Dal petto del Duce alla traversata di Beppe Grillo a Silvio Berlusconi allenatore di calcio. Il “corpo” e la “mente” del capo.

“La moltitudine è sempre pronta ad ascoltare l’uomo forte, che sa imporsi a lei. Gli uomini riuniti in una folla perdono tutta la forza di volontà e si rimettono alla persona che possiede la qualità che ad essi manca” – Gustave Le Bon , “Psicologia delle folle”.

C’è sempre stata, da parte di sociologi, giornalisti, politologi e comunicatori, una particolare attenzione verso il “corpo del capo” ed il suo utilizzo. Il politico carismatico, che fosse un dittatore o che operasse all’interno di una società aperta ha, giustappunto , sempre fatto abbondante ricorso all’ostensione dei feticci, dei tic e dei comportamenti riconducibili al “vir”, ovvero a quell’immagine ancestrale di potenza e dominio vitale e indispensabile per chiunque voglia intercettare, ma soprattutto dominare ed eterodirigere, le pulsioni più profonde ed emotive delle “folle”, suggerendo all’ “uomo della strada” un’ idea di prontezza e risolutezza.

Ecco, allora, la virilità mussoliniana, l’intensità sciamanica della voce di Hitler , ecco il petto nudo di Putin, la canottiera di un ancora tonico Umberto Bossi, la traversata a nuoto di Beppe Grillo nelle acque dello stretto di Messina e così via. C’è, però, un aspetto altrettanto importante nella comunicazione “istintuale” del carismatico , diversa ma complementare al “corpo del capo”; la “mente del capo”. Non solo, quindi, un eccezionale amante, un judoka in grado di sconfiggere tigri di 3 quintali e correre a petto nudo nella tundra, non solo un Michael Phelps in salsa genovese ma anche un virgulto della cultura, un sapiente degno del più illustre degli accademici. Ecco che la semianalfabeta Elena Ceauşescu diventava ingegnere chimico e ricercatrice, mentre il marito veniva appellato come “Geniul din Carpaţi” (“Genio dei Carpazi”). Ecco Stalin diventare supervisore e responsabile diretto dei grandi piani di crescita economica dell’URSS. Ecco Kim Jong-un trasformarsi in un novello Julio Velasco, “dando istruzioni precise alle giocatrici per vincere ogni sfida”. Kim Jong-un un stratega militare, Kim Jong-un un teorico , Kim Jong-un esperto di volley. Ecco “la mente del capo” , ecco la trasformazione e l’evoluzione del petto nudo di Putin, della virilità del Duce, della tempra atletica grilliana.

Si tratta di una formula utilizzata in modo speculare anche da Silvio Berlusconi, che da anni cerca di confezionare l’idea che sia lui a mandare in campo i giocatori del Milan ed a sceglierli nella campagne acquisti (ma soltanto quando la società di Via Turati ottiene risultati all’altezza delle aspettative). Chi sarà equipaggiato di una conoscenza anche minima ed essenziale del calcio e delle sue dinamiche, si renderà conto di quanto tutto questo sia incompatibile con la realtà (allenare e mettere in campo una squadra richiede un monitoraggio degli atleti spalmato sull’intera settimana ed un filo diretto, continuo e costante, con il resto dello staff, cosa che l’ex Cavaliere non avrebbe il tempo né la capacità di permettersi); purtuttavia si è dimostrato uno strumento di propaganda e seduzione delle “folle” estremamente acuminato ed efficace. Chi scrive ha più volte interagito con individui di fede berlusconiana i quali, pur notevolmente dotati sotto il profilo intellettivo e culturale (nonché ottimi intenditori di calcio) ritenevano, con indefessa convinzione, fosse /sia l’arcoriano in persona a selezionare le stelle del Milan ed a preparare loro tattiche e strategie. Un po’, anzi, esattamente, come Kim Jong-un per i nordcoreani.

Il dato, nel caso di specie, contribuisce ad evidenziare la preponderanza dell’elemento istintuale su quello razionale, con il “furor ideologiucus” in grado di scardinare e superare anche le barriere più affidabili del ragionamento consapevole.

