La scarpa israeliana e il sassolino siriano

Non sono le poderose riserve di idrocarburi siriane e nemmeno il desiderio di sottrarre Damasco alla sfera di influenza russa a spingere gli USA all’intervento militare; la Siria è, infatti e insieme all’Iran, l’unica porzione del Rimland mediorientale a mancare alla cintura di sicurezza israeliana, e in questo vulnus (per Tel Aviv) si concentra e si snoda l’archè dell’azione obamiana. Non è dietrologia, d’altro canto, il fatto che le lobby ebraiche esercitino un potere esorbitante sugli Stati Uniti, dall’economia, alla stampa, alla cultura, alla politica. Se intervento sarà, Mosca (che ha i suoi veri interessi energetici altrove, vedi il Kazakistan) imbastirà per la Siria insieme agli americani una nuova, l’ennesima, Monaco. Ps. Non credo nemmeno all’escamotage pro-assadiano del “there is no alternatives”, con lo spettro dei terroristi brandito ogni volta in cui viene deposto un tiranno mediorientale. Gli occidentali sono sempre ben attenti a collocare leadership a loro contigue, nei paesi che assoggettano. Trovo invece più tentennate Obama e più assertiva Tel Aviv; sono anni che lanciano continue provocazioni, militari e mediatiche, ad Iran e Siria. Il loro controllo è troppo importante per gli israeliani.

Pubblicità

“Uroborismi”

L’affaire siriano è ed è stato l’ennesimo palcoscenico per la propaganda cosiddetta “di guerra”, in un continuum che descrive la strategia della persuasione occidentale dal 1917 ad oggi. Come più volte evidenziato, essa si snoda e sviluppa attraverso le seguenti terzine:

A- Ricorso alla paura e identificazione del nemico
1: demonizzazione del nemico
2: uso da parte del nemico di armi letali e non convenzionali
3: guerra come risposta al nemico e non come attacco

B- Bontà delle nostre guerre
1: soccorrere una nazione o un popolo
2: giusta causa
3: estendere la democrazia

Ancora una volta, a fare la parte del leone nel battage mediatico sono le armi di “distruzione di massa”, in questo caso il gas, che ha preso il posto della meno credibile boccetta delle lenti a contatto esibita da Colin Powell a Palazzo di Vetro nel 2003, in uno dei momenti più imbarazzanti dell’intera storia a stelle e strisce. Ad uccidere (e da anni) in Siria non è soltanto il gas, ma anche e soprattutto il piombo ed il cannone, ma è l’arma non convenzionale a smuovere le leve dell’inconscio, e questo per il suo essere e rappresentare un pericolo invisibile, astratto. Non convenzionale, per l’appunto. “Casus belli” forse meno efficace di due grattacieli colpiti a morte, pare comunque sufficiente a raggiungere il bersaglio dello spettatore-cittadino medio della parte del mondo che conta. Aspettando i telefilm di Fox television.

La storiografia dei dilettanti

Non a tutti è consentito prescrivere ricette

Non a tutti è consentito vendere medicinali

Non a tutti è consentito eseguire un intervento chirurgico

Non a tutti è consentito presentare progetti per la costruzione di un edificio

Non a tutti è consentito assistere un cittadino in tribunale

Non a tutti è consentito condannare un cittadino in tribunale

Non a tutti è consentito insegnare chimica

Non a tutti dovrebbe essere consentita la pubblicazione di testi storiografici.

Purtroppo, la banalizzazione della materia (che ricordo essere una scienza) ed il suo confinamento nell’alveo della standardizzazione, sono il prodotto di un equivoco culturale e concettuale che vede nella storiografia una parente stretta, se non una propaggine, dell’arte e della politica quando non addirittura uno svago hobbistico, accessibile, pertanto, all’intervento di chiunque. Rigide e definite sono invece le traiettorie entro le quali deve snodarsi e prodursi il lavoro di scavo, analisi, raccolta ed elaborazione del percorso umano, difatti rigorosamente e puntualmente sfrondato, quando appartiene ad un “professionista”, di quel corredo di attribuzioni mitologiche peculiari, al contrario, dell’ indagine dilettantistica. Ma c’è di più: il portato storico è il perno e l’architrave di una comunità, di conseguenza una sua interpretazione approssimativa, fallace e capziosa può generare metastasi letali per la vita della comunità stessa, gettando sul sentiero della convivenza fraintendimenti, rancori, pregiudizi e pericolosi revanscismi. Rammento furono proprio una storiografia ed una pubblicistica ideologicamente capziose a gettare i semi del primo e del secondo conflitto mondiale

