USA e URSS contro la Cina: la guerra che non fu

La prima detonazione atomica cinese, nell’aprile 1964, rappresentò un vero e proprio schock per l’amministrazione Johnson, orientata (come la precedente) alla stabilizzazione del rapporto con l’URSS nei termini del consolidamento e del mantenimento dell’equilibrio nucleare. A tal proposito, il Consigliere per la Sicurezza Nazionale McGeorge Bundy disse che la “bomba” maoista era “l’ unica, più grande minaccia allo status quo nei prossimi anni”.

Per questo motivo, un mese prima del test Lyndon Johnson aveva inviato* all’ambasciatore sovietico negli Stati Uniti Anatoly Dobrynin la proposta di un attacco congiunto americano-sovietico contro le installazioni nucleari cinesi. Idea bocciata dal diplomatico (il quale aveva risposto che la capacità nucleare della RPC era ormai una “conclusione scontata”) nonostante le fortissime tensioni tra Mosca e Pechino, destinate da lì a pochi anni a sfociare in un conflitto armato, sebbene limitato e circoscritto.

Già un anno prima, per la precisione nell’estate 1963, l’amministrazione Kennedy aveva recapitato la stessa proposta ai sovietici, tramite l’ambasciatore a Mosca Averell Harriman.

La Cina divenne così la quinta potenza nucleare, in un momento storico che vedeva quasi tutti i Paesi di una certa importanza (Germania Ovest e Italia comprese) cercare di dotarsi di un proprio arsenale atomico.

*sempre tramite Bundy

Pubblicità

“Sovranità”, natalità” e “famiglia”: perché non sono “parolacce”

Se un ministero per la “sovranità alimentare” esiste pure nella Francia di Emmanuel Macron (ed ha in un certo senso dei precursori anche a sinistra, basti pensare alla “Via Campesina”) e politiche per favorire la natalità vengono intraprese in altri paesi occidentali e da governi conservatori come progressisti (essendo il calo demografico una minaccia esistenziale per una nazione), la tutela di un concentrato di ricchezze ed eccellenze qual è il “Made in Italy” non potrà che essere considerata positiva e razionale.

Termini come “sovranità”, “natalità” e persino “famiglia”* sono tuttavia dei “frames” che a livello neurologico richiamano e attivano, in una parte degli elettori di sinistra, il ricordo del Ventennio, e di conseguenza tutto quello che è ad essi collegato viene percepito in chiave negativa e dunque respinto (si consigliano a tal proposito gli studi di Lakoff).

Ma c’è di più.

Per ragioni storiche ben note (un’interpretazione arbitraria dell’internazionalismo marxiano, ad esempio, oltre al già citato “tabù” dell’esperienza fascista), anche il rimando alla difesa dell’interesse nazionale e a tutto ciò che sia vagamente identitario è inteso e bollato da costoro come sbagliato, pericoloso, minaccioso ed anacronistico. Un approccio “innaturale”, oltre che autolesionistico, che ha contribuito, in un’ultima istanza, a rendere quella sinistra impopolare, ad allontanarla dal cosiddetto “paese reale”, dai cittadini e dai loro bisogni.

*con il riconoscimento delle unioni civili, anche i legami tra cittadini dello stesso sesso sono e saranno tutelati dalle politiche per la famiglia

Il pacifismo “strategico” dagli Euromissili all’Ucraina

Le proteste dei pacifisti occidentali a seguito dello schieramento dei missili USA-NATO IRBM Pershing-2 e BGM-109 Tomahawk in Gran Bretagna, Repubblica Federale Tedesca, Italia, Belgio e Olanda agli inizi degli anni ’80, tendevano a trascurare nel loro discorso il decisivo elemento causa-effetto, ovvero come il blocco atlantico avesse assunto quella postura in reazione al precedente schieramento, da parte sovietica, degli SS-20* (non a caso la mossa sovietica aveva suscitato risposte molto meno robuste). L’Occidente e solo l’Occidente era irresponsabile, l’Occidente e solo, o prima, l’Occidente doveva fare un passo indietro.

Oggi notiamo qualcosa di simile, con un segmento importante (e stavolta politicamente trasversale) del pacifismo che invoca la fine delle ostilità ma ne dimentica ed omette le ragioni, quando non giustifica in maniera aperta Mosca.

Un simile approccio, innanzitutto se non esclusivamente ideologico e politico e senza dubbio superficiale, danneggia le istanze pacifiste in relazione al conflitto in Ucraina, e ciò nel loro complesso, facendole apparire secondarie, insincere e strumentali, degli escamotage a vantaggio di Putin e per di più adesso che la situazione sembra volgere al peggio per le truppe della Federazione Russa.

