“La transizione verso un periodo di pace della storia europea richiede garanzie attendibili di mutua sicurezza. Il lavoro fatto a Vienna è un passo in questa direzione. Questo solleva inevitabilmente anche il problema del nuovo ruolo del Patto di Varsavia e della NATO. Per quanto riguarda l’immediato futuro, siamo a favore di una loro trasformazione in organizzazioni di difesa politica, finalizzate alla creazione sia di contatti a breve termine sia di relazioni continuative e reciprocamente vantaggiose, nonché all’istituzionalizzazione della cooperazione tra i due blocchi. Ciò può fornire un nuovo e significativo contributo al rafforzamento della sicurezza in Europa e potrebbe portare a un livello di fiducia che ci consentirebbe di prendere in considerazione lo scioglimento di entrambe le alleanze”.
Così il sesto ed ultimo punto del documento (mai pubblicato fino al 1998) che Michail Gorbačëv inviò il 24 novembre 1989 ai dirigenti della SED, il partito comunista della Germania Est, in preparazione ad un incontro con loro.
Dal passaggio si può intravedere la volontà, da parte di Mosca, di un superamento del ruolo e delle funzioni delle due alleanze militari, e quindi anche della NATO, per arrivare alla definizione di una nuova fase storica, improntata alla cooperazione.
Un progetto, com’è noto, rimasto incompiuto o inattuato. A questo proposito è utile ricordare che dopo il 1991 anche la Russia si sarebbe dotata di una nuova alleanza militare, ovvero la CSTO (Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva, Organizatsiya Dogovora o kollektivnoy bezopasnosti).
Certi sbilanciamenti, certi eccessi e certe “imprecisioni” sono anomale per uno studioso qual è Orsini (benché egli, sociologo di formazione, non sia un vero “tecnico” della materia, quando si parla di scenari e argomenti come il conflitto ucraino-russo).
Se le “liste di proscrizione” mal si confanno ad una democrazia matura, non va tuttavia dimenticato che fin dai tempi degli zar la Russia finanzia e ingaggia politici, intellettuali e opinion maker interni ai paesi nei quali vuole esercitare influenza e pressione. Non c’è alcun motivo concreto per dubitare dell’onestà, dell’integrità e della trasparenza di Orsini, ad ogni modo un atteggiamento cauto e prudente non sarebbe sconsigliabile di fronte a certe figure mediaticamente esposte, e questo al di là della vicenda che lo riguarda.
Nota: l’importanza delle sue retribuzioni dimostra come in Italia gli esponenti di spicco del movimento d’opinione vicino o non-ostile a Mosca non siano (ed è un bene) una minoranza ghettizzata o messa a tacere
Interpellato a riguardo dalla CNN, il portavoce del Kremlino Dmitrij Peskov ha detto che la Russia potrebbe far ricorso al nucleare solo se la sua esistenza fosse minacciata in maniera diretta. Una posizione razionale ed ovvia (la dottrina nucleare statunitense è ad esempio più disinvolta), tuttavia strumentalizzata dai media occidentali che hanno voluto presentarla come un avvertimento o peggio come l’inizio di un’escalation, dell’apocalisse termonucleare (Peskov sembra invece ridimensionare certi azzardi di Putin).
Certe manipolazioni (“mal-informazione”*) non sono riconducibili solo ad esigenze di “marketing” (fare “cassetta”) di questa o quella testata, di questo o quel vettore, ma anche ad una strategia comunicativa e propagandistica precisa dell’Occidente e dei sui canali di appoggio per screditare Mosca e/o tenere alta la soglia dell’attenzione/ tensione.