Secinaro_Monumento_ai_caduti

L’Abruzzo aquilano rappresenta, insieme al Trentino ed al Friuli, l’unico forziere della memoria della Grande Guerra. I motivi sono, essenzialmente, due: il considerevole tributo di sangue pagato dalla regione nel conflitto (circa 30 mila morti) ed il massiccio numero di alpini inviati al fronte. In ogni borgo, paese e frazione, è possibile ancora oggi notare le scritte fatte sui muri delle case dai militari in partenza , i cenotafi e le targhe sulle dimore dei caduti, strade e piazze intitolate a Diaz, Cadorna, al IV Novembre, a Trieste, Trento e Gorizia (le città “irredente”) e monumenti come quello in foto, dedicati alla “Vittoria Alata” e recanti i nomi dei martiri del luogo. Ai quattro angoli di queste strutture, inoltre, sono spesso collocate delle ogive di cannone. Ogni IV Novembre, giornata che ricorda il trionfo su Vienna, le bande intonano la canzone del Piave e l’Inno nazionale, in un perpetuarsi di simbolismi e ritualità che costituiscono e delineano una stringa di connessione con un passato importante, pur nella sua efferatezza, ed oggi riposto nei cassetti della dimenticanza proprio da chi, un tempo cultore dei valori nazionali, ha subito una mutazione culturale, politica e ideologica a seguito dell’innaturale ed opportunistico apparentamento con le (micro)forze centrifughe che scuotono la nostra cultura collettiva. Personalmente feci in tempo a vedere le ultime vedove di quella tragedia ormai lontana, ancora e nei decenni velate di nero, in ricordo di quei mariti morti per chi adesso riempie la propria bocca ed il proprio petto con improbabili e sconnessi revisionismi astorici.

Max Baer vs Cinderella Man

“Cinderella Man” (adesso su RAI3); un eccellente prodotto, anche per la cura nella ricostruzione del segmento storico, sociale e sportivo, di allora. Peccato che l’americanissimo “Richie Cunningham” abbia ceduto all’americanissima debolezza di creare un corollario zuccherosamente manicheo alla storia, con l’antagonista, Max Baer, dipinto e presentato come una sorta di demonio da contrapporre al giusto della situazione (l'”Uomo Cenerentola” J.J.Braddock) che alla fine lo sconfigge. Non era così, la realtà, tanto è vero che i concittadini di Baer, sportivo corretto e uomo di cuore, abbandonarono la sala a metà proiezione, esigendo il rimborso del biglietto. Squallido anche il trucco utilizzato da Howard di nascondere (ma non di rimuovere) la Stella di David dai pantaloncini di Baer, in realtà ben visibile nei filmati d’epoca, per non urtare la potente lobby ebraica statunitense accostandola ad un personaggio connotato negativamente. No good, Ron. No good. Ps. Quando il figlio del manager di Baer era un bambino, Max gli promise una fuoriserie non appena fosse diventato maggiorenne. Al compimento del 18esimo compleanno del ragazzo, Max attraversò gli USA per fargli trovare l’automobile. Ecco chi era, il mostro del nostro fonziano…