*dal 1977

Michail Gorbačëv e i vantaggi di una sconfitta: una chiave di lettura per il futuro?

Riconoscendo l’errore di aver invaso l’Afghanistan e ritirando le truppe, Michail Gorbačëv perse, sì, la guerra e la credibilità davanti al regime collaborazionista del PDPA , ma sull’altro piatto della bilancia ottenne vantaggi ben più importanti e pesanti.

Più nel dettaglio:

-risolse il problema dell’emorragia di uomini (oltre 1 milione), mezzi e denaro derivata dal conflitto (a tal proposito non andrà dimenticata la questione, spinosissima, del mancato o inefficace reinserimento dei reduci, spesso respinti dalla società)

-rilanciò la credibilità internazionale dell’URSS

-fece diminuire la diffidenza dei paesi vicini e del Terzo Mondo, ma più in generale della comunità mondiale, verso Mosca

Un passo non troppo difficile per l’uomo della perestrojka, se si considera che non era stato lui ad iniziare la guerra ma Leonid Brežnev.

Non è quindi irrazionale ipotizzare che un successore di Putin farà altrettanto con l’Ucraina, qualora il confronto militare con Kiev dovesse protrarsi a lungo, impantanando i russi come 40 anni fa.

L’URSS e il nodo-NATO dopo la fine della Guerra Fredda

Quella telefonata di 32 anni fa

“Secondo punto: l’adesione alla NATO della Germania. Il minimo su cui occorre insistere è la non partecipazione della Germania a un’organizzazione militare, come per esempio non vi prende parte la Francia. Il minimo del minimo è almeno il non stanziamento di armi nucleari su tutto il territorio tedesco. Secondo i sondaggi, l’84 percento dei tedeschi è per la denuclearizzazione del Paese”

Così Valentin Mikhailovich Falin, consulente del Kremlino per la questione tedesca, nel luglio 1990 durante una telefonata con Michail Gorbačëv (gli altri due punti riguardavano questioni di natura legale, burocratica ed economica). Il segretario del PCUS concluse tuttavia la conversazione dicendo: “Farò tutto il possibile, ma temo che ormai abbiamo perso il treno.”

Le parole di Falin dimostrano come l’URSS avesse effettivamente pensato ad una serie di richieste per contenere l’ampliamento della NATO e l’influenza atlantica oltre i perimetri tracciati nel 1943/1945, mentre l’atteggiamento di Gorbačëv sembrerebbe confermare la tesi secondo cui tra l’Occidente e l’Unione Sovietica non vi sia mai stato alcun accordo in merito (sebbene lo stesso padre della perestrojka e diversi ex leader d’oltrecortina ne abbiano parlato in diverse occasioni).

E’ da notare come nel febbraio dello stesso anno anche Walter Momper, allora sindaco di Berlino Ovest, avesse elaborato una proposta in nove punti sulla riunificazione tedesca che prevedeva la smilitarizzazione completa della vecchia DDR.

Allarme nucleare? Cosa ha detto veramente Dmitrij Peskov

Interpellato a riguardo dalla CNN, il portavoce del Kremlino Dmitrij Peskov ha detto che la Russia potrebbe far ricorso al nucleare solo se la sua esistenza fosse minacciata in maniera diretta. Una posizione razionale ed ovvia (la dottrina nucleare statunitense è ad esempio più disinvolta), tuttavia strumentalizzata dai media occidentali che hanno voluto presentarla come un avvertimento o peggio come l’inizio di un’escalation, dell’apocalisse termonucleare (Peskov sembra invece ridimensionare certi azzardi di Putin).

Certe manipolazioni (“mal-informazione”*) non sono riconducibili solo ad esigenze di “marketing” (fare “cassetta”) di questa o quella testata, di questo o quel vettore, ma anche ad una strategia comunicativa e propagandistica precisa dell’Occidente e dei sui canali di appoggio per screditare Mosca e/o tenere alta la soglia dell’attenzione/ tensione.