*la distorsione, la manipolazione e la strumentalizzazione dei fatti, anche reali, ad opera delle istituzioni
In molti ha suscitato preoccupazione il discorso pronunciato l’altro ieri da Mario Draghi in risposta a quello del presidente ucraino al nostro parlamento. Analizzandolo in maniera attenta sarà tuttavia facile rendersi conto che il premier italiano si è limitato ad esprimere solidarietà a Kiev ed a promettere nuovi aiuti umanitari e militari (logica delle “proxy war” accettata e prevista anche da Mosca). In uno dei passaggi più “incriminati”, ovvero “oggi l’Ucraina non difende soltanto se stessa, difende la nostra pace, libertà e sicurezza, difende quell’ordine multilaterale basato sulle regole e diritti che abbiamo con tanta fatica costruito dal dopoguerra in poi. L’Italia vi è profondamente grata”, Draghi intendeva invece ribadire l’adesione italiana ai principi di libertà e autodeterminazione che oggi gli ucraini difendono sul campo. L’Ucraina è quindi un nostro difensore, nell’ottica draghiana, non qualcuno che noi dobbiamo difendere in modo diretto e in armi.
Nell’intervento dell’altro ieri come in quello di ieri alle Camere è non a caso ribadita la centralità della via diplomatica , peraltro l’unica possibile poiché l’alternativa sarebbe un confronto militare con la Russia forse destinato ad un’escalation nucleare, ipotesi che non rientra nell’interesse di nessuno (meno che mai in quello di Mosca, particolarmente vulnerabile ad un “first strike” dato l’elevato numero di testate montate su missili a postazione fissa).
Se certi timori sono senza dubbio genuini e sinceri, non si può escludere che la propaganda veicolata dalla Russia e dal movimento d’opinione filo-russo stia cercando di usare l’arma della paura e del pacifismo per scompaginare il fronte atlantico, facendo ricorso ad argomenti all’apparenza non-ideologici e dunque più presentabili ed efficaci.
Se è ben nota l’amicizia tra Vladimir Putin e formazioni di destra od estrema destra al di fuori dei confini della Federazione Russa si sa forse meno della presenza, all’interno del gigante euroasiatico, di sigle che guardano al nazismo ed al fascismo, e della loro contiguità con il Kremlino. Tra queste organizzazioni spiccano, in particolare, Mestnye (Locali) e Nashi (I Nostri), oltre ad una galassia di associazioni di skinhead.
Xenofobia
Nell’estate del 2007, Mestnye avviò una campagna per il boicottaggio dei taxisti non russi, attraverso volantini che mostravano un giovane , russo e biondo, rifiutare il servizio di un tassista dalla carnagione olivastra. Il volantino recitava lo slogan: “Noi non andiamo nella stessa direzione”.
Nel settembre 2007, sempre Mestnye organizzò una vera e propria trappola ai migranti che lavoravano in un mercato di Yaroslavskoe Shosse , nel nord est di Mosca, usando come esca l’offerta di un impiego in un cantiere edile. Giunti a destinazione, i migranti trovarono ad attenderli gi uomini dell’ufficio immigrazione, che misero le manette a 73 persone per ingresso illegale nel paese. Benché non vi sia un legame ufficiale tra queste iniziative e il governo, esse ricalcano comunque la linea di indirizzo del Kremlino in materia (nell’aprile 2008, Putin emanò un decreto con il quale veniva proibito ai lavoratori stranieri il commercio nei mercati al dettaglio della Russia).
La Putnjungend
Ufficialmente legato al presidente ed al suo partito, è invece Nashi, organizzazione giovanile con circa 120 mila iscritti, ribattezzata la Putinjugend, a richiamare la famigerata Hitlerjugend di Baldur Benedikt von Schirach . In un raduno estivo nel 2007, i suoi militanti di distinsero per un’agguerrita campagna diffamatoria nei confronti delle autorità estoni, con la distribuzione di materiale raffigurante i governanti di Tallin come fascisti (nel solco della tradizione propagandistica sovietico-russa) e le donne dell’opposizione nazionale come prostitute. Ancora, nel meeting venne promossa un’iniziativa “moralizzatrice”, che chiedeva alle ragazze la consegna della biancheria intima più succinta in cambio di indumenti ritenuti più morigerati.
Per aver partecipato ad un incontro con le opposizioni nel giugno del 2006, l’allora ambasciatore britannico Anthony Brenton venne invece perseguitato per mesi dai giovani di Nashi, con continue irruzioni durante i suoi suoi discorsi pubblici (i militanti bloccavano l’entrata e l’uscita degli edifici nei quali si tenevano i discorsi del diplomatico, fischiandolo ed insultandolo).
