La schiacciante superiorità militare , diplomatica ed economica israeliana, favorisce la sedimentazione di un fraintendimento sulle cause dell’impasse che, da due secoli, inchioda il Medio Oriente ad uno scontro tra l’elemento ebraico e quello arabo-musulmano (palestinese e non palestinese). In buona sostanza, Tel Aviv viene percepita come l’unico ed il reale ostacolo alla pacificazione della zona, opponendosi, con …la forza delle sue prerogative, all’ammissione del principio dei “due popoli e due Stati”.
Gioverà ricordare come sia stato, fin dal XIX secolo, il mondo arabo-musulmano a rigettare in ogni sede negoziale l’accettazione di uno Stato ebraico (si pensi al no alle proposte della Commissione Peel nel 1937 ed a quelle della Risoluzione 181 dell’Assemblea Generale nel 1947 ), linea di indirizzo che prosegue tuttóra, sia da parte di Ḥamās (che non soltanto rifiuta il riconoscimento di Israele ma ne invoca la distruzione nel proprio statuto), sia da parte della quasi totalità della Lega Araba (soltanto Egitto e Giordania intrattengono relazioni ufficiali con Tel Aviv).
La scelta di riconoscere Gerusalemme Est rischia quindi di non risolvere il vero problema alla base del conflitto, ma, anzi, di ampliarne la portata e le conseguenze, suggerendo all’oltranzismo arabo-islamico l’idea di una copertura internazionale capace di garantirne le azioni.
Di contro, una volta legittimati dalla maggior parte delle cancellerie straniere, i decisori palestinesi si troverebbero nella situazione di dover accettare “obtorto collo” il vicino, pena una marginalizzazione in sede internazionale ed un caduta delle loro quotazioni presso l’opinione pubblica mondiale.
Una mossa azzardata sul tavolo da gioco della diplomazia e della storia, dunque, e dalle conseguenze imprevedibili, potenzialmente infauste come potenzialmente risolutive.