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Obama, Berlusconi e l’ironia “diversa”

La battuta di Obama sul Colosseo (“è più grande di uno stadio di baseball”) viene bollata come inopportuna e di cattivo gusto. Le incursioni pseudo-umoristiche dell’ex Cavaliere nell’aprile 2009 con i cadaveri di 309 persone ancora caldi venivano, al contrario, giustificate come simpatici siparietti per spezzare la tensione (e guai a sostenere il contrario o si era tacciati di “grigismo” comunista). È sempre un peccato quando l’informazione ha un padrone che dice dove legare l’asino

“Qui sine peccato est vestrum primus lapidem mittat”. Perché il PD può dare “lezioni” di democrazia

Esiste e trova particolare utilizzo, a destra come al centro, il “cult” dell’impossibilità, da parte del PD, di sostare ed esprimersi nel panorama democratico e liberale in ragione dei trascorsi storici del Partito Comunista Italiano, ritenuto (a torto) suo precursore politico. Il ritornello “adesso vogliono insegnarti che cosa sia la democrazia quando fino a ieri erano stalinisti”, benché, senza tema di smentita, acuminato e suggestivo, si formula e sviluppa intorno ad una semplificazione grossolana, che non tiene conto né del principio della contestualizzazione (tra i cardini dell’analisi storiografica ) né dell’evidenza della compromissione, in misura differente e variabile, di quasi tutti i partiti nazionali con le logiche meno limpide della politica e della sua gestione. Stragi di stato, insabbiamenti, corruzione, appoggi a questo od a quel “capotazza” sudamericano oppure a questo o quel nucleo terroristico, rendono impossibile ed impensabile per chiunque (eccezion fatta per Radicali e Monarchici) la rivendicazione di una verginità pubblica e morale. Da non dimenticare, inoltre, come la generazione che ha scelto, condiviso e vissuto la contiguità con il Blocco Sovietico stia a poco a poco uscendo dal panorama politico per lasciare spazio a figure formatesi nella Margherita o dopo la Bolognina e l’ammainamento del vessillo dell’Ottobre dai pennoni del Cremlino. Significativo, a questo proposito, l’utilizzo della prima pagina de L’Unità contenete l’omaggio a Stalin il giorno dopo la sua morte. Soltanto tre anni dopo (1956), in occasione del XX Congresso del Partito Comunista dell’Unione Sovietica, il mondo (anche quello comunista) sarebbe venuto a conoscenza dei crimini commessi dal leader sovietico, ma fino a quel momento, “Koba” rappresentava il simbolo della vittoriosa lotta al nazifascismo che tanto danno aveva provocato all’Europa ed al genere umano. Inoltre, quasi nessuno degli aderenti a quel PCI (1953) è ancora impegnato in politica (e in vita).

L’importanza della comunicazione “interna”. Quel “choosy” più pericoloso dello spread.

Importante al pari della comunicazione “esterna” (diretta al pubblico) la comunicazione “interna” è tuttavia spesso sottovalutata e marginalizzata dai soggetti (fisici e giuridici) che decidono di gettarsi nell’agone delle “pubblic relations”. Essa non soltanto assolve al compito di rendere dipendenti, incaricati o militanti (nel caso si tratti di un’istituzione pubblica o di un’azienda) informati sul lavoro e sulle linee strategiche dell’organizzazione nella quale sono inquadrati (evitando la diffusione di notizie false e/o frammentarie e, quindi, potenzialmente dannose) ma, anche e soprattutto, all’ “erudizione dei vertici” (Vieri Poggiali). Non è raro, infatti, che gli stessi responsabili di una comunità siano i suoi primi e più insidiosi nemici, attraverso un ricorso improprio, scorretto ed ingenuo della propaganda e del linguaggio.

Il governo Monti, ad esempio, con le molteplici gaffes dei suoi uomini, ha costituito un caso paradigmatico riguardo l’imprescindibilità dell’utilizzo della “comunicazione interna”; scivoloni come quella sui giovani “choosy” , sulla “monotonia del posto fisso” o, ancora, sugli “gli italiani fermi al posto fisso nella stessa città di fianco a mamma e papà” (resi ancor più intollerabili e quindi deleteri perché posizionati in una fase di grave crisi come quella che stiamo sperimentando) si sarebbero potuti evitare qualora l’esecutivo del Professore avesse fatto ricorso ad uno staff di coordinamento ed organizzazione interna della comunicazione, esautorando ministri e sottosegretari dalla facoltà di rendersi “battitori liberi”.