Pestaggi e intimidazioni
Nel 2006, l’assassinio nella città di Kondopoga di due russi in una scazzottata scatenò la reazione dei gruppo di naziskin del Paese, con pestaggi, intimidazioni e sabotaggi ai danni degli stranieri dalla pelle scura, che vennero cacciati dalla città. L’anno successivo, sempre i neonazisti aggredirono un gruppo di ambientalisti che ad Angarsk protestavano contro la realizzazione di un impianto di uranio voluto dal governo, ammazzando barbaramente un attivista.
Dal quadro, senza dubbio preoccupante, appena delineato, emerge come l’accusa di compromissione con l’ideologia nazifascista, punta di lancia del propagandismo putiniano, potrebbe e dovrebbe essere “girata”, invece, alla Russia dell’ex ufficiale del KGB, oggi molto più impregnata di estremismo nero rispetto a paesi come l’Ucraina o le piccole repubbliche baltiche, periodicamente (e ingiustamente) indicati dalla Russia e dai suo sostenitori esterni come terreni di coltura dell’ odio razzista e xenofobo.
Formazioni russe o filo-russe di estrema destra impegnate in Ucraina e nel Donbass
La propaganda del Kremlino pone molto l’accento sul Battaglione Azov, unità pramilitare di estrema destra ucraina (circa 1000 uomini), tuttavia anche Mosca può contare nel fronte ucraino su forze paramilitari, numerose e ben organizzate, legate all’estrema destra, alla destra nazionalista e all’ultra-destra religiosa. Eccone una lista parziale:
-Battaglione RNU (l’equivalente filo-russi dell’Azov. Il suo simbolo richiama la svastica e dalle sue fila proveniva Pavel Gubarev , primo “capo di Stato” dell’autoproclamata Repubblica Popolare di Doneck)
-Battaglione Svarozhich (o Battaglione di unificazione e rinascita slavo)
-Esercito russo orodosso
-Alba ortodossa (gruppo di volontari bulgari)
-Legione Santo Stefano (gruppo di volontari ungheresi
-Distaccamento Jovan Šević (gruppo di volontari serbi)
-Movimento contro l’immigrazione illegale
-Battaglione Rusich
-Battaglione Ratibor
-Interbrigades
-Sputnik e Progrom
-Movimento Imperiale Russo
-Brigata Oplot
-Brigata Kalmius
-Battaglione Voshod
-Battaglione Sparta
-Battaglione Varyag
-Unità continentale
-Esercito russo-ortodosso
-Battaglione Leshiy
-Battaglione Varyag
Oltre al già citato RNU, molti di questi gruppi riportano nei loro simboli una variante della svastica nazista, ad esempio i battaglioni “Rusich”, “Svarozhich” e “Ratibor”.
E’ inoltre da rilevare come molte compagini che si richiamano al comunismo sposino in realtà un nazionalismo radicale, incompatibile con il dettato marxista-leninista. Ecco cosa ha scritto in proposito Andrea Sceresini, inviato nel Donbass per Il Manifesto: « Quando sono andato per la prima volta in Donbass, nel 2014, speravo di poter raccontare una nuova guerra di Spagna. Mi ero lasciato illudere da tutte quelle bandiere (anche se veder sventolare una bandiera rossa su un tank invasore un po’ dovrebbe far riflettere), dagli slogan antifascisti e dal “No pasaran!” scritto a caratteri cubitali sulla “Doma administratsiya” di Donetsk. Ma poi avevo visto anche altre cose. C’erano le bandiere zariste, quelle putiniane, e c’erano i centinaia di volontari di estrema destra che erano venuti a combattere sotto quelle insegne. Ho poi capito che l’antifascismo, a Donetsk, è ben diverso dal nostro. L’antifascismo, per i russi, è l’Armata patriottica di Stalin che respinge l’invasore tedesco (deriva da qui il concetto di “denazificazione” utilizzato da Putin, che non significa la sconfitta del nazismo come ideologia reazionaria, ma più genericamente la sconfitta dei nemici della Russia). LA BANDIERA ROSSA simboleggia il potere imperiale