Apocalisse a Seul? La nuova frontiera del terrorismo mediatico

bufala seulCome previsto e prevedibile, lo scemare del Coronavirus in Italia ha imposto ai nostri organi di informazione un cambio di strategia, per restare ancorati al business determinato dall’emergenza.

Oltre a cercare sensazione facendo leva sulle ipotesi di una seconda, catastrofica, ondata (smenta da quasi tutti gli esperti), vengono infatti segnalati balzi di contagi e nuovi “lockdown” relativi all’estero (che in realtà non ci sono e non si sono verificati, come nel caso di Seul) senza tuttavia spiegare, nel titolo o nell’occhiello o nel catenaccio, che non si tratta del nostro Paese.

Più il virus si allontanerà, più la nostra informazione diventerà nervosa e temeraria, raschiando il barile della paura e dell’ansia in un pericolosissimo gioco al rialzo. Un’emergenza più dell’emergenza, alla quale dovremmo prepararci e saper rispondere.

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Il Covid e i nuovi mostri

gognaUniti da un intreccio di interessi diversi, media e politica spostano il loro mirino dai runners e dai passeggiatori solitari ai giovani e alla “movida”. Una narrazione ansiogena e tossica, oltre che fuorviante e inesatta, che fa leva sulle paure e le tensioni di una platea già duramente provata da mesi di Covid e, soprattutto, di pessima informazione. Il cittadino diviene così vittima sacrificale e sacrificabile, vittima due volte e ancora una volta, e purtroppo utile idiota. Ai più razionali spetta nuovamente il compito di scendere in trincea, per difendere e far prevalere il buonsenso.

 

Sarà di notevole interesse anche approfondire i motivi della grancassa terroristica sul Covid in Africa, America latina e sud-est asiatico, nonostante l’esiguità dei numeri reali.

Le incognite dietro un riscatto

bersagli italiani silvia romanoDopo il sollievo e i festeggiamenti per la liberazione di una nostra connazionale non può che rendersi necessaria una riflessione sull’opportunità di trattare con i sequestratori, facendo loro delle concessioni?.

Se infatti un certo pragmatico cinismo induce a pensare che, in casi simili, i soldi per un riscatto servirebbero a rafforzare un terrorismo e una criminalità a noi esterni e lontani (“tanto si ammazzano tra loro”, detto in modo più prosaico), dare l’idea di pagare, sempre e comunque, finisce paradossalmente col trasformare in prede e bersagli gli italiani nelle zone calde, missionari, cooperanti, turisti, commercianti, contractors, giornalisti o professionisti che siano.

Un tema senza dubbio delicato e complesso, che non può essere affrontato da prospettive ideologiche oppure emotive.

 

*in questo genere di casi il pagamento del riscatto non è quasi mai confermato a livello ufficiale, ma è assai verisomile

Il caso Tortora e l’opportunismo dei “giusti”. Una prospettiva diversa.

Enzo TortoraAvere in antipatia Enzo Tortora non era un crimine contro lo Stato o la morale e non era “lesa maestà”. Si trattata di un semplice punto di vista, rispettabile come quello di chi, invece, nutriva simpatia per il conduttore genovese. Allo stesso modo era del tutto legittimo e razionale dubitare della sua innocenza prima della conclusone del processo, partendo dal presupposto che in un paese democratico, qual è l’Italia, la magistratura agisca nel rispetto del diritto e dell’individuo, con coscienza e professionalità. Per questo è ingiusto demonizzare con il senno di poi con chi, come la Cederna e altri, espresse dubbi su di lui (lo fece anche Andreotti e in modo meno pacato). Il rischio è scivolare in un altro tipo di i forcaiolismo, tanto miope e polarizzante quanto pericoloso, o peggio di strumentalizzarne la tragedia.

Fabrizio Quattrocchi: quel drammatico esempio sbagliato

fabrizio quattrocchi silvia romanoChiunque sia provvisto di un minimo di empatia e buonsenso non può che dolersi per la tragica fine di Fabrizio Quattrocchi e non può che rallegrarsi per la liberazione dei suoi tre colleghi, avvenuta molto verosimilmente grazie al pagamento di un riscatto (a differenza di quanto sostenuto da alcuni sui social). Tuttavia, la sua mitizzazione appare esagerata e fuori luogo, come appare irrazionale l’accostamento tra la sua vicenda e quella di Silvia Romano.

Quattrocchi non era infatti un operatore umanitario né un patriota che rischiava la vita per l’Italia, ma un “contractor” impiegato presso una società privata. Un mercenario, detto più prosaicamente e senza alcun intento denigratorio ma volendoci limitare alla realtà dei fatti. Un soggetto che in teoria avrebbe anche potuto mettersi al servizio di interessi antitetici a quelli del nostro e del suo Paese (quando fu preso in ostaggio stava lavorando per clienti statunitensi). Un’evidenza, questa, che la pur suggestiva frase pronunciata in punto di morte non può cancellare né ribaltare. Altra cosa un Nicola Calipari, funzionario al servizio dello Stato italiano che scelse di immolarsi per salvare una connazionale.

Silvia Romano e il dovere del silenzio

silviaE’ sconcertante la superficialità con la quale molti stanno giudicando Silvia Romano, senza sapere nulla della sua detenzione (per adesso ne sanno pochissimo gli stessi investigatori) e senza sapere nulla di psicologia, degli effetti che un’esperienza del genere può avere su una persona. Il furore ideologico è il peggior nemico della riflessione e del buonsenso.

