Nazismo e fascismo nella Russia di Putin.

putin3Se è ben nota l’amicizia tra Vladimir Putin e formazioni di destra od estrema destra al di fuori dei confini della Federazione Russa (ad esempio il FN lepenista o la Lega Nord italiana) si sa forse meno della presenza, all’interno del gigante euroasiatico, di sigle che guardano al nazismo ed al fascismo, e della loro contiguità con il Kremlino. Tra queste organizzazioni spiccano, in particolare, Mestnye (Locali) e Nashi (I Nostri), oltre ad una galassia di associazioni di skinhead.

Xenofobia
Nell’estate del 2007, Mestnye avviò una campagna per il boicottaggio dei taxisti non russi, attraverso volantini che mostravano un giovane , russo e biondo, rifiutare il servizio di un tassista dalla carnagione olivastra. Il volantino recitava lo slogan: “Noi non andiamo nella stessa direzione”.

Nel settembre 2007, sempre Mestnye organizzò una vera e propria trappola ai migranti che lavoravano in un mercato di Yaroslavskoe Shosse , nel nord est di Mosca, usando come esca l’offerta di un impiego in un cantiere edile. Giunti a destinazione, i migranti trovarono ad attenderli gi uomini dell’ufficio immigrazione, che misero le manette a 73 persone per ingresso illegale nel paese. Benché non vi sia un legame ufficiale tra queste iniziative e il governo, esse ricalcano comunque la linea di indirizzo del Kremlino in materia (nell’aprile 2008, Putin emanò un decreto con il quale veniva proibito ai lavoratori stranieri il commercio nei mercati al dettaglio della Russia).

La Putnjungend
Ufficialmente legato al presidente ed al suo partito, è invece Nashi, organizzazione giovanile con circa 120 mila iscritti, ribattezzata la Putinjugend, a richiamare la famigerata Hitlerjugend di Baldur Benedikt von Schirach . In un raduno estivo nel 2007, i suoi militanti di distinsero per un’agguerrita campagna diffamatoria nei confronti delle autorità estoni, con la distribuzione di materiale raffigurante i governanti di Tallin come fascisti (nel solco della tradizione propagandistica sovietico-russa) e le donne dell’opposizione nazionale come prostitute. Ancora, nel meeting venne promossa un’iniziativa “moralizzatrice”, che chiedeva alle ragazze la consegna della biancheria intima più succinta in cambio di indumenti ritenuti più morigerati.

Per aver partecipato ad un incontro con le opposizioni nel giugno del 2006, l’allora ambasciatore britannico Anthony Brenton venne invece perseguitato per mesi dai giovani di Nashi, con continue irruzioni durante i suoi suoi discorsi pubblici (i militanti bloccavano l’entrata e l’uscita degli edifici nei quali si tenevano i discorsi del diplomatico, fischiandolo ed insultandolo).

Pestaggi e intimidazioni
Nel 2006, l’assassinio nella città di Kondopoga di due russi in una scazzottata scatenò la reazione dei gruppo di naziskin del Paese, con pestaggi, intimidazioni e sabotaggi ai danni degli stranieri dalla pelle scura, che vennero cacciati dalla città.

L’anno successivo, sempre i neonazisti aggredirono un gruppo di ambientalisti che ad Angarsk protestavano contro la realizzazione di un impianto di uranio voluto dal governo, ammazzando barbaramente un attivista.

Dal quadro, senza dubbio preoccupante, appena delineato, emerge come l’accusa di compromissione con l’ideologia nazifascista, punta di lancia del propagandismo putiniano, potrebbe e dovrebbe essere “girata”, invece, alla Russia dell’ex ufficiale del KGB,oggi molto più impregnata di estremismo nero rispetto a paesi come l’Ucraina o le piccole repubbliche baltiche, periodicamente (e ingiustamente) indicati dalla Russia e dai suo sostenitori esterni come terreni di coltura dell’ odio razzista e xenofobo.

Pubblicità

Perché gli USA stanno perdendo il loro continente. Da Castro a Morales passando per Bolivar.

“Supponiamo che invadessimo Cuba e vincessimo. Non possiamo continuare a far così per sempre. La cosa che mi fa star male su Cuba è l’assunto che le armi possano farci qualcosa. Niente può essere fatto riguardo a Cuba. L’abbiamo persa ben prima della rivoluzione. L’Occidente ha creato più Cuba di quante ne possa gestire”; queste, le parole sulla CMC* del reverendo afroamericano James Badlwin, tra i più celebri ed apprezzati intellettuali statunitensi del XX secolo.