sovietico, che aveva barattato l’uguaglianza col sogno di dominare il mondo. Perciò la falce e martello, a Donetsk, non era poi così in antitesi con i ritratti di Nicola II e le tesi dei suprematisti russi – e accorgersene, stando lì, non era per nulla difficile. Un giorno, dovendo trascorrere una mezza mattinata con un leader locale del Partito comunista del Donbass – e parlando io poche parole di russo e lui nessuna d’inglese – volli provare a fare un gioco. Gli elencai alcuni personaggi storici, chiedendogli di farmi capire chi gli piacesse e chi no. I nomi di Stalin e dell’ultimo zar furono accolti con un sonoro «karasciò». Più moderato fu l’entusiasmo per Mussolini – che in fondo li aveva invasi ma era pur sempre un nazionalista – mentre Lenin fu salutato con una mezza storta di naso. I più strapazzati furono Marx ed Engels, che il mio interlocutore bollò con un lapidario aggettivo – «Pederàst, finocchi». Ma in fondo è l’ironia delle parole, che una volta svuotate del concetto possono voler dire qualunque cosa. Così le insegne bolsceviche – che nel 1917 simboleggiavano l’unione della classe operaia mondiale contro la guerra – oggi vengono fatte sventolare da giovani coscritti che ammazzano altri giovani coscritti in nome della patria e dei sacri confini. » (Andrea Sceresini , “Per chi sventola la bandiera rossa nella terra contesa del Donbass“, Il Manifesto del 22 Marzo 2022)
L’estrema destra nella politica russa
Forze di estrema destra e nazonaliste legalmente riconosciute e tollerate sono oggi attive anche nel panorama politico russo, come peraltro già evidenziato nella prima parte del contributo. Eccone una lista parziale:
-Partito Eurasia
-Block Fact
-Unione Euroasiatia della Gioventù
-Santa Rus
-Stato maschile sostiene il patriarcato e il nazionalismo russo
-Narodny Sobor
-Comitato Nazione e Libertà
-Alleanza Nazionale dei Solidaristi Russi
-Associazione di Resistenza Popolare
-Gol russo
-Unione dei portabandiera ortodossi
-Unione del popolo russo
-Partito Liberal Democratico della Russia (fondato da Vladimir Zhirinovsky nel
1992, è uno dei partiti più importsnti in Russia)
-Congresso delle comunità russe
-Grande Russia
-L’altra Russia, dello scrittore nazionalista EV Limonov
-Rodina
-Unione Nazionale Russa
Perchè Putin accusa l’Ucraina di nazismo?
Nella sua offensiva mediatica e politica contro Kiev dopo la rivoluzione di Piazza Majdan, la Russia di Putin ha cercato di presentare l’Ucraina come un Paese fascista e nazista, secondo un cliché tipico delle scuole propagandistiche di tradizione socialista* (nello specifico l’accusa rientra nella tecnica della “proiezione o “analogia”, cioè associare il bersaglo ad un’immagine negativa e respingente). Un attacco che non si è limitato all’oggi ma che si è esteso anche al passato, più precisamente agli anni della II Guerra Mondiale. Gli ucraini sono stati infatti bollati come collaborazionisti delle truppe hitleriane, a voler tracciare una perversa linea di continuità con il nuovo corso post-Majdan.
Si tratta, ad ogni modo, di un falso storico grossolano, clamorosamente smentito dall’evidenza. L’Ucraina è invero stata la repubblica sovietica che più di ogni altra ha patito l’occupazione nazista, in termini umani come materiali; più nel dettaglio, diede oltre 7 milioni di soldati all’Armata Rossa (a fronte di poche migliaia di collaborazionisti), mentre circa 8-10 milioni furono gli ucraini morti nel conflitto, tra militari e civili, e 2,4 milioni i deportati in Germania. Il 20% dei deportati slavi in Germania era composto da ucraini. 250 mila ucraini servirono inoltre negli eserciti occidentali, contro l’Asse.