30 anni nel braccio della morte: innocente. Quel garantismo Star&Stripes che esiste soltanto il “Law And Order”

Eccezionale comunicatore ed ancor più abile lettore e conoscitore dei meccanismi alla base del consenso (valutazione che andrà a posizionarsi al di là del giudizio politico e morale), Benito Mussolini aveva intuito la straordinaria capacità di contaminazione dei media di massa e, in special modo, del cinema, ancor prima che questi si esprimessero in tutta la virulenza del loro potenziale.

E’ notizia di queste ore il rilascio di un detenuto di colore, il 64enne Glenn Ford, dopo 30 anni passati nel braccio della morte in una prigione federale della Louisiana. Si tratta di uno dei tanti, tantissimi errori che affliggono ed ammorbano la giustizia Stars&Stripes (ogni anno sono 2mila gli innocenti arrestati a fronte di 15-20mila omicidi commessi) , purtuttavia il sistema giudiziario d’oltreoceano continua ad essere ammantato da un’ aura di impeccabilità garantistica che, in realtà, è ben lontano dal possedere e che trova ancoraggio, spiegazione, espressione e promozione soltanto nella finzione cinematografia (secondo una ricerca del National Registry of Exonerations, la maggior parte di queste condanne sono arrivate a causa di false prove nel 51% dei casi, per identificazioni sbagliate da parte dei testimoni oculari nel 43% o per degli errori commessi dagli inquirenti nel rimanente 24%).

L’analisi è e sarà sovrapponibile anche ad altri ambiti e contesti, come, ad esempio, il giornalismo, all’ombra della Statua della Libertà molto meno intraprendente e molto più ammanettato alle logiche del marketing e della politica di quanto attori e cineasti vorrebbero far pensare. Concausa di queste “misperceptions” è il contributo dell’elemento ideologico, che altera ed inquina la lettura della realtà americana in chi è ancora influenzato da un portato dottrinale di tipo guerrafreddista, quando gli USA erano visti e percepiti come un baluardo democratico da opporre al totalitarismo sovietico.

L’eterna (rin)corsa della “valanga nera”. Perché lo “sfondamento” di Marine Le Pen non deve preoccupare .

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-2 giugno 1946, elezioni per l’Assemblea Costituente : il Fronte dell’ Uomo Qualunque gianniniano ottiene alle il 5,3% delle preferenze diventando il quarto partito su scala nazionale. Alle amministrative del 9 novembre dello stesso anno, il partito del torchietto replica il successo, conquistando città come Bari, Palermo, Lecce, Catania, Messina, Foggia. A Roma prenderà 108.000 voti, superando la DC.

-L’ Unione e Fraternità Francese di Pierre Poujade (considerato oltralpe il “padre” politico di Led Pen) porta a casa l’11,6% dei voti alle lezioni per l’Assemblea Nazionale del 1956 , corrispondente a 52 deputati.

-Elezioni politiche del 1972: il MSI raccoglie l’8,7% dei voti alla Camera ed il 9,2% al Senato. Sarà del più grande risultato della fiammella prima dell’arrivo dell’era berlusconiana

-1974: il Il British National Front arriva al 44% dei voti a Deptford, Londra

-Elezioni legislative austriache del 1999: il Partito Popolare Austriaco di Jörg Haider diventa la seconda forza del Paese con il 26,9% dei consensi

-2001: L’ One Nation australiano di Pauline Hanson arriva al 9% nel voto amministrativo del Queensland

-Elezioni presidenziali francesi del 2002: il candidato del Front National, Jean Marie Le Pen, approda al ballottaggio con il 17,79 % delle preferenze.

-2002:Il British National Party ottiene tre consiglieri a Burnley, nel nord dell’Inghilterra

-2002: il Lijst Pim Fortuyn incassa il 36% dei seggi a Rotterdam. Alle successive politiche, il partito di Fortuyn, forse anche a causa dell’emozione suscitata dal barbaro assassinio del suo leader, diventa il secondo nel Paese.

