la massima condanna), fu ancora lui a gettare le basi dello stato sociale poi perfezionato da Giovanni Giolitti (e non dal Fascismo) e fu, in ultimo, lui a varare le prime autentiche politiche di assistenza al Mezzogiorno, recandosi di persona tra le fasce più povere della popolazione.

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Deus ex machina

Non fu un buon sovrano, Umberto I di Savoia. Almeno, non lo fu più, da un certo momento in poi. Lo comprese (o forse no?) quando un giovane anarchico lucano, Giovanni Passannante, vibrò contro di lui una coltellata, il 17 novembre 1878. Qualcosa era cambiato. “Si è rotto l’incantesimo di Casa Savoia!” ebbe infatti ad esclamare la sua consorte, la Regina Margherita. Di educazione strettamente militare, conservatore e filo-prussiano, lo si poteva identificare come una scheggia residuale di quel Congresso di Vienna tentativo posticcio e traballante di arrestare il percorso della Storia. Sordo ai malesseri di un popolo che reclamava più diritti, più rispetto e più attenzione ( e più pane) cercò, anch’egli, di opporsi alla traiettoria inevitabile del tempo, mettendo davanti al progresso civile e sociale ostacoli reazionari come Antonio di Rudinì e Luigi Pelloux. Oppure la palla del cannone. Se fosse vissuto ancora, molto verosimilmente l’Italia sarebbe rimasta ossificata al XIX secolo, non avrebbe ultimato il suo processo unitario con la Grande Guerra (Umberto era un sostenitore della Triplice Alleanza) e, forse, a Giolitti non sarebbe stata data l’opportunità di varare le straordinarie riforme sociali che gettarono la base di quel progredito impianto welfare che tanto fa onore al nostro Paese. Ci pensò il destino a “facilitare” il futuro al popolo italiano, per mezzo di Gaetano Bresci, un tessitore pratese emigrato a Paterson, negli Usa.

Deus ex machina

Silvio Berlusconi: il migliore di tutti noi.

Prerogativa dell’intelletto geniale è (anche) il saper comprendere prima degli altri l’andamento, la funzione e lo sviluppo delle dinamiche contingenti e circostanti. Essere in grado, insomma, di vedere oltre, di vedere più in là. Chi giudica un azzardo lo “strappo” dell’arcoriano (a parere di chi scrive si tratta, almeno per adesso, di un ricatto), commette lo stesso tragicomico errore di coloro i quali vaticinano periodicamente la sua fine politica dal 1993 per poi vedersi smentiti con regolare puntualità, trovando il rivale più solido, più forte e più popolare di prima. Berlusconi ha saputo, da straordinario interprete e conoscitore dell’istologia culturale, sociale ed emotiva dei suoi connazionali, fare dell’aumento Iva il punto d’entrata verso il segmento più ventrale dell’elettorato (ovvero la sua porzione maggioritaria), destinato a farsi voragine di sfondamento mediante una campagna elettorale (qualora Napolitano optasse per lo scioglimento delle Camere) che si consegnerà alla storia ed alla saggistica accademica sociologica per l’inusitato tasso di populismo e demagogia. Il capo del PdL è, inoltre, perfettamente consapevole della debolezza del centro-sinistra, si gravido di validi elementi ma non abbastanza forti, sul piano mediatico e comunicativo, da competere con lui, come sa di potere contare sull’appoggio, de facto, del M5S, inchiodato all’immobilismo parlamentarista ma schierato, politicamente e propagandisticamente, contro il partito democratico. Di nessuna consistenza, ancora, le “spaccature” in seno al PdL; chi dissente è destinato a venire travolto dalle potenti batteria mediatiche dell’ex capo-padrone, secondo il metodo che ha condotto all’estinzione politica e pubblica di Fini, Marcegaglia, Boffo, Giannino, ecc.