Figura di cultura e formazione progressista, Baldwin voleva in questo modo segnalare una correlazione tra l’atteggiamento tenuto dal suo Paese nell’isola caraibica e la rivoluzione del 1959 (“l’Occidente ha creato più Cuba di quante ne possa gestire”), messa in atto da un movimento all’inizio non comunista ma identitario e patriottico, nato in risposta alle politiche neocoloniali tenute fino a quel momento da Washington.

Proprio come il fenomeno castrista, anche l’attuale esplosione del neo-bolivarismo nel resto dell’America cosiddetta latina (Mujica, Morales, Chavez, Madurio, Lula, ecc) trae origine da una reazione, identitaria, all’invasività occidentale e statunitense nel continente; a indebolire ancora di più l’immagine di Washington nella zona, l’appoggio, durante gli anni della Guerra Fredda, alle dittature militari e reazionarie, che impedisce agli Stati Uniti ed al movimento d’opinione ad essi vicino l’utilizzo di quella mitologia democratica e di quella carta del debito morale al contrario tanto spendibili ed efficaci nel Vecchio Continente ( gli USA hanno hanno contribuito direttamente alla liberazione dell’Europa occidentale dal nazifascismo e, indirettamente, alla liberazione di quella orientale dal comunismo, rappresentando il maggiore rivale dell’URSS e il leader del modello uscito vincente dalla Guerra Fredda).

A fare il resto, la memoria dell’olocausto dei nativi, strumento di propaganda di eccezionale importanza e potenza, trasversalmente accettato e condiviso.

Una situazione dunque non facile e non facilmente reversibile e risolvibile, che pone Washington nella stessa posizione, respingente, della Russia nell’Europa orientale.

*Crisi dei missili di Cuba

*Baldwin, è bene ricordarlo, non fu il solo intellettuale statunitense a denunciare l’imperialismo del suo Paese a Cuba, collegandolo alla rivoluzione castrista.

Perché le “barriere” di Ceuta e Melilla non rappresentano la soluzione all’esodo dall’Africa.

ceuta-and-melilla_mainstory1Ceuta e Melilla sono due colonie spagnole in terra marocchina, tra le ultime testimonianze, con l’arcipelago di Chafarinas, dell’espansionismo madrileno nel Continente Nero.

Questi territori sono aspramente rivendicati dal Marocco*, Paese arabo-musulmano ed africano a differenza della Spagna, paese cristiano-cattolico e membro UE.

Per questo, e per contenere un’emigrazione già attiva ben prima dei sommovimenti degli ultimi anni, il governo spagnolo dispose la costruzione delle due barriere, che altro non sono che frontiere e organismi doganali. Se ne dedurrà quindi tutta la debolezza di ogni accostamento tra la situazione delle cittadelle e il Mediterraneo; non solo è impossibile la realizzazione di confini fisici sulle acque ma i due scenari si presentano come diametralmente opposti, inconciliabili ed antitetici, per ragioni storiche, diplomatiche e politiche .

*Nel 2003 vi fu tra i due stati anche un breve scontro armato anche per il possesso dell’isolotto di Persil-Leila.

La destra italiana e quello strano innamoramento per Vladimir Putin, l’uomo che rivaluta l’URSS e Stalin. Anatomia di un paradosso.

putin_salviniSaldamente filo-americana ed atlantista per 70 anni, la destra italiana sembra , da qualche tempo, aver abbandonato questa scelta di campo storica per guardare ad Est, in particolare alla Russia di Valdimir Putin. La motivazione di un simile “turning point”, che sembra mettere fine ad una dottrina per decenni tra i punti di forza del conservatorismo nazionale, va individuata nell’appeal suscitato dal Presidente russo in ragione del suo muscolarismo (fattore che da sempre tocca le corde più profonde delle platee di destra), nel suo tradizionalismo, nella sua partnership con Silvio Berlsuconi ma, anche e soprattutto, nell’antiobamismo.

L’elezione alla Casa Bianca di un afroamericano, democratico e con un nome arabo, ha infatti causato nella destra italiana un rigetto verso l’antico alleato ed amico d’oltreoceano, oggi percepito come estraneo. Ecco così che un ex membro del PCUS e del KGB diventa improvvisamente la stella polare di chi ha sempre guardato alla Russia-URSS come ad un nemico mortale, ad un “impero del male” da combattere ed abbattere.