-2001: L’ One Nation di Pauline Hanson arriva al 9% nel voto amministrativo del Queensland

-2007: il Vlaams Belang ottiene 21% delle preferenze nelle Fiandre

Da quando, con la fine della II Guerra Mondiale e la conseguente necessità di creare un argine di contenimento al Socialismo, la destra radicale e populistica (concetti parzialmente difformi ma contingenti) ha trovato riorganizzazione e “sdoganamento” , numerosi sono stati i momenti nei quali, ad ogni latitudine dell’universo democratico, i suoi rappresentati si sono manifestati con effetti di rilevante consistenza (la carrellata proposta contiene solo una piccola parte delle tappe di questo fenomeno). Si tratta, ad ogni modo, di exploit episodici, limitati quasi esclusivamente alle consultazioni di carattere locale (dove il voto si fa più emotivo) ed incapsulati nelle fasi di maggior contrazione e sofferenza del sistema politico ed economico, quando, cioè, diventa più facile per le compagini a carattere demagogico confinate all’opposizione intercettare il voto “di protesta” , mostrandosi come alternativa verginale, altra ed antitetica rispetto ai partiti dell’ establishment. Mai, tuttavia, questi soggetti hanno espresso un capo di stato o di governo (con la sola e parziale eccezione di Enoch Powell) ed anche quando sono riusciti a posizionarsi all’interno di un esecutivo nazionale (l’ FPÖ austriaco nel 2000) , questo è stato possibile solo in ragione del traino di elementi moderati di maggior peso. Inoltre, ai grandi acuti di questa o di quella formazione, sono sempre seguiti rovesci che, non di rado, ne hanno irrimediabilmente compromesso o menomato l’esistenza . Nonostante questo evidente ed innegabile segnale della storiografia documentale, ogni prestazione di rilievo di un raggruppamento populistico è, puntualmente e cocciutamente, letto e percepito (a sinistra) come una crisi irreversibile della democrazia e, a destra, come l’archè della conquista e della rivoluzione del sistema. L’Europa (e la rimanente porzione del mondo occidentale) ha dimostrato di essere in possesso di anticorpi democratici sufficientemente validi per arginare qualsiasi pulsione liberticida, e nessun pericolo può e potrà eroderne l’anima civile e sussidiarista più profonda; in ogni caso, una ripensamento delle e sulle miopi strategie di rigore in atto si pone quale esigenza imprescindibile non soltanto per togliere benzina agli araldi dell’euroscetticismo ma, anche ed in special modo, per giungere alla definzione di un’ Europa che sia unione di uomini e culture prima che di valute e macrointeressi.

Dai corpi di Timosara agli scoop rubati – Il “fate girare” ante litteram.Perché la malainformazione non nasce con internet.


-Rivolta di Timisoara del 1989: l’agenzia di stampa ungherese Mti raccoglie da un cittadino cecoslovacco (rimasto anonimo) la notizia di scontri con numerosi morti e feriti tra civili ed autorità. La tedesca orientale Adn rilancia la news, parlando di 4.660 morti, 1860 feriti, 13.000 arresti e 7.000 condanne a morte. Seguono le maggiori testate del mondo occidentale (Corriere della Sera, Le Monde, Le Figaro,New York Times, Washington Post). Le fotografie dei corpi a terra, con ferite ricucite dal collo al torace fanno il giro del pianeta, commuovendo l’opinione pubblica e rappresentando il colpo di grazia per il regime ceauseschiano. Grande sensazione arriva dall’immagine di una donna adulta insieme ad una neonata, che si pensò essere sua figlia. Entrambe morte. Solo qualche mese dopo si scoprì che si trattava dei cadaveri (13) di persone decedute per cause naturali (la cicatrice era dovuta alle autopsie), disseppelliti dai cimiteri o presi dalle camere mortuarie e gettati in strada per accrescere l’idea e la percezione della ferocia del Conducător . In particolare, emerge che la donna , tal Zamfira Baitan , era un’anziana alcolizzata morta di cirrosi epatica, mentre la bambina, tale Christina Steleac, era deceduta a seguito di una congestione. Non intercorreva tra loro nessun legame di parenetela.

