Meeting Letta – Merkel. Letta: “Confermo che manterremo gli impegni e che tutto starà dentro quegli impegni. I modi e le forme con cui troveremo le risorse è roba di casa nostra e non devo spiegarla a nessuno”. Esistono molti modi per tutelare la propria sovranità e la propria dignità di (grande) Paese, senza dover ricorrere a battute da osteria, sessiste e volgari.
Archivio mensile:aprile 2013
Sulla reale disperazione. Un abbraccio a Giuseppe Giangrande
Uno dei miei amici più cari è ipovedente, un timpano fracassato, problemi osteo-articolari, epatici e un’invalidità al 75%. Vive, da solo, in una casa sporca e fatiscente, con i 300 euro di pensione trasmessigli dalla madre defunta e non lavora, perché il sistema burocratico glielo impedisce, nonostante abbia diritto alla 104. Ah, dimenticavo: è terremotato. Eppure, nonostante questo arsenale di sventure (che la stragrande maggioranza di chi adesso mi sta leggendo non ha, per fortuna, mai vissuto, nemmeno in piccola parte), è ed è sempre stato nel novero delle persone più ottimiste e solari che abbia mai avuto l’opportunità ed il piacere di conoscere e frequentare. Sento parlare di “problemi”, per lo sparatore di Roma. Sento parlare di “disperazione”. E ne sento parlare a sua, irresponsabile, semplicistica, modoaiola e criminogena giustificazione. Giuseppe Giangrande, il militare ferito in modo più grave, ha subito un’importante lesione midollare nel tratto cervicale; questo significa tetraparesi. Il tetraplegico non è “soltanto” impossibilitato all’uso degli arti, inferiori come superiori, ma perde la sensibilità dalla zona della lesione in giù, perde la capacità di termoregolazione, la funzione erettile ed è costretto ad espletare i propri bisogni fisiologici in modo meccanico (deve avere qualcuno che gli metta un dito nell’orifizio anale). Inoltre, nel caso in cui la sezione trasversa sia alta, vivrà il resto dei suoi giorni attaccato ad un tubo respiratore, messo in pericolo dal primo malannetto di stagione, di cui noi ci liberiamo con una spremuta e una spruzzata di Vicx Sinex. Pensateci, pensiamoci, prima di parlare di “problemi”, prima di parlare di “disperazione”, per un beota che getta la propria esistenza su un tavolo da gioco. Non facciamoci abbindolare dal filtraggio di una certa mitologia internetica che stravolge, in senso mistificatorio, la realtà. Pensiamo a chi è costretto a guardare il mondo da un occhio solo ed appannato..o dal letto antidecubito di una stanza d’ospedale, sognando la mano della propria moglie divorata dal cancro pochi mesi prima.
P.s: purtroppo, trova larghissima diffusione una mentalità assolutoria ed autoassolutoria nei confronti del “popolo” e da parte del “popolo”. Si tende ad attribuire pilatescamente la colpa e la responsabilità ultima di qualsiasi male alle istituzioni, come se esse fossero entità astratte, separate dalla gente, dal “popolo”, appunto. Lo Stato, le istituzioni, siamo noi, sono l’insieme del singolo, e lo sono, soprattutto, dalle grandi rivoluzioni liberali del ‘700 e dell’800. Siamo noi, con il nostro quotidiano, a fare la differenza, e solo noi possiamo imprimere quel cambiamento che tanto invochiamo. Una dimostrazione? Non frammentare il nucleo familiare in due, tre, quattro parti, per evitare la tassazione sulla casa, frodando così il fisco e, di conseguenza, il nostro prossimo. (esempio ormai “datato” ma esplicativo)
“Il popolo sopporta di essere derubato, purché non si smetta di adularlo” -Nicolás Gómez Dávila
Governo Letta: il tempo della responsabilita’
La delicatezza dell’ attuale segmento congiunturale impone un ripensamento delle priorità nazionali (e non solo), con il conseguente accantonamento, ad esempio, di ogni “quaestio” legata alla situazione giudiziaria dell’ex premier, Silvio Berlusconi. Come nella forchetta 1943-1947, nel 1976 e , prima ancora, ai tempi degli Zanardelli-Giolitti, il nostro Paese necessita di un esecutivo forte e coeso che sappia rilanciare l’economia nazionale, varando quell’imponente pacchetto di riforme necessario alla rivitalizzazione del tessuto connettivo economico, l’imprenditoria, rinegoziando il debito e le sue modalità di pagamento a Francoforte e Strasburgo. Esasperate partigianerie di bandiera, multicromatici e centrifughi frondismi, fuorvianti populismi e sussulti ideologici di stampo 800-900esco, debbono e dovranno essere defenestrati dal buonsenso che l’ora impone. Nemmeno a me entusiasma un ” appeasement ” con l’uomo peggiore di queste due ultime decadi, ma ancor meno riesce ad entusiasmarmi la gravissima spaccatura, politica, civile, sociale, che una contrapposizione ideologica, in un momento tanto critico come quello che stiamo sperimentando, potrebbe generare.