Si tratta ad ogni modo di paradosso nel paradosso, per i trascorsi di Putin (e del suo Paese) ma anche alla luce della sua condotta presente; se, infatti, l’ex ufficiale del KGB ha mantenuto la linea di indirizzo yeltsiniana sul recupero del patrimonio storico-culturale cristiano ed imperiale, rispetto a “Corvo Bianco” ha avviato una riscoperta in senso agiografico del passato comunista, nelle parole (nel 2005 definì il crollo dell’URSS “la più grande catastrofe del XX secolo”) come nei fatti.

Non solo ha ventilato la possibilità di restituire a Volgograd e San Pietroburgo i loro nomi sovietici ma ha imposto la rimozione dei libri di storia scolastici scritti e diffusi durante gli anni ’90, critici verso l’esperienza sovietica, e la contestuale sostituzione con saggi molto più indulgenti riguardo il vecchio Stato*. Sui vecchi testi, Putin ha detto in particolare che: “molti libri di testo sono scritti da persone che lavorano per ottenere finanziamenti stranieri. Queste persone ballano una polka farfalla* con i soldi ricevuti. Questi libri, spiacevolmente, entrano nelle nostre scuole, e nelle nostre università” (2007).

La nuova storiografia imposta nelle aule rivaluta al contrario non soltanto l’URSS ma anche Stalin, ridimensionando la gravità dei crimini del dittatore. Sulle purghe si legge ad esempio che furono necessarie perché : “crearono una nuova classe dirigente in grado di risolvere il compito della modernizzazione in condizioni di carenza di risorse, che fosse leale verso il potere supremo e immacolata dal punto di vista della disciplina esecutiva” , mentre su Koba** le nuove dispense raccontano che: “egli è considerato uno dei leader di maggior successo dell’URSS. Il territorio raggiunse l’estensione dell’impero russo (e in alcune aree lo superò persino) Ottenne la vittoria in una delle guerre più grandi della storia: l’industrializzazione dell’economia e la rivoluzione culturale ebbero luogo con successo , avendo come esito non solo l’istruzione di massa ma anche il sistema educativo migliore del mondo . L’URSS divenne uno dei paesi guida delle scienze; la disoccupazione fu praticamente sconfitta”.

Simili impostazioni revisionistiche si affacciano anche per quanto riguarda l’annessione delle repubbliche baltiche negli anni ’30-40.

Sebbene Putin non sia, e forse non sia mai stato, un marxista né miri alla rifondazione del comunismo, gli elementi proposti indicano oltre ogni ragionevole dubbio anche la sua distanza dalla cultura e dal solco storico ed esperienziale delle destra italiane ed europee. Un feeling insensato, grottesco ed innaturale, quindi, destinato a venir meno con il ritorno di un repubblicano al numero 1600 di Pennsylvania Avenue.

*Uno di questi libri più famosi è “A Modern History of Russia. 1945-2006. A Teacher’s Manual”

** Espressione risalente all’epoca staliniana usata per indicare, appunto, qualcosa di estraneo.

*** “Acciaio”. Uno dei soprannomi di Stalin.

Chi spaccia bufale? Più pericoloso del terrortista

bufale-702x336Contenitori e distributori su larga scala di false informazioni, sono paragonabili alle bande terroristiche perché, al pari dei terroristi, mirano alla destabilizzazione ed al rovesciamento dello status quo democratico. A cambiare, soltanto la modalità d’azione; per usare un linguaggio importato dal registro comunicativo della geopolitica, il diffusore di menzogne ricorre al “soft power” mentre il terrorista all’ “hard power”. Ma il fine é identico e identica la pericolosità distruttiva.

Vladimir Putin, l’Ucraina, i paesi baltici e gli errori sovietici del 1962. Come e perché l’uomo forte del Kremlino sta rischiando e che cosa sta rischiando.

nato-contro-le-bandiere-della-russia-44228586Una domanda che ancora oggi pungola gli storiografi in merito alla crisi di Cuba del 1962 è come sia stato possibile che i sovietici, solitamente prudenti ed accorti come giocatori di scacchi, possano essersi comportati come giocatori di poker (Claude Delmas), lanciandosi, cioè, in un’avventura tanto azzardata e rischiosa, dalle conseguenze imprevedibili e potenzialmente catastrofiche in primis per l’allora militarmente più debole URSS.