-Nel 1988, il Presidente del Bundestad tedesco, Philipp Jenninger , ricordando la Notte dei Cristalli si domanda come tanti tedeschi abbiano potuto seguire il regime hitleriano. La stampa dei cinque continenti fraintende e Jenninger è accusato di antisemitismo. Pochi giorni dopo, il cancelliere Helmut Kohl lo costringe a rassegnare le dimissioni.

-Durante le presidenziali del 1988, il celebre “anchorman” della Cbs Dan Rather accusa George Bush Sr. di aver ricevuto un trattamento preferenziale ai tempi in cui prestava servizio come pilota della Guardia Nazionale in Vietnam. I documenti in possesso del giornalista si rivelano fasulli e Rather è costretto alle dimissioni, dopo essersi scusato con i telespettatori e con gli Stati Uniti

-Il giornalista radiofonico americano Armstrong Williams, anima della trasmissione radiofonica “Syndacated”, viene sorpreso mentre intasca una mazzetta di ben 240 mila dollari dal Dipartimento della Scuola per tesserne le lodi. Si scoprirà che altri giornalisti americani intascavano ingenti somme per fare propaganda al Ministero della Salute.

-Il Direttore del Washington Post, Benjamin Bradlee , obbliga una sua reporter a restituire il Premio Pulitzer dopo aver scoperto che la sua storia che le era valsa il prestigiosissimo riconoscimento era un falso

Nessun lavoro di “Fact checking” (verifica dei fatti), “Gatekeeping” (selezione dei fatti/notizie) e “Discovery” (ricerca degli elementi per la costruzione dell’articolo), dunque. Nessun controllo, nessuno scrupolo. L’ABC del giornalismo è accantonato, dimenticato, e si tratta soltanto di una piccola, piccolissima parte delle tante manomissioni, false informazioni e colpi bassi nella storia ultramillenaria del giornalismo (nata con Tucidide e non con Gutenberg ).

Si è scelto di utilizzare esempi riferiti in buona parte alla stampa anglosassone perché vista e percepita (a torto) come esempio di professionalità e correttezza deontologica, ma la stampa di qualsiasi nazione ha gli armadi zeppi di scheletri di questo genere. Finalità della ricognizione storiografica, è ed è stata quella di evidenziare la debolezza e l’infondatezza dell’accusa, rivolta all’informazione on line, di essere la madre e l’unica responsabile della manomissione e dell’inquinamento del fatto; al contrario, per il suo carattere liquido, interattivo e per la sua fruibilità incondizionata, la rete consente al lettore un controllo ed uno scambio ben più completo e paritetico del e con il giornalista di quanto non permettano i canali tradizionali, veri e propri fortini nei quali nemmeno la legge sul diritto ed il dovere di rettifica può penetrare. La rete non ha, inoltre, a legarne e condizionarne il lavoro i tanti lacci e lacciuoli e del marketing, benzina ma allo stesso tempo zavorra dell’informazione tradizionale, atomo primo di quella degenerazione del racconto che prende il nome di “infotainment”. Se è indubbia ed innegabile l’esigenza di un intervento del legislatore per limitare gli eccessi di quel vasto, variopinto ed incontrollato mondo che è il virtuale, è altrettanto indubbio ed innegabile che nuove realtà quali il “citizen journalism”, i ”new media” e i suoi numerosi “tools”, arricchiranno la domanda e l’offerta democratica, costiuendo, come accaduto in occasione delle “Primavere arabe”, un ostacolo insormontabile per chiunque si voglia frapporre tra il cittadino e i suoi diritti più inalienabili.