I partiti di estrema destra Svoboda, Pravi Sektor e il Partito Radicale erano e sono i principali accusati, dai filo-russi e dal loro movimento d’opinione, di essere gli autori della rivoluzione contro Viktor Janukovyč, bollata quindi come “fascista”. La modestia della loro forza elettorale-popolare (Svoboda ha un seggio in parlamento, Pravi Sektor zero, stessa cosa il Partito Radicale mentre il Battaglone Azov consta, lo abbiamo detto, di soli 1000 uomini) è una prova, ulteriore, dell’infondatezza del teorema. Risultati che appaiono ancor più modesti se si considera che l’Ucraina è un Paese sotto attacco da molti anni e che solo nel 1991 ha riacquistato la propria indipedenza dopo decenni di controllo straniero, tutti elementi che in genere tendono a favorire proprio il revanscismo e il nazionalismo.
*la stessa accusa venne rivolta da Mosca e dai suoi alleati agli ungheresi nel 1956 ed ai cecoslovacchi nel 1968 e in tempi più recenti è stata rilanciata contro i baltici, i polacchi, i moldavi, i finlandesi, i georgiani
Nell’immagne: il simbolo dell’RNU, richiamante la svastica
Il 3 ottobre del 1969 Richard Nixon ordinò lo stato di allerta delle forze nucleari statunitensi su scala globale. In realtà si trattava di un bluff*, un’operazione di pressione messa in atto per indurre Mosca a convincere i nord-vienamiti ad interrompere le loro offensive militari a sud. Sia i vertici politici degli Stati Uniti che i responsabili del Comando aereo strategico e degli altri apparati addetti alle armi nucleari credevano tuttavia che l’allerta fosse reale e il 27 ottobre una squadriglia di 18 bombardieri B-52 sorvolò l’Alaska e le calotte polari artiche. L’operazione, denominata “Giant Lance”, ebbe termine tre giorni dopo, secondo alcune fonti perché l’URSS non aveva reagito in alcun modo, intuendo quindi il bluff, secondo altre perché al contrario aveva messo a sua volta in stato di massima allerta le proprie forze nucleari, portando la situazione ad un livello di estremo pericolo.
L’operazione “Giant Lance” rientrava, come altre, nella logica della “Teoria del Pazzo” nixoniana (Nixon giocava anche sul fatto che all’epoca circolavano effettivamente voci su una sua presunta instabilità mentale).
Come vediamo, certe mosse propagandistiche, di pressione psicologica (PsyOps), non sono nuove e non sono un’esclusiva dei russi. A tal proposito non è da esclcudere che in futuro Putin alzi ancora di più il livello della minaccia atomica (destinata a rimanere tale), se le difficoltà nello scenario ucraino dovessero aumentare o cronicizzarsi.
*Washington aveva effettivamente contemplato il ricorso alle atomiche in Vietnam (Operazione “Duck Hook”), ma per fortuna la cosa non ebbe seguito
Approfondimento:
La “Teoria del Pazzo” (Madman Theory) fu una dottrina concepita da Richard Nixon in base alla quale gli USA, prima potenza termonucleare e convenzionale, avrebbero dovuto dare l’idea di potersi lasciare andare a gesti dalle conseguenze apocalittiche, imprevisti ed imprevedibili per e da una democrazia occidentale. In buona sostanza, pur non sotto un pericolo diretto, Washington non escludeva l’ipotesi di un ricorso “preventivo” all’opzione nucleare contro i suoi nemici ed avversari.
Ideata per esercitare pressioni negoziali su Hà Nội ai tempi della guerra del Vietnam (l’utilizzo di ordigni nucleari “tattici” fu più volte sul tavolo), si pone come un’ integrazione ed una maturazione della teoria della dissuasione, rivolta in prevalenza contro quei soggetti ed Attori (statuali e non statuali) non controllabili o difficilmente controllabili.
La Russia e il movimento d’opinione russofilo hanno ragione quando affermano che dal 2014 a oggi ci sono stati circa 14mila morti nel Donbass. Di questi, tuttavia, secondo le Nazioni Unite 3375 sono civili, 4150 sono militari ucraini e 5.700 sono membri di gruppi paramilitari. Da non dimenticare, inoltre, come le tensioni nell’area siano state alimentate anche da Mosca, dopo la “rottura” di Maidan.
Si tratta dunque di un esempio di propaganda “grigia” (parzialmente falsa) o di “mal-informazione” (la distorsione, la manipolazione e la strumentalizzazione dei fatti, anche reali, ad opera delle istituzioni, che cercano in questo modo di recuperare consenso e popolarità).