*la distorsione, la manipolazione e la strumentalizzazione dei fatti, anche reali, ad opera delle istituzioni

Cosa dimentica il revanscismo russo: il caso DDR

Il 26 aprile 1989 si svolse un incontro sulla situazione dell DDR tra il diplomatico tedesco-orientale Bruno Mahlow e il capo settore del Dipartimento IV (Relazioni internazionali) del Comito centrale del PCUS Koptelcev. Pur raccomandando cautela, Koptelcev fece notare a Mahlow come la questione nazionale nella Germania Est non fosse mai stata risolta, a dispetto di quanto sostenuto dai suoi dirigenti, anche per il potere di attrazione che la superiorità economica della RFT esercitava sulla gente al di là del Muro. Koptelcev rincarò la dose: “Che la questione nazionale nella DDR sia ancora irrisolta è dimostrato dalla dichiarazione del compagno Honecker, secondo cui la questione dell’unità tedesca sarebbe completamente diversa, se si considera una possible vittoria del socialismo nella Repubblica federale. Al momento, tuttavia, un tale sviluppo non sembrerebbe all’orizzonte”.

A dispetto delle teorie di un certo revanscismo russo, secondo cui la riunificazione tedesca sarebbe stata un sopruso, addirittura illegale (si pensi alle recenti dichiarazioni a riguardo del ministro Lavrov), come possiamo vedere il destino della “Prussia rossa” era già stato deciso, e da Mosca, ben prima del 9 novembre/22 dicembre 1989 e del 3 ottobre 1990.

Fu la Russia, è bene ricordarlo, a volere l’autodeterminazione dei paesi satellite (Dottrina Sinatra) e delle repubbliche sovietiche (cosa che evitò uno scenario di tipo jugoslavo , ma ben più grave), innanzitutto perché ormai incapace di sostenere gli enormi costi di gestione di un apparato giunto ad una crisi ritenuta irreversibile.

Nota: Paradossalmente furono proprio le leadership dei paesi satellite e parte della loro opinione pubblica ad opporsi alla Dottrina Sinatra ed alle sue conseguenze. Già negli anni ’50, subito dopo la morte di Stalin, alcuni settori della dirigenza sovietica avevano ipotizzato l’abbandono dell’impero cosiddetto “esterno” e di riformare radicalmente il socialismo (si pensi a Malenkov e Berija).

L’oggi e il domani: perché dobbiamo dialogare con la Russia

Anche quando lo stallo russo si trasformasse in una sconfitta militare (ipotesi forse improbabile ma non irrazionale) e/o nella fine del putinismo (ipotesi forse improbabile ma non irrazionale), la mancata ricomposizione degli elementi di attrito e la rabbia per lo smacco subìto potrebbero dare luogo, in futuro, a reazioni imprevedibili da parte della Russia, dove l’elemento nazonalista-revanscista è assai potente e consolidato. La storia, a noi vicinissima, delle guerre jugoslave (1992 circa -2000 circa), dimostra come sentimenti ostili e di rivalsa possano rimanere sopiti o quasi per decenni, anche per secoli, per poi deflagrare all’immprovviso e in modo devastante, soprattutto quando la situazione economico-sociale è sfavorevole*.

Per questo occorre trovare immediatamente un punto di equlibrio tra Mosca e Kiev, tra noi e Mosca, un “win win scenario” che soddisfi, nei limiti del possibile, le aspettative di tutti. La posta in ballo è troppo alta, per noi e per le generazioni future, per tentare prove di forza e giochi d’azzardo.

*si pensi al discorso di Gazimestan pronunciato da Slobodan Milošević (era il 1989) sulla sconfitta patita dal regno serbo medioevale ad opera degli ottomani nel XIV secol

A chi parla Vladimir Putin quando minaccia

Putin sapeva molto bene quali sarebbero state le reazioni alla sua operazione in Ucraina (e lo dimostrano le mosse fatte in precedenza, ad esempio con la Cina), ovvero sanzioni economiche, isolamento internazionale e fornitura di armi a Kiev. Nel momento in cui minaccia ritorsioni, anche parlando di “atti di guerra” da parte nostra, non si rivolge quindi alle nostre classi dirigenti , ma a noi. Lo scopo è spaventare l’opinione pubblica dei paesi avversari, per destabilizzarli e metterli in difficoltà. Una forma di propaganda “indiretta”.

L’Ucraina oltre la realpolitik

Al netto di ogni riflessione su Zelens’kyj e la sua amministrazione e sull’esigenza di trovare un equilibrio con Mosca (oggi e domani) in base alle logiche della realpolitik, non si dovrà dimenticare un punto di principio, fondamentale: l’Ucraina è uno Stato indipendente e sovrano e come tale ha il diritto di scegliere da chi farsi governare e come e di scegliere i partner e le alleanze che vuole e considera necessari.

Uno Stato estero, un Attore esterno, non ha invece alcun diritto di imporle l’agenda o di interferirvi, a meno che non si verifichino condizioni eccezionali e particolari, meno che mai sulla scorta di un semplice sospetto o di pulsioni proiettive.