La mannaia maschilista di Sabina Guzzanti sulle nuove ministre del Governo Renzi

Da una dichiarazione di Sabina Guzzanti sulle ministre del Governo Renzi: “Il nuovo Governo è mostruoso e le nuove ministre sono donne immagine. Sono giovani, come possono avere le competenze necessarie per essere ministri? Si scelgono giovani inesperte che poi fanno leggi a favore degli imprenditori senza neanche accorgersene”. Ancora: “Marianna Madia è un esempio di donna al potere per raccomandazione”. Conclude: “La questione femminile con il berlusconismo è diventata solo pornografia”

A bene vedere, da una sosta attenta e scrupolosa sulle sue esternazioni, la disamina di Guzzanti non contiene nessun lavoro di scavo ed approfondimento analitico; ci dice che le neo-ministre in forza all’esecutivo Renzi sarebbero “inesperte” ma non ne spiega il motivo (a parte l’elemento anagrafico). Liquida il nuovo Governo come “mostruoso” ma, ancora, manca qualsiasi acquisizione a corroborare la tesi. Infine, e questo è il dato più significativo, bolla la squadra “rosa” del premier come composta da “donne immagine”. Perché ? Anche stavolta, Guzzanti non lo spiega. Associando “ipso facto” la giovane età e l’avvenenza di una donna alla mancanza di capacità cognitiva, politica ed organizzativa, l’artista romana dimostra e palesa una mentalità degna del maschilismo più retrivo, lo stesso che fin dalle fasi embrionali della sua carriera ha detto di voler combattere. Un maschilismo pericoloso, prima di ogni altra cosa, perché annidato negli strati più profondi (ed incontrollabili) dell’inconscio.

I “profeti” dell’integrazione sono, dell’integrazione stessa, i primi ed i peggiori nemici. “Se sapessi con sicurezza che c’è un uomo che sta venendo a casa mia con il piano consapevole di farmi del bene, scapperei a rotta di collo”. P.S: la ricordo ancora, durante un confronto con Giuliano Ferrara, ripiegare sulle offese riguardanti il peso, definendolo “fetecchia” (tra i numerosi epiteti) , perché in difficoltà ed incapace di misurarsi sul piano del gioco leale.

Mentana: Epic fail!

Contrattando e discutendo i tempi e, soprattutto, i modi dell’intervista al leader del Movimento Cinque Stelle, Enrico Mentana è venuto meno, ancora una volta, a due dei principi guida del giornalismo e della sua deontologia: la ricerca della “verità” e dell’ “essenzialità” (Carta dei Doveri del 1963). Il cronista assolve ad un compito di vitale importanza, che è quello di informare il cittadino su ciò che lo riguarda e ne regola l’esistenza; apparirà pertanto inaccettabile ed inconciliabile con il ruolo della stampa un atteggiamento di accondiscendenza verso un personaggio pubblico, in special modo se alla base di questa scelta vi sarà la ricerca del profitto e della visibilità.

Dalle “Regole per l’intervista” della BBC: “Non è corretto informare l’intervistato sulle domande che saranno formulate. Nel caso in cui l’intervistato rifiuti di rispondere, l’autore deve considerare l’ipotesi di continuare o interrompere. La reticenza dovrebbe essere indicata al pubblico”. E’, del resto, lo stesso che insieme ad altri due giornalisti (Emilio Fede e Giuliano Ferrara) partecipava ai briefing con il suo editore (Silvio Berlusconi) per pianificarne la “discesa in campo” nei primi anni ’90. Un Judith Miller in versione maschile

La farsa del referendum veneto e l’eredità risorgimentale del Leone

 

ImmagineIl “referendum” per l’autodeterminazione della Regione Veneto è, in realtà, una consultazione sondaggistica on line gestita da un blog privato (plebiscito.eu) i cui responsabili sono posizionati all’interno di un’ area politico-ideologica ben definita e definibile (quella leghista). Chiunque (non solo i veneti) può essere ammesso alla consultazione, chiunque può votare più di una volta, chiunque può modificare le proprie generalità (per mostrare la debolezza dell’iniziativa, un utente si è registrato come “Pippo Calippo” nato a Sinferopoli ) e non v’è controllo di alcun tipo sui risultati.

Nessuna legittimità, quindi, non soltanto dal diritto ma anche ed in special modo dalla logica e dal buonsenso. Del tutto apodittico, inoltre, pensare che il malessere caratterizzante alcuni segmenti della comunità veneta debba, “dictum factum”, tradursi in una progettualità di tipo separatistico.

Una nota storica: il Veneto dette un contributo decisivo ai processi risorgimentali (1848, 1849, 1859) ed una fetta rilevante dei garibaldini (specialmente a Bezzecca) proveniva da quella regione.