Ma vi è un’altra componente, che in troppi tendono, da ormai due decadi, a sottovalutare: Berlusconi è specchio, emanazione ed esemplificazione dei tratti più peculiari dell’italianità, caratteristica che lo porta ad essere percepito dal cittadino medio come a sé affine e contiguo. E’, questo, un elemento che l’ex Presidente del Consiglio riesce a sfruttare alla perfezione. Un esempio: le gaffes. Si tratta di una strategia comunicativa tesa non soltanto alla diversione ed all’esigenza di spostare ed orientare lo sguardo collettivo e mediatico (la loro scansione temporale non è mai omogenea), ma anche ad “umanizzare” Berlusconi, a renderlo vicino alla gente, esattamente come il torso nudo fu per Mussolini, la canottiera per Bossi oppure il “vaffanculo” per Grillo e Giannini. All’indagine più attenta non potrà sfuggire infatti come non si tratti mai di scivoloni ingolfati dall’elitarismo di un Monti o dalla sconclusionatezza suicida di una Fornero, ma di siparietti tipicamente popolari e consueti, che da un lato hanno lo scopo, di consegnarlo all’immaginario come un “everyman” e dall’altro di gettare in pasto al biasimo chi, invece, lo riprende, confezionando cosi’ la respingente l’immagine di un elitario e di un radical chic. L’ex Cavaliere è un’anomalia cui soltanto la natura, oppure una sterzata violenta del destino, riuscirà a porre rimedio; l’italiano non potrà superare Berlusconi perché questo equivarrebbe a superare se stesso.

Santoro ciao, ciao, ciao

La scelta di utilizzare “Bella Ciao” quale sigla di “Servizio Pubblico” denota tutto l’opportunismo e la rozzezza culturale di Santoro. Una fellonata di marketing che mercifica, quindi offende e colpisce, la Resistenza e i partigiani. E persino chi era dall’altra parte. Si inflaziona la memoria del dolore e del coraggio,riducendola all’infimo rango di refrain caroselliano

“Barilla affaire”

Giorgia Meloni: “Difendo il diritto di Guido Barilla ad essere “diverso” rispetto al pensiero unico dominante che si vorrebbe imporre nella società italiana. E nonostante gli insulti e gli inviti al boicottaggio, sono convinta che milioni di italiani che sono d’accordo con lui continueranno ad acquistare un prodotto tradizionale, apprezzato in tutto il mondo e che per l’Italia rappresenta un’eccellenza”.

Meloni sceglie la scorciatoia della semplificazione vittimistica, un “evergreen” tipico della strategia comunicativa di destra, il cui obiettivo è quello di creare una “sindrome dell’accerchiato”, retaggio del portato eroistico-superomistico proprio dell’impianto dottrinale nietzschiano-evoliano che è base e cardine della piattaforma di provenienza dell’ex vice-presidente della Camera. Vi è però anche un secondo elemento, rintracciabile nell’esternazione meloniana, ovvero l’accostamento dei “contenders” a format ed immagini impopolari, in questo caso legati all’intolleranza (il “pensiero unico” liberal, che vorrebbe mettere il bavaglio a Barilla e boicottarlo). Detta opzione prende il nome di “attacca il messaggero”.

Analizzando in modo più specifico l’oggetto della polemica, a farmi riflettere è stato il passaggio in cui Barilla dice: “facciano quello che vogliono senza disturbare gli altri”. Che cosa avrà inteso, con la formula “senza disturbare gli altri”? Nell’invisibilità, senza coperture e tutele legislative? Oppure, cos’altro? Credo si tratti di un escamotage, piuttosto traballante nella sua ipocrisia, per mascherare un’intolleranza omofoba radicata e marcata, grave e pericolosa ancor più se proveniente da un personaggio pubblico e di indubbio prestigio e se collocata nel difficile segmento congiunturale che la comunità LGBT sta vivendo e sperimentando, con un’importante recrudescenza della violenza , fisica come comunicativa, ai suoi danni.

Per concludere, Barilla ha espresso, nel pieno esercizio di quelli che sono i suoi diritti costituzionali, la propria opinione, ed è di conseguenza giusto accoglierla e rispettarla. Anche chi dissente dalla sua traiettoria etica e logica ha, però, il diritto di manifestare le proprie posizioni, tramite la critica, dialettica e pacifica. Tutto qua. Non facciamone un demone ma non facciamone nemmeno un martire del libero pensiero, perché non lo è, come non lo sono e non lo erano Fallaci, Pansa o Forattini.
Jemo ‘Nnanzi

Telecom e il populismo..telefonato.