Quanto a Giuseppe Piero Grillo, nel suo ultimo post mette in campo un corredo lessicale caotico che, come al solito, non dice nulla. Alza la polvere, confonde, estrae dal cilindro tutta la sua pittoresca “ars comica”, crea un montaggio in cui i membri del nuovo governo si trasformano negli Addams, Lupi diventa “Mariangela Fantozzi”, Letta “Capitan Findus” ma, come detto, nessuna proposta, nessuna ipotesi terapeutica, nessuna analisi economica e finanziaria, nessun lavoro di scavo degno di un politico da 8 milioni di voti. Soltanto una parata di rutilanti acrobazie gergali e figure retoriche, un “TRUMP! CRACAAACCKKKK! SDLENG! BUDUMMMM! TRAAAAAAAAMMMMMBUSTIIIIIIIIOOOOOOOOO!!”, riproposizione di un Futurismo, azzoppato e stanco, che nulla riesce a dare. Se non una risata.
Ministro per la cooperazione internazionale
Detesto gli steccati e diffido dagli ultras del primato/fattore biologico, sia esso rappresentato dall’elemento di genere che dal colore della pelle. Per questo motivo non mi unisco al coro esaltatorio, in modo aprioristico ed irragionevole, per la signora Kyenge ; ritengo, comunque, che la sua nomina rappresenti un segnale importante, un “point break” di cui una società come la nostra, ancora poco abituata alla multiculturalità, aveva ed ha bisogno. Buon lavoro e benvenuta, Dottoressa Kyenge
“Dagli alla kasta!”, sarà il grido dell’ingenuo…
25 Aprile, la libertà di essere asserviti
Con il 25 Aprile 1945, l l’Italia transitò da una dominazione feroce ed umiliante, quella nazi-fascista, ad un tipo diverso di dominazione, non feroce, “soltanto” umiliante: quella americana, statunitense. E’ vero, la nostra condizione mutò, mutò radicalmente: ottenemmo la democrazia, pur con i limiti e le storture che tutti conosciamo, il sistema repubblicano a suffragio universale ed una Costituzione tra le più avanzate del mondo occidentale, ma lo status di potenza perdente, “liberata”, per giunta, dall’ex avversario di Washington, ed il bisogno del loro ombrello difensivo, con il profilarsi del confronto con l’URSS post blocco di Berlino, sottrasse al nostro Paese la sovranità sostanziale, facendo dell’Italia una sorta di protettorato, non “de iure” ma “de facto”, senza potere decisionale se non previa ratifica del potente “alleato” d’oltreoceano. Non si può e non si deve parlare di liberazione “reale”, ma si potrà e si dovrà parlare di liberazione “monca” e “mutilata”, esattamente come la vittoria del 4 Novembre, quando una potenza straniera mantiene le proprie basi sul suolo di un altro stato, quando, sul suolo di quello stato, detiene centinaia di testate nucleari e quando, di quello stato, limita, azzoppa e condiziona la politica, interna come esterna, subordinandola ai propri interessi (in questo caso anche a quelli di Israele, vero “ghost director” dello Studio Ovale). Non si può e non si deve parlare di liberazione “reale”, ma si potrà e si dovrà parlare di liberazione “monca” e “mutilata”, quando i soldati e i cittadini di uno stato possono permettersi di fare quello che vogliono in un altro stato, oltrepassando il perimetro della legalità, uscendone impuniti, arrogantemente certi dell’impunità. Non si può e non si deve parlare di liberazione “reale”, ma si potrà e si dovrà parlare di liberazione “monca” e “mutilata”, quando uno stato piazza sofisticati sistemi radio sul suolo di un altro stato, avvelenandone ed uccidendone i cittadini, nel silenzio vile e complice dei rappresentanti degli ammazzati. Non si può e non si deve parlare di liberazione “reale”, ma si potrà e si dovrà parlare di liberazione “monca” e “mutilata”, quando le istituzioni di uno stato non pagano i servizi che un altro stato garantisce loro, sul suo territorio. Certo, il CERMIS, le risse nei bar di Tirrenia con i locali sfasciati, il caso Knox, magari Chico Forti, forse il MUOS; a questo, chi avrà la cortesia di leggermi, penserà e potrà pensare. Si, anche, ma non solo. Troppo “facile”. Chi ricorda, ad esempio, il caso Stockholm-Andrea Doria? O meglio, chi ne rammenta i retroscena? Provò, il governo italiano, ad ottenere giustizia nelle sedi della giurisprudenza internazionale, ma il suo potente “liberatore” intervenne ad insabbiare la cosa, tappandoci la bocca (come sulle le Foibe 10 anni prima), tappandola alle 46 vittime perite nel naufragio della turbonave italiana, speronata colpevolmente dal battello svedese. Eravamo in Piena Guerra Fredda, la prima, e gli USA non si potevano permettere tensioni tra due membri dell’asse occidentale. Fu così che con l’Andrea Doria colò a picco anche la nostra dignità di popolo. Ancora una volta. Nessuna “Dottrina Sinatra”, per l’Italia. Nessuna “Rivoluzione cantata”, come per le repubbliche baltiche. La nostra cortina di ferro è ancora lì, senza un grammo di ruggine, splendente di anacronismo e ben sorvegliata da Vopos che masticano chewing-gum, a ricordarci chi fummo e che cosa siamo adesso. No, mi dispiace. Non me la sento di festeggiare. So fare a meno di fanfare e retorica roboante di polvere ed ipocrisia. Festeggiate voi, festeggino altri. Oltreconfine, quella sarà vera liberazione. Io non festeggio.
