Il “Pirro” Tsipras e le motivazioni dell’astensionismo record.

tsiprsNel braccio di ferro con i partner europei, la convinzione di Alexis Tsipras era quella di poter trattare da una posizione di forza in ragione del timore suscitato dall’interessamento russo-cinese verso la Grecia e da un possibile effetto domino in caso di uscita di Atene dalla moneta unica e dalla UE (il referendum sul pacchetto di austerity voluto da Francoforte e Berlino andrà inquadrato proprio nell’ambito di questo “modus cogitandi”).

Resosi conto dell’infondatezza della teoria e, anzi, della volontà di alcune cancellerie di espellere il suo Paese dal consorzio monetario unico, il premier e leader di Syriza si è così visto costretto ad una brusca marcia indietro, accettando le misure prima bollate come diktat e tradendo, in modo eclatante e definitivo, il responso referendario.

In una democrazia evoluta, questo avrebbe comportato la fine della sua esperienza politica e la consegna alla disamina storiografica, ma l’elettore greco ha comunque voluto punirlo con un astensionismo record (quasi il 44%). Quest’ultimo dato offrirà all’osservatore razionale più di uno spunto di riflessione sulla nuova affermazione del giovane ingegnere di Atene.

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Germania 1919 e Grecia 2015: un paragone non ha ragion d’essere. Tra metodo storiografico e analisi politica.

Big_fourTra le conseguenze della crisi ellenica, il regresso del dibattito pubblico a tematiche che sembravano definitivamente affidate alla memorialistica ed alla storiografia. Tra queste, oltre alla polemica sul mancato pagamento dei debiti di guerra tedeschi dopo la II Guerra Mondiale, il paragone, utilizzato come monito, tra la presunta umiliazione che le nazioni vincitrici avrebbero inflitto alla Germania con il Trattato di Versailles (1919) e l’attuale condotta delle istituzioni europee nei confronti di Atene.

Si tratta, ad ogni modo, di un accostamento improprio nel metodo come nel merito, destinato a cedere sotto l’azione del lavoro di scavo razionale.

Nel primo caso (il metodo) viene infatti omesso il criterio della contestualizzazione, cardine ed atomo primo dell’analisi storiografica; se, infatti, le clausole del 1919 possono sembrare severe all’osservatore attuale, non va dimenticato come l’imperialismo germanico (ed asburgico) fosse responsabile di quella che, fino ad allora, era stata la guerra di gran lunga più violenta e sanguinosa di ogni tempo (15 milioni di morti accertati), suscitando così nell’opinione pubblica democratica una riprovazione, forte e legittima, di cui oggi non possiamo avere l’esatta percezione.

Nel secondo caso (il merito), Atene non può disporre, per ragioni demografiche, geografiche, economiche e militari, della potenza per scatenare una rappresaglia revanscista paragonabile a quella del 1939.

La Grecia, inoltre, non è una nazione sconfitta ma semplicemente un debitore insolvente.

Un paragone del tutto irrazionale ed ingenuo, quindi, utilizzato più con finalità intimidatorie che come una consapevole e produttiva elaborazione politica e storica.

Grecia. La necessità delle riforme e il dilemma referendum.

Euro-Europa-300x288I problemi che attanagliano la Grecia vanno al di là dei numeri del suo debito ma riposano nella stessa struttura economica del Paese e nella sua cultura sociale più diffusa e profonda.

La mole di dipendenti pubblici, la massiccia presenza dello Stato nei maggiori apparati produttivi e le enormi sacche di spreco e privilegio a vantaggio (anche) del restante segmento privato, fanno di Atene un paradosso unico nel suo genere, quello di uno Stato privo di una reale economia di mercato tuttavia inserito nella zona Euro e nei circuiti del capitalismo mondiale e continentale.

Benché discusse e discutibili, nella forma come nella sostanza, le riforme sono dunque necessarie come unica terapia d’urto per far uscire il Paese dall’eterno empasse nel quale è avvoltolato; senza di esse, infatti, nessuna ristrutturazione del debito (peraltro giù attuata) e nessuna concessione risulterebbero decisive, sul lungo periodo, lasciando nuovamente esposti i creditori.