Bombe su Milano: quando l’informazione è un virus nel virus

terrorismo mediatico“Milano è una bomba”; pressappoco in questo modo una nota tv commerciale inaugurava ieri sera un servizio sul Coronavirus nel capoluogo lombardo. Un titolo terroristico, ai limiti del reato di procurato allarme, in riferimento all’ipotesi (tutta da dimostrare) di una ripresa massiccia dei contagi nella zona con la Fase 2.

Seguivano un’intervista, dai toni altrettanto allarmistici, ad un anonimo medico di base, e poi un altro servizio ancora, con il conteggio dei morti totali, da marzo.

Sempre di ieri la locandina di una testata toscana, che parlava a caratteri cubitali di “nuova strage” (!) riferendosi a 8 morti, spalmati tuttavia in diversi giorni. Soggetti per di più molto anziani, quindi con una situazione compromessa e delicata già in partenza.

Ora che il virus sembra in ritirata nel nostro Paese, una certa informazione, più attenta al business che agli imperativi deontologici, si trova in difficoltà, vedendo allontanarsi quella che da mesi è una formidabile fonte di guadagno e motivo di attenzione. Ecco allora la ricerca a tutti i costi del “coup de théâtre”, uno spasmodico raschiare il barile ancor più insidioso per il pubblico. Se infatti prima erano sufficienti i dati nudi per calamitare lettori e ascoltatori, adesso si rende necessario ricorrere sempre più alla manomissione del fatto, all’iperbole, agli effetti speciali. Un vero e proprio attentato alla salute mentale di una comunità già duramente provata e destabilizzata.

Fase 2: perché era necessaria e cosa (forse) ci aspetta

fase dueL’Italia ha messo in atto e affrontato il “lockdown” più duro del mondo, più di quello predisposto dalla Cina (che era localizzato). Un caso forse unico nella Storia, per durata e proporzioni, mai visto neanche ai tempi delle grandi pestilenze o della Spagnola.

Chi, oggi, manifesta perplessità per l’avvio delle pur non eclatanti concessioni della “Fase 2”, non solo manca di rispetto al popolo italiano ed al suo sacrificio (il blocco è stato rispettato da oltre il 90% dei nostri connazionali) ma si dimostra lontano dalla realtà, non capendo o non volendo capire che una prosieguo delle restrizioni totali avrebbe determinato conseguenze, per tutti e ad ogni livello, ben più gravi e devastanti dello stesso Coronavirus.

Adesso abbiamo davanti un’altra incognita, ovvero l’ ondata di “fake news”, mistificazioni e alterazioni del fatto e della notizia che vari Attori, dai media alla politica, potrebbero riversarci addosso, per motivi diversi e differenti. Prepariamoci, volendo entrare nello specifico, alla comparsa di foto ritoccate o dalle prospettive ingannevoli che mostreranno piazze e strade piene di persone dimentiche della distanza di sicurezza e a titoli e notizie dal tono allarmistico su una ripresa dei contagi. Un potenziale attacco massiccio e massivo, al quale dovremmo rispondere colpo su colpo, come un difesa anti-missile.

La comunicazione ansiogena e il rischio delle quarantene auto-imposte

ansia cronavirusOgni scelta comunicativa e propagandistica è capace di tramutarsi in un’arma a doppio taglio, sia per il mittente che per il suo target. Un ‘incognita, questa, che i professionisti del settore conoscono bene.

Il martellamento ansiogeno degli ultimi mesi (veicolato dai media come da certi settori del mondo istituzionale e politico per vari e differenti motivi) potrebbe determinare, anche nella fase successiva il “lockdown”, una sorta di blocco spontaneo. Una parte della popolazione, intossicata dalla paura, potrebbe cioè continuare il proprio auto-isolamento, compromettendo così anche il rilancio economico della Nazione.

Un effetto paradosso che non può e non deve essere annoverato tra i rischi calcolati, in quanto potenzialmente dannosissimo e devastante.

Il Coronavirus, tra pericoli reali e percepiti

speculazone virusSecondo l’economista statunitense Milton Friedman, “padre” dei “Chicago Boys” e tra le figure più importanti e simboliche dell’ideologia neoliberista, solo “una crisi – reale o percepita – produce vero cambiamento [ … ] il politicamente impossibile diventa politicamente inevitabile”. Cambiamento per giungere al quale “una nuova amministrazione dispone di un periodo di sei-nove mesi [ .. ] se non coglie l’opportunità di agire incisivamente in quel periodo non avrà un’altra occasione del genere” .

Benché la crisi scatenata dal Coronavirus sia autentica, è e sarà indispensabile evitare che la sua percezione venga dilatata e ingigantita (come in parte sta già accadendo) da quegli Attori che potrebbero trarre beneficio dalla vulnerabilità, non solo psicologica, delle masse. Si parla dello stesso capitalismo ultra-finanziario ma anche di certi settori della politica. Il rischio è veder messi a repentaglio, di nuovo e di più, i diritti sociali e quelli individuali e politici, oltre al benessere del pianeta e degli ecosistemi.

 

Il periodo della grande crisi scoppiata nel 2007-2008 (nei suoi effetti complessivi molto più grave e devastante del Coronavirus) offre in questo senso una lezione tanto amara quanto preziosa.