Il bar di Del Debbio

Tempo fa mi capitò tra le mani un’intervista realizzata al giornalista Mediaset (“giornalista” e “Mediaset”: ossimoro, calembour o pareidolia acustica?) Paolo Del Debbio avente come argomento il suo, ahimè popolare, “Quinta colonna”. Del Debbio si vantava di aver trasferito e riprodotto il clima “da bar” nella sua piattaforma televisiva, motivo questo, secondo lui, del successo riscontrato dal format. Chiunque abbia avuto l’occasione di sostare su “Quinta colonna”, non potrà infatti non aver notato il baccanale, la fragorosa pochezza e il qualunquismo spicciolo caratterizzanti il contenitore, più vicinio, giustappunto, ad una bocciofila isterica che ad un programma di approfondimento politico e sociale. Tralasciando le scontate, pedanti e torcicollesche speculazioni storico-sociologiche sulle nobili radici ed i fulgidi esempi a sostegno e a merito del giornalismo, nazionale come estero, episodi di questo genere non possono che far riflettere sulla decadenza e il deterioramento non soltanto di una “disciplina”, ma anche delle capacità percettive delle masse, sempre più attratte dal ribasso, dalla semplificazione primitiva, dall’approssimazione per difetto, sempre più imprigionate in un’aporia mentale e civile preparata e confezionata da decenni di imbarbarimento dell’offerta televisiva e, più in generale, mediatica. Per non parlare di “Quarto Grado”. In questo caso, però, ci trasferiamo in un livello superiore e ben più complesso: non si tratta, infatti ed ufficialmente, di un programma di approfondimento politico, ma viene fatta ugualmente politica con attacchi, continui e costanti, alla magistratura senza che vi siano un contraddittorio, il rispetto delle normative sulla par condicio e senza che (ed è la cosa più importante) il telespettatore abbia attivato quei sistemi di schermatura, filtraggio ed analisi che solitamente vengono messi in funzione durante un dibattito di tipo politico. Ecco quindi che il circuito propagandistico dell’arcoriano penetra, letalmente e subdolamente, nella coscienza culturale della massa, impregnandola, alterandola e indirizzandola. Altri esempi di indottrinamento subliminale possono essere “Forum”, “Buona Domenica” o “Chi vuol essere milionario”

Cortocircuiti siriani: quando il piombo scandalizza meno del gas

La costernazione e lo smarrimento provati dinanzi alle stragi consumate dai gas e con in gas in Siria, sono sintomo e spia rivelatrice di una paura, ancestrale ed atavica, nutrita e coltivata dall’essere umano nei confronti della minaccia invisibile ed incontrollabile, sia essa il buio o una calamità naturale o, come nel caso di specie, uno stratagemma bellico. Era il 1915 (Seconda Battaglia di Ypres) quando le armi chimiche fecero la loro prepotente irruzione nella coscienza militare e civile, sconvolgendo ed alterando, oltre all’apparato cardiorespiratorio dei malcapitati in grigioverde, anche le leve e gli strati più profondi della psiche umana, impreparata all’ineguale tenzone con una Parca infingarda brandente invisibili ed indecodificabili  cesoie. Ma c’è di più: non è solo l’arma non convenzionale a seminare morte e devastazione, ma anche e molto spesso  in misura maggiore il piombo e la bomba, cui però siamo stati abituati ed assuefatti da decenni di esposizione cinematografica e televisiva che con le sue cataste di cadaveri smembrati e presentati in ogni variante e variabile ha permesso all’orrore di penetrare nella nostra intelaiatura culturale, impregnandola ed alterandola in modo irreversibile, storcendola verso l’apatia civile. L’abominio è stato quindi riposto  nei cassetti mentali del consueto ed abbiamo avuto bisogno di un pungolo che facesse vibrare le corde del nostro inconscio più belluino per ridestarci dal torpore di bianchi agiati della middle class ed esclamare, ipocritamente: “poverini!”. Ma quanto durerà?

 

Do you remeber Sacco e Vanzetti?

23 agosto 1927: la “più grande democrazia del mondo” metteva a morte Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti, come atto conclusivo di una vicenda paragiudiziaria inquinata dal razzismo e dal pregiudizio. Quasi un secolo dopo, il nostro Paese ricorda i suoi martiri mettendo in libertà Amanda Knox, per le pressioni esercitate dalla spocchiosa consorte di un politico famoso. Vero e proprio stato “clientes”, l’Italia attende ancora una Dottrina Sinatra che riscatti quella dignità ipotecata in un pomeriggio jaltiano. Nel frattempo, i filo-americani con l’anello al naso rimangono fieramente inchiodati alla Guerra Fredda