Compito di un’azienda privata non è farsi portatrice dei colori nazionali; per quello c’è la squadra olimpica di scherma. Compito di un’azienda privata è, se vogliamo fare capolino nel terreno della semplificazione, quello di “funzionare”. Questo si traduce in competitività, qualità del prodotto, buoni dividendi per il comparto azionario e, per ciò che interessa agli italiani nel caso Telecom, salvaguardia dell’occupazione del personale dipendente. Coloro i quali adesso si stracciano le vesti dinanzi alla vendita a Telecinco parlando di orgoglio nazionale ferito, sono, in buona parte, gli stessi che per anni hanno protestato contro gli aiuti di stato resisi necessari per evitare il tracollo o la svendita agli stranieri della FIAT (salvo poi sostenere chi ha buttato al vento miliardi di euro nella boutade propagandistica a tutela, temporanea, dell’italianità di Alitalia). Ma soprattutto, sono, in buona parte, gli stessi che hanno consentito ad una forza politica dichiaratamente secessionista e i cui leader proclamavano ( e proclamano) con orgoglio il proposito di volersi mondare l’orifizio anale con il vessillo nazionale, di occupare i vertici dello stato, portando avanti un’opera, subdola e costante, di erosione della cultura e della coscienza collettiva. Questo è offendere la dignità del proprio Paese.

Sutor, ne ultra crepidam. Ancora.

Odifreddi dovrebbe limitarsi a ciò che meglio sa fare: il matematico. L’irruzione, affannosa, affannata e scomposta, in perimetri disciplinari (vedi la storia e la storiografia) sideralmente distanti dal suo e in merito ai quali non possiede le più basilari cognizioni e metodologie di analisi, lo espone a fin troppo facili affondi, mortificandone l’intelletto e la dignità pubblica. Al pari di quello, incondizionato, per la fede ed il suo mistero, risibile e fragile è ed appare il fanatismo per la ratio, armato soltanto della misconoscenza del condizionale.(Chi scrive è un agnostico-determinista.)

Adesso attendiamo scriva un libro sull’Islam, uno di storia controrisorgimentale ed un romanzo revisionistico sulla Resistenza e siamo a cavallo.

P.S: purtroppo, la “tuttologia” è un male che si nutre delle tossine del prestigio mediatico.

La truffa delle parole

Da qualche anno a questa parte, la grammatica politica sta conoscendo il termine “laicismo”, speso con sempre maggior frequenza nei dibattiti politico-culturali aventi come oggetto tematiche di tipo etico e civile e, più in generale, la Chiesa Cattolica. Si tratta dell’ennesimo, irritante per la sua pavida scorrettezza, “frankenstainismo” linguistico, più propriamente di un artifizio retorico-propagandistico utilizzato per mascherare e dissimulare posizioni smaccatamente clericali e reazionarie dietro la patina, maggiormente accettabile sul piano culturale e politico, di una più razionale e responsabile equanimità (la formula “anticlericale” non garantirebbe il medesimo effetto). Costoro sono consci, in pectore, dell’inesportabilità delle loro tesi, incapsulate in una visione ormai superata del mondo occidentale, di conseguenza fanno ricorso a questa sorta di onanistica “exit strategy” che costringe l’ “avversario” a ripiegare su posizioni di tipo difensivo e sposta l’asse del contendere su un’asfittica quanto truffaldina piattaforma di tipo diarchico.

Virtute siderum tenus -Ricordi del 20 Settembre

Il 20 Settembre si è ricordata l’audacia di Giovanni Lanza, patriota e uomo politico illuminato, e l’epoca aurea che andò dal 20 settembre 1870 all’ 11 febbraio 1929. Il Fascismo non mise il cappio soltanto a quel sistema democratico e liberale che, seppur fragile ed immaturo, aveva retto l’Italia fin dal suo principio quale stato unitario, ma anche agli ideali di laicità ed autonomia dall’abbraccio clericale affermatisi con il nostro Risorgimento e con l’opera, impareggiabile nella sua ardimentosità civile, dei Cattaneo, dei Cavallotti, dei Bertani, dei Mazzini e dei D’Azeglio.

I nuovi tempi della comunicazione

“Cialente(primo cittadino de L’Aquila ndr) apre la crisi su Facebook”, titola una testata on line aquilana. Giornalismo e politica stanno circadianamente mutando, per mezzo ed effetto della rete. La rivoluzione è della stessa portata di quella impressa, nel XIX secolo, dall’invenzione del telegrafo, dalla “penny press”,dai virtuosismi grafici di Joseph Pulizer e dal rigorismo scientifico di Walter Lippman. Nuove traiettorie comunicative irrompono nella grammatica e nella prassi mediatica, spaesando, sicuramente, chi è ancorato al consueto, ma tracciando nuovi orizzonti per l’interscambio cognitivo e culturale e, soprattutto, confezionando un nuovo abito per chi è chiamato a gestire la res publica.

Pensiamo ai “tweet” del nuovo presidente iraniano. Avremmo mai potuto immaginarlo, ai tempi di Khomeini?