Le motivazioni di un simile passo falso vanno ricercate, a parere di chi scrive, in una sottovalutazione di fondo coltivata dall’establishment sovietico, e soprattutto da Nikita Sergeevič Chruščëv, nei confronti degli USA e di John Kennedy; la mancanza (scontata, per evitare una III Guerra Mondiale) di una risposta militare della NATO alla repressione dei moti ungheresi del 1956, il vantaggio sovietico nella corsa spaziale, la giovane età di JFK e le sue posizioni liberali, avevano infatti persuaso l’URSS, ma anche un certo segmento della pubblica opinione occidentale, del definitivo sorpasso comunista ai danni delle democrazie atlantiche e di una contestuale ed irreversibile debolezza di Washington.

In particolare, Chruščëv aveva avuto modo di corroborare le proprie convinzioni al vertice di Vienna del 1961, quando aggredì verbalmente il suo omologo americano sulla questione della corsa agli armamenti e riguardo il rischio di un escalation termonucleare, senza che JFK fosse in grado di opporre una risposta adeguata efficace (Kennedy si mostrò in quel frangente stupito ed imbarazzato dalla foga del suo interlocutore).

Lo sviluppo della CMC e la risolutezza del presidente statunitense smentirono tuttavia Chruščëv e il Kremlino, che spaventatati dall’ipotesi di un confronto con l’Occidente si affrettarono a ritirare (in cambio di alcune contropartite rimaste all’epoca segrete) i loro vettori dall’isola caraibica.

Allo stesso modo, Vladimir Putin sembra avere sottovalutato Barack Obama e l’Occidente, ma le sanzioni ai danni di Mosca e il brusco rafforzamento della presenza militare a difesa dei paesi baltici stanno smentendo questa “wishful thinking” dell’ex ufficiale del KGB, che adesso dovrà, nell’interesse del suo Paese, cercare di evitare di spingersi troppo oltre, così da non cadere nell’errore che fu di Chruščëv e che tanto costò al prestigio del gigante sovietico, rafforzando quello dell’avversario.

Perché la CMC?
La questione è ancora oggetto di dibattito. Secondo alcuni analisti, l’URSS non puntava alla ricerca di un vantaggio di tipo militare, collocando i suoi missili a Cuba (avrebbe potuto colpire gli USA anche dal suo territorio) ma a dotarsi di una contropartita così da chiedere, in luogo della rimozione dei missili, un trattato di pace con la DDR che portasse allo sgombero di Berlino Ovest da parte degli occidentali.

Confidando nell’assenza di una risposta americana, Chruščëv dette quindi prova di una grave ed imperdonabile mancanza di capacità di lettura geopolitica.

Crack greco: il pericolo BRICS. Un Venezuela del Mediterraneo?

grecia brics cat reporter79Idea difficile a causa di un ampio ventaglio di fattori geografici, economici, politici, storici e strategici, un avvicinamento di Atene ai BRICS potrebbe, ad ogni modo, aprire un “win win scenario” per entrambe le parti.

La Grecia troverebbe infatti un alleato in grado di assorbirne senza difficoltà i problemi finanziari mentre i BRICS otterrebbero un vantaggio enorme in termini di immagine nei confronti dell’Occidente nonché una sponda sul Mediterraneo (e, qualora Atene restasse nella sola UE, Mosca potrebbe sfruttarne il diritto di veto in tema di sanzioni). Rischi anche per la NATO.

Damnatio memoriae. Il Muro ungherese.

ungheria serbia confinePer mezzo secolo il popolo ungherese fu separato dalla libertà e dai diritti civili più elementari, rinchiuso dietro la Cortina di Ferro.

Nel 1956 i suoi profughi, in fuga dai carri armati del Patto di Varsavia, affollavano l’Europa Occidentale (nel comune in cui vivo, Massa, i più anziani ancora li ricordano, smistati nella piazza più importante della città)

Oggi hanno deciso di costruire un muro alto quattro metri, proprio come quello di Berlino, per tenere lontano ciò che furono ieri.

Siamo invasi e l’Europa se ne frega? Non è proprio così

prof2prof1prof3Secondo una ricerca demoscopica britannica, gli italiani si collocano ai vertici dell’ “Index of Ignorance” (Indice di Ignoranza), uno studio sulle false percezioni in merito a varie e differenti tematiche, tra le quali l’immigrazione e la presenza islamica nei vari paesi in esame.