Mutamenti

Con la sostituzione a sinistra delle vecchie declinazioni borghesi con l’anarchismo, il socialismo massimalista ed il comunismo, furono le destre (prima in parte rilevante contrarie ai processi risorgimentali) ad appaltare il ruolo di vessillifere del sentimento patrio. In anni, e in special modo dopo il 1945, nei quali dirsi nazionalista era considerata un’onta ed una patente di fascismo (le sinistre radicali rigettavano e rigettano l’identitarismo in nome dei principi dell’internazionalismo marxiano-marxista), soltanto il MSI, i monarchici, il PLI e la porzione più conservatrice della Democrazia Cristiana avevano il coraggio di manifestare la loro aderenza ai valori unitari e sciovinisti, non di rado a costo dell’incolumità individuale e della stessa vita. Il ventennale apparentamento con le (micro) leghe ha però determinato il risultato di snaturare ed in inquinare l’assetto ideologico di quella che fu la destra italiana, che ha trasferito il proprio afflato identitario dalla piattaforma nazionale a quelle locali, anche per effetto di un neo-revisionismo antiunitario vivo quasi esclusivamente nella pubblicistica astorica ma sempre più diffuso e vincolante. Alle icone risorgimentali e quindicidiciottiste, vengono quindi via via sostituiti feticci riconducibili ai “nemici”(Ad esempio gli austroungarici) combattuti dai patrioti di una volta (i nostri, i loro nonni e bisnonni), in un’ affannosa quanto grottesca ricerca di contiguità culturali e genetiche con circuiti non solo distanti ma tradizionalmente ed irriducibilmente antitetici alle genti italiche ed italiane.

La via dei dane’

Dopo la condanna dell’arcoriano e il palesarsi di un rischio “sudden death” per l’esecutivo Letta, i più moderati, nel M5S, avevano lanciato l’ipotesi di una convergenza con il centro-sinistra da tradursi in un governo di “scopo” che avesse come fine ed orizzonte alcuni punti, tra i quali la riforma elettorale. Puntuali e prevedibilissime, sono arrivate le smentite dei “pasdaran” pentastellati e del grande capo genovese. Perché? Non solo perché il M5S sviluppa nell’orgoglioso distacco dalle forze politiche “tradizionali” l’atomo primo della sua “alterità” (l’arma più potente ma allo stesso tempo la zavorra, sul lungo periodo, dei partiti catalizzatori il voto di protesta), non solo per le (probabili) riflessioni statunitensi (il M5S ha soppiantato, per il momento, la destra berlusconiana nella tutela degli interessi e negli indici di gradimento del grande fratello d’oltreoceano) ma, innanzitutto, per una ragione sociale e sociologica; Grillo e Casaleggio sono fondamentalmente due “ganassa”, che identificano nella sinistra l’archè e la trama di ogni male. Per loro, imprenditorotti arricchiti dell’opulento e produttivo Nord “che si dà da fare”, sinistra è tasse (il programma del Movimento è molto povero di traiettorie sulla lotta all’evasione), sinistra è difesa dei dipendenti incapaci e della pubblica amministrazione inefficiente (“eliminiamo i sindacati, voglio uno Stato con le palle”, ebbe a dire qualche mese fa l’ex comico), sinistra è immigrazione selvaggia (l’asserragliamento grilliano contro lo Ius Soli la dice lunga a riguardo), sinistra è caos (non come per Pizzarotti che stanga i barboni che “bivaccano”). Per questo, anche per questo, il Beppe nazionale e l’ex forzista di Ivrea non accetteranno mai un patto con quello che reputano il grande nemico culturale e sociale di ogni tempo e che, infatti, non perdono occasione di bersagliare con i loro strali, molto di più di quanto non facciano con il PdL o con i loro predecessori nelle preferenze dell’italico ventre, ovvero la Lega bossiana. Acquattati nel “grembo della provincia del Nord” (Belpoliti), i due compagni di viaggio incarnano alla perfezione i valori del “privatismo” ripiegato su se stesso tipico di quella borghesia italiana eternamente terrorizzata da un inesistente fantasma bardato da un lenzuolo rosso, quella borghesia “dell’ineleganza che si mette in mostra con il cartellino bene in vista” (Pellizzetti), quando il cartellino batte il prezzo di un panfilo alla fonda in Costa Smeralda o di una magione tran i boschi di Quincinetto.