Da qui si comprende anche l’insostenibilià di ogni paragone storico, politico e concettuale tra l’oprazione russa in Ucraina e quella (pur discussa e discutibile sotto molti aspetti) della NATO contro la Jugoslavia, che ebbe lo scopo di porre fine alle violenze ed alle persecuzioni messe in atto da Belgrado ai danni dell’elemento albanese e musulmano nel Kosovo.
Il 26 gennaio 1990 si svolse al Kremlino una riunione straordinaria sul destino delle due Germanie tra Gorbačëv, i suoi consiglieri personali Sergej Achromeev e Georgij Šachnazarov, il Primo Ministro Nikolaj Ryžkov, Shevardnadze, il deputato e membro del dipartimento agitazione e propaganda Aleksandr Jakovlev, il capo del KGB Vladimir Krjučkov, il vice ministro degli Esteri Andrej Fedorov, gli esperti per la questione tedesca Valentin Falin e Anatolij Cernjaev e il vice di Falin.
“L’intenzione è di parlare apertamente di ciò che aspetta, ogni premessa è consentita, tranne una: l’uso delle nostre forze armate”. Con queste parole il capo dell’URSS diede il via alla riunione.
Mettendo da parte la semplificazione (intenzionale) del concetto di “patria”, questa riflessione di Cecilia Strada è emblematica della politica e dell’identità ideologica stessa di una certa sinistra, forse non solo italiana.
Strada sta con Mosca, e non per adesione alla causa putiniana, si faccia attenzione, ma perché in questo momento storico gli avversari della Russia sono un Paese che vuole entrare nel blocco occidentale, e di conseguenza il blocco occidentale stesso. Nel tentativo di “nobilitare”, di mascherare questa postura rendendola più accettabile, cerca allora di giocare la carta del pacifismo ad oltranza (secondo lei un popolo dovrebbe lasciarsi invadere e sottomettere senza sparare un colpo nella speranza di evitare conseguenze ancor più drastiche e gravi). Un approccio tuttavia in palese contrasto con la storia della sinistra dalla quale Strada proviene, che sacralizza il ricordo della Resistenza ed ha sempre sostenuto la resistenza armata dei popoli contro gli invasori (specialmente se occidentali) e gli oppressori interni ad essi legati e sodali. Un’ incrostazione novecentesca che si va a saldare ad un’immagine novecentesca della Russia, una linea sposata, per motivi simili, anche dall’ANPI.
E se il mondo libero avesse ragionato in questo modo nel 1939?
E se invece a invadere l’Ucraina fosse stata la NATO?
Un segmento non trascurabile di quel movimento d’opinione che oggi si indigna per l’operazione russa in Ucraina, acclama i dissidenti russi, Marina Ovsyannikova e accusa Putin di essere un dittatore, fino a poche settimane fa bullizzava e offendeva chi criticava le politiche pandemiche dei governi italiani e la narrazione dominante sul Covid, ne invocava l’arresto (talvolta è accaduto), la privazione dei diritti politici e civili (talvolta è accaduto), dell’assisenza sanitaria e appoggiava in modo acritico misure restrittive spesso inutili a livello sanitario, se non quando dannose.
Viceversa, un segmento non trascurabile di quel movimento d’opinione che ieri contestava le politiche pandemiche dei governi italiani, ritenendole lesive delle libertà e dei diritti fondamentali del cittadino, oggi solidarizza con un autocrate imperialista, reazionario e cleptocrate che uccide, imprigiona e deruba gli oppositori (questa, sì, è un’azione golpistica), calpesta il diritto internazionale e viola i confini di nazioni libere e sovrane o interferisce nella loro politica interna. “Last but not least”, Putin varò misure molto rigide e arbitrarie per contenere il Covid e si spinse a paragonarlo alla II Guerra Mondiale (!).
Simili paradossi sono emblematici del livello di polarizzazione cui l’opinione pubblica italiana è arrivata, anche a causa di un’infodemia tossica alimentata dalle istituzioni. Una “guerra civile fredda”, che muta nelle forme ma non nella sostanza.