Più nel dettaglio, l’italiano ritiene che il 30% della popolazione sia composta da immigrati (in realtà è il 7%) e che il 20% di questi siano musulmani (sono circa il 4%).

Tale approccio disfunzionale si mostra anche nell’analisi del problema sbarchi; se la maggior parte degli italiani è infatti convinta di sopportare il peso più elevato degli esodi dall’Africa, questa “misperception ” è smentita, di nuovo, dall’elemento statistico e documentale. In Europa il primo Paese per numero di rifugiati è infatti la Germania (200.000), poi Francia (238.000), Regno Unito (126.000) e Svezia (114.000). In Italia i rifugiati accolti sono 76.000, circa uno ogni 1000 abitanti.

Ancora, i primi Paesi al mondo per numero di rifugiati sono i Paesi meno sviluppati, collocati nelle zone più “calde” del pianeta: Pakistan (1,6 milioni), Libano (1,1 milioni), Iran (982.000), Turchia (824.000) e Giordania 736.000). Seguono i Paesi della fascia africana: Etiopia (587.000), Kenya (537.000), Ciad (454.000) e Uganda (358.000).

L’Europa se ne lava le mani?
Si tratta di un altro luogo comune, tanto ingannevole ed infondato quanto diffuso e pericoloso. In base agli accordi di Dublino (siglati, per l’Italia, dal governo Berlusconi III), spetta infatti ai Paesi di prima accoglienza la gestione degli stranieri, così da responsabilizzare ogni singolo Stato sul management dei flussi e rafforzare la sicurezza obbligando alle identificazioni. Sebbene l’approccio europeo sia senza tema di smentita lacunoso e dunque migliorabile, la liquidazione della condotta dei massimi apparati continentali come prova di inefficienza, egoismo nazionalistico ed incapacità sarà pertanto da rigettare.

False percezioni: perché?
Uno dei decani del giornalismo statunitense, nonché celebre e celebrato “muckracker”, Lincoln Steffens, faceva notare come avrebbe potuto creare un’emergenza sociale, una psicosi collettiva, partendo dai normali fatti di cronaca che avvenivano nel quotidiano, amplificandoli attraverso il mezzo mediatico e la sua retorica. Questo perché il cronista è il “medium” tra le masse e ciò che succede e per questo le masse sviluppano nei suoi confronti un rapporto di tipo fideistico. Da tale assunto di base si comprende la delicatezza del ruolo di chi fa informazione; una notizia manomessa, alterata o , peggio ancora, falsa, sporca la percezione che il cittadino ha di sé stesso, del collettivo e di chi lo governa, orientandolo di conseguenza. Il crisismo demolitivo e l’allarmismo che sta delineando il lavoro della stampa nazionale si muove secondo questa nefasta traiettoria. I motivi sono: il dettato politico (quasi tutte le testate hanno una proprietà partitica) ed il bisogno di fare “cassetta”, bisogno che soltanto le notizie ad altissimo impatto emotivo possono garantire, secondo il principio breueriano-freudianio della catarsi (il lettore scarica ed appaga i propri impulsi più violenti nell’acquisizione di una notizia di importante urto adrenalinico ). Si viene meno, però, ai dettami dell’etica deontologica (mirabilmente illustrati e condensati nello “Statement of Principles” del 1975 ) nuocendo alla società, corrodendone le basi e, quel che è peggio, la fiducia, ammanettandola ad una cultura del disfattismo che mostra i contorni del vicolo cieco.

Turchia. Le pessime eredità di Recep Tayyip Erdoğan: il Blue Stream con Putin e Berlusconi.

putin berl erdStoricamente alleata del blocco atlantico, la Turchia si è negli ultimi anni sempre più allontanata dall’Occidente. Le motivazione del distacco, la critica alla campagna contro l’Iraq (2003-2004) e al sostegno americano verso la causa curda.

Ankara si è così avvicinata al Kremlino, con il quale ha realizzato il gasdotto Blue Stream, per il valore di 3,7 miliardi di dollari. Il Blue Stream, che ha visto tra i suoi principali sponsor anche l’Italia di Berlusconi, ha inferto uno dei colpi più duri al progetto Nabucco, una pipeline immaginata per diminuire la dipendenza energetica dell’Europa da Mosca e che avrebbe dovuto appunto transitare anche dalla Turchia.

Non nuova alla pratica della tangente per accaparrarsi gli appalti, Gazpron potrebbe aver utilizzato anche in questo caso la medesima strategia, con Turchia e Italia.