Perchè il referendum?
Si sta discutendo sulla motivazione che abbia spinto il giovane ledaer di Syriza a indire un referendum (del costo di 60 milioni) contro un piano da 8 miliardi per accettarne, una settimana dopo, uno ben più severo, di 12, “tradendo” in questo modo il mandato popolare e disperdendo il capitale di fiducia e credibilità conquistato dopo l’affermazione dell’ OXI. E’ verosimile che Tsipras e il suo ex ministro delle finanze abbiano sopravvalutato il potere contrattuale ( e di ricatto) di Atene confidando che, timorosi di un effetto domino o di un apparentamento greco con Mosca e Pechino, Bruxelles e Francoforte avrebbero accettato qualsiasi condizione per scongiurare il Grexit.

Constatata la determinazione della maggior parte dei paesi della moneta unica a fare a meno di Atene (che contribuisce al budget europeo per un modesto 2%), la governance ellenica si è forse spaventata, accettando così , “obtorto collo”, le proposte degli interlocutori per evitare la catastrofe.

Né rigore teutonico né lassismo greco. La “terza via” che potrebbe salvare l’Europa.

de gasperi adenauer schuman cat reporter79La soluzione ai problemi europei dovrà passare da un approccio razionale che faccia tabula rasa di ogni emotività revanscista e rigetti il manicheismo dal sistema normativo della politica come del singolo.

Da qui, l’esigenza di formulare una via di mezzo tra il rigorismo, la cui conclusione non potrà né potrebbe essere “sine die”, e il solidarismo, aprioristico e ideologico, verso quelle mentalità gestionali d’impronta mediterranea inadeguate al confronto con l’economia moderna e incompatibili con le regole alla base di una proficua e giusta convivenza.

Una “terza via”, dunque, come soluzione unica per far tornare l’Europa alla Carta di Nizza ed allo spirito di Messina nonché ad una reale e solida capacità competitiva in grado di affrancare il Vecchio Continente dall’altra sponda dell’Oceano come dai giganti euroasiatici.

Da dove nasce la polemica sui debiti di guerra tedeschi: i pericoli per un’Europa che guarda indietro.

tedeschi grecia catreporter79Il trauma delle due guerre mondiali, apogeo nefasto di rivalità particolari ultramillenarie, e l’esigenza di creare un argine al blocco sovietico, avevano traghettato l’Europa occidentale verso un’ unità di intenti e politica assolutamente inedita nella storia del Vecchio Continente.

Ecco, ad esempio, la nascita della CEE e poi della UE, ed ecco che alla vecchia “raison d‘Etat” , stella polare delle cancellerie continentali fino al 1945, si sostituiva la “ragion di blocco”, espressione di una vera e propria “solidarietà di blocco” in virtù della quale i popoli tra Lisbona e Berlino Ovest si fondevano, nel segno di uno spirito collaborativo e solidaristico, in una sola anima contro un avversario comune e contro quegli egoismi nazionali che per troppo tempo avevano diviso la famiglia europea.

Oggi, la moneta unica e i problemi ad essa legati stanno risvegliando quel magma di rivendicazioni, rancori e pulsioni identitarie che sembravano definitivamente consegnati alla storia ed alla storiografia; le polemiche sul pagamento dei debiti tedeschi, in risposta all’austerity voluta e promossa da Berlino, la riesumazione di un dibattito contrappositivo sul 1914-1915 ed il 1939 e, addirittura, l’utilizzo delle politiche ottocentesche dei maggiori Paesi europei (Germania, Francia, Regno Unito e Italia) come cartina di tornasole per la lettura delle loro condotte attuali, sono segnali preoccupanti di una regressione, culturale, politica e sociale, a quel claustrofobismo degli stati-nazione già manifestatosi in tutta la sua devastante pericolosità.

Un turning point nelle linee di indirizzo di Bruxelles e Francoforte si staglia dunque come vitale e indispensabile, se si vorrà evitare la trasformazione della nuova e moderna comunità Europa in un campo di battaglia tra opposti populismi ed opposti particolarismi.

In gioco, oggi, c’è molto più dell’Euro.