“La libertà non sta nello scegliere tra bianco e nero, ma nel sottrarsi a questa scelta prescritta” – Theodor Adorno
Onore alle armi
“D’ora in poi non avrete più un Richard Nixon da prendere a calci”. Questa la celebre frase rivolta da Nixon ai cronisti durante la conferenza stampa in cui annunciava il suo ritiro dalla vita politica, dopo la sconfitta nelle elezioni del 1962 per la carica di Governatore della California. Bene, d’ora in poi non avrete, non avremo, più un Bersani da prendere a calci. Il bisturi passi nelle mani di chi in poppa ha il vento dell’infallibilità.
Che però non si dia la colpa agli scogli.
Beppe Grillo, il “Vento divino” che salvò Silvio Berlusconi
Nel 1274 e nel 1281, la poderosa flotta mongola agli ordini di Kublai Khan tentò lo sbarco sulle coste giapponesi, così da invadere l’Impero del Sol levante, assoggettandolo. In entrambe le occasioni, giunse ai nipponici dalla natura un aiuto tanto inaspettato quanto determinante: un tifone, il “kamikaze”, il “vento divino”, appunto. Beppe Grillo aveva la possibilità di creare con il centro-sinistra un governo di “scopo”, che desse al Paese quelle riforme (in buona parte giuste e condivisibili) che avevano fatto da propellente al suo successo elettorale. Avrebbe potuto sedersi a capotavola, negoziando dalla posizione di forza che la sua consistenza numerica gli assicurava, per cambiare le cose. Avrebbe, soprattutto, potuto eliminare Berlusconi in via definitiva dalla vita pubblica e politica nazionale, varando un dispositivo sul conflitto di interessi, impedendogli di far slittare i processi, facendo applicare la legge del 1956 sull’ineleggibilità. Invece, il comico genovese ha preferito adottare una strategia di attacco, prima contro il PD, scardinandolo (o cercando di scardinarlo) con il grimaldello Rodotà, e adesso contro il duo PD-PDL, costringendo il partito di Via Sant’Andrea delle Fratte e quello di Via dell’Umiltà ad un responsabile (ma sicuramente impopolare) “menage a dois”, pretesto, strumento e volano ideale per la sua demagogica campagna “anticastista”. Nessuna riforma auspicata dall’elettorato pentastellato sarà varata, e Berlusconi continuerà, impunemente, a dettare legge in politica, a detenere il timone della nave Italia. Questo, “stricto sensu”, il risultato prodotto da Grillo, il “vento divino” che spazzò i giudici dall’orizzonte berlusconiano. Il comico ha così fornito la prova definitiva sulla sua reale natura: affetto da ipertrofia dell’ego, vede nella politica un mezzo di affermazione personale e di personale rivalsa, innanzitutto nei confronti del PD, cui non ha perdonato il “gran rifiuto” ai tempi delle primarie del 2009. Anni di “confino” alla corte dello yogurt Yomo dopo le battute sul Garofano, hanno inoltre reso esasperate la sua ambizione, la sua voglia di riscatto, la sua acrimonia revanscista. E a pagarne le spese siamo in 61 milioni. Anzi, sono. Au revoir, mon docue pays. Bonne chance.
