L’arroccamento di una parte non marginale della sinistra, non solo italiana, alle misure restrittive ed alla cultura dell’emergenza (più che allo stato d’emergenza stesso o alla narrazione dell’emergenza) può forse trovare una risposta ed una chiave di lettura nei residui di quell’eredità socialista cui è debitrice, insieme al M5S, per ragioni storiche, politiche e ideologiche.
Al di là dei fattori legati alla stretta contingenza, come l’essere al governo (quindi il dover approntare metodologie di contenimento e il doverne difendere la bontà) e l’indubbio guadagno derivato da una compressione “de facto” delle libertà individuali e politiche, una cultura più sensibile al collettivo rispetto a quella delle più individualiste destre borghesi, l’assegnazione di un primato al pubblico ed allo Stato dirigista e regolatore, l’ambizione (in questo caso espressa da molti esponenti ed elettori di centro-sinistra e grillini) di usare l’emergenza Covid per ridimensionare il capitalismo e/o avviare la cosiddetta “decrescita felice” (concetto presente anche nelle destre di eredità ruralista) ed una ancor fragile mentalità liberale, agiscono in maniera sinergica, confezionando il feticcio laico della sicurezza sanitaria “senza se e senza ma”.
L’interrogativo più incalzante oggi su banco è se e per quanto, qualora i numeri dovessero confermarsi bassi in autunno e nel 2021, un simile approccio potrà essere sostenuto e risultare accettabile e cedibile, senza compromettere le fortune politiche dei suoi patrocinatori.