I vincitori, le prime vittime dell’ OXI. “Ponzio” Varoufakis e i motivi di una scelta poco romantica.

Consapevole del fatto che i creditori non faranno marcia indietro nonostante l’esito referendario (anche per evitare un precedente potenzialmente esplosivo) e, dunque, di non avere altra alternativa tra le loro condizioni e il default, Yanis Varoufakis ha deciso di lasciare l’incarico, così da non“sporcarsi le mani” dando l’idea di tradire il mandato popolare.

Un atteggiamento che ha ben poco di quel senso di responsabilità, civile e politica, vagheggiato da qualcuno, molto più vicino al timore pilatesco di un uomo inadeguato al ruolo, imprigionato tra ideologia e senso razionale

Il referendum e il rischio boomerang per Tsipras.

tsipras sitodimassacarraraAcclamato come il grande vincitore di questa domenica di storia, il premier greco potrebbe, invece e paradossalmente, risultare il vero sconfitto della consultazione referendaria.

Difficilmente i creditori ammorbidiranno infatti le loro posizioni (anche per scongiurare un precedente potenzialmente esplosivo), quindi davanti a Tsipras si presenteranno due strade: accettare le condizioni di pagamento (tradendo il mandato popolare e sconfessando la sua stessa politica) o rifiutarle, rispettando le urne ma condannando in questo modo la Grecia al default ed all’uscita dagli organismi continentali.

“Viva” Tsipras e “viva” il referendum. Ma..se lo chiedesse Renzi?

renzi_italia_europa-640x400Qualche tempo fa, Matteo Renzi ventilò l’ipotesi di uno sforamento della soglia del 3% nel rapporto deficit/PIL, per consentire alla nostra economia una maggiore libertà di manovra rispetto alle maglie dell’austerity.

Gli oppositori, da destra come da sinistra, lo accusarono immediatamente di slealtà e di irresponsabilità, di farci fare, in buona sostanza, la figura dei soliti italiani che non mantengono le promesse (nella storia recente, soltanto tedeschi e greci non hanno rispettato i loro impegni con i creditori), recuperando quella mitologia tutta nazionale, truffaldina ed infame, che dal 1915 porta al 1943.

Oggi, quegli stessi censori esaltano Tsipras, debitore insolvente, per la sua scelta di indire un referendum popolare sulle misure economiche chieste ad Atene dall’Europa. Non è difficile immaginare come reagirebbero se anche il capo del nostro governo prendesse una simile decisione; al rinnovo delle accuse di fellonia “etnica”, si aggiungerebbero quelle di spreco, per la consultazione elettorale.

Tsipras, la Chiesa e gli armatori: gli equivoci di un “Robin Hood”

tsipras sitodimassacarraraTra gli argomenti alla base del rifiuto opposto da Tsipras e dal movimento d’opinione vicino al suo governo al pacchetto di misure suggerito dall’Europa, il fatto che esso colpirebbe le fasce più deboli della popolazione risparmiando, invece, i redditi piú elevati. In buona sostanza, per Tsipras e sostenitori, i soldi andrebbero chiesti a chi li ha, secondo un assioma caro al Socialismo. È tuttavia necessario ricordare come, in Grecia, gli armatori e la Chiesa ortodossa siano quasi del tutto esenti dalle imposte, stortura, questa, che il giovane leader di Syriza non sembra voler correggere.

Crack greco: il pericolo BRICS. Un Venezuela del Mediterraneo?

grecia brics cat reporter79Idea difficile a causa di un ampio ventaglio di fattori geografici, economici, politici, storici e strategici, un avvicinamento di Atene ai BRICS potrebbe, ad ogni modo, aprire un “win win scenario” per entrambe le parti.

La Grecia troverebbe infatti un alleato in grado di assorbirne senza difficoltà i problemi finanziari mentre i BRICS otterrebbero un vantaggio enorme in termini di immagine nei confronti dell’Occidente nonché una sponda sul Mediterraneo (e, qualora Atene restasse nella sola UE, Mosca potrebbe sfruttarne il diritto di veto in tema di sanzioni). Rischi anche per la NATO.