Il 25 aprile si festeggia il passaggio da una colonizzazione all’altra
Mi è capitata sotto gli occhi, qui sui FB, una nota a firma di Gino Strada sulla presenza di ordigni nucleari statunitensi (circa 80) sul suolo italiano. Strada indicava, tra le altre cose, l’acquisto degli F-35 come imprescindibile, nei progetti americani e italiani, proprio perché subordinati al trasporto delle bombe atomiche. Quella indicata dal medico di Sesto San Giovanni, prende il nome di “Nuclear sharing” o “Condivisione nucleare”; l’Italia dispone, secondo questo protocollo, di armi nucleari statunitensi a “doppia chiave”, utilizzabili, quindi, solo con il nostro consenso. Ma anche con quello di Washington. Italiane ma non italiane, insomma. Il “Nuclear sharing” comprende anche la Germania, la Turchia e i Paesi Bassi. Al principio degli anni ’80 del secolo scorso, Italia e Francia avevano ipotizzato la creazione di una “Force de frappe” (forza di dissuasione nucleare) congiunta, così da dare vita ad un asse italo-francese in grado di controbilanciare il potere anglo-americano sul “fianco sud” (il Mediterraneo) e , più in generale, in Europa. Una simile strategia avrebbe riattivato quella linea di collaborazione tra Roma e Parigi, già abbozzata da Mussolini e Laval, e poi scelleratamente abbandonata con gli esiti che la storia ci ha consegnato. Il nostro Paese, però, all’ultimo istante si tirò indietro, così come anni prima si era tirato indietro dal progetto del sottomarino a propulsione nucleare “Marconi”. La deterrenza nucleare esclusiva avrebbe consentito all’Italia la riconquista della sovranità nazionale sugli americani e la realizzazione, come detto, di un’alleanza militare, economica, politica e culturale in funzione non solo anti-anglo americana, ma anche anti-tedesca. Purtroppo, prima ancora del giogo yaltiano e dell’infausto Trattato del 1947, pesarono fattori di natura storica e culturale; l’Italia non dispone di una cultura unitaria forte e condivisa, ed era allora (in parte anche adesso) dominata da due forze, cattolici e comunisti, che mai hanno avvertito il senso di patria, il campanello dell’interesse comune. I primi, i cattolici, perché Universalisti e ancora condizionati dallo “strappo” di Porta Pia. I secondi, i comunisti, perché internazionalisti. L’ipotesi di una deterrenza atomica e di un recupero identitario può far storcere i nasi più “spinoziani”, ma ricordiamocene quando sbraitiamo per casi come il CERMIS, Amanda Knox, Chico Forti, ecc. O quando i nostri governi vengono obbligati a mandare le truppe ad ogni latitudine per tutelare gli interessi della UNOCAL.
Pertini e Scalfaro,due presidenti.
Puntualmente, appena la lancetta dell’indignazione popolare si avvicina alla mezzanotte, esplode in rete una Pertini-mania dai contorni offensivamente modaioli, con links e articoli evocanti il partigiano di San Giovanni di Stella, in una sorta di gigantesca Tavoletta Ouija in versione telematica. Non è mia intenzione contestare la caratura, immensa, dell’uomo, del politico e del cittadino, ma mi siano permesse alcune puntualizzazioni, confinate nel perimetro della constatazione storica e dell’indagine storiografica: Pertini, eletto al 16esimo scrutinio anche con i voti del PSI craxiano di cui faceva parte, fu posto al Colle in un’epoca che in nulla, per complessità, pericolosità e drammaticità, può essere accostata al segmento che viviamo attualmente; stragi di Stato, intrighi internazionali, terrorismo rosso, nero, la seconda guerra di Mafia che insanguinava la Sicilia, i Corleonesi che, rompendo una tradizione consolidata da decenni, facevano strage impunita degli uomini delle istituzioni, intrecci tra cosche e politica paralizzanti il Paese dalla “Linea Gustav” in giù, corruzione tentacolare, appaltismo, giochi di palazzo, “balnearizzazione” clientelar-opportunistica del governo nazionale, ecc. Eppure, Pertini, mai fece uso delle sue prerogative per imprimere una svolta rivoluzionaria in senso terapeutico al Paese. Mai “ruppe” l’argine contenitivo del suo ruolo per toccare lo “status quo”, per far si che qualcosa, fattualmente e non nella sola roboante retorica, mutasse. Erano i tempi del giogo-baricentro yaltiano, e forse anche questo pesava e doveva pesare. Differentemente, Oscar Luigi Scalfaro, anch’ egli partigiano, padre della Repubblica e della Costituente, è stato l’unico inquilino di Piazza del Quirinale ad opporsi in modo forte ed aperto, prima e dopo il mandato, agli stupri della politica, della morale civile e dell’etica pubblica, perpetrati dall’arcoriano e dal suo famiglio, il micro-partito leghista (non a caso è il Presidente di gran lunga più odiato dal centro-destra). Il suo essere democristiano (il partito che ci ha dato e difeso la democrazia) e l’opera di demonizzazione messa in atto nei suoi confronti dalla rete mediatica berlusconiana, hanno però prevalso, consegnandoci un ritratto sbiadito di disapprovazione che fa torto ad un gigante della politica, italiana come europea. Lo accosterei a Zanardelli, Nitti e Orlando (Vittorio Emanuele Orlando).