Wilson e il mito della “più grande democrazia del mondo”

Subito dopo la Grande Guerra, il presidente americano Woodrow Wilson fece una “tournée” in Europa per promuovere la sua ricetta geopolitica e la sua visione ideologica e morale degli equilibri internazionali*.

Acclamatissimo per il ruolo di capo di quella che ormai si era affermata come la prima potenza mondiale, per il fascino suscitato dal suo idealismo e per le sue capacità comunicative (fu tra i pionieri della “celebrity presidency” e del “celebrity political system”), anche da qui, da questa “tournée”, ebbe origine il mito, spesso abusato e infondato, degli USA come “più grande democrazia del mondo”; il Paese, la grande potenza vincitrice, che usciva dai confini per esportare non solo armi nuove, nuove tecnologie e dollari, ma pure una nuova “moral suasion”, una nuova concezione della politica e della vita.

*grazie ad un’altra “tournée”, stavolta interna, Wilson riuscì a convincere gli americani ad accettare la scelta interventista

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Inginocchiamenti, ricatti e saluti romani: quella polarizzazione che non fa bene alla causa antirazzista

Rendere obbligatoria, in maniera esplicita od implicita, l’adesione ad un’iniziativa benefica o sociale, è controproducente, sbagliato e illogico, perché cozza con la sua vocazione, con la sua stessa essenza. Tanto più in un caso come quello dell’inginocchiamento, che vede i giocatori contrari accusati di razzismo e persino di fascismo, senza voler tener conto della sfumatura, della peculiarità, delle sensibilità altrui (come il sottoscritto, si può essere antirazzisti e allo stesso tempo non essere d’accordo con questa modalità simbolica).

Meglio farebbe l’UEFA a scegliere strumenti diversi, e ne esistono moltissimi, per veicolare il messaggio inclusivo e antirazzista, evitando il coinvolgimento di persone che sono in campo solo per fare gli atleti. Altrimenti, e lo stiamo vedendo oggi, le polemiche non faranno altro che aumentare e irrigidire la polarizzazione, a svantaggio della causa che si vuole sostenere e patrocinare.

Nota storica: il mediano Bruno Neri rifiutò di soggiacere ad un’imposizione (il saluto fascista), quindi citarne l’esempio, contrapponendolo alla scelta di chi non ha voluto inginocchiarsi, è improprio e antistorico, un potenziale boomerang.

DDL Zan: quel boomerang per i giallo-rossi (ma anche per il Vaticano)

Rilanciato in agenda dal blocco giallo-rosso anche per serrare le fila, ricompattarsi e recuperare consensi dopo i cali nei sondaggi e le difficoltà degli ultimi mesi (dovuti soprattutto alla gestione della crisi sanitaria), il DDL Zan potrebbe adesso trasformarsi in un pericolosissimo boomerang per i suoi sostenitori e patrocinatori.

E’ infatti molto difficile che il PD, per di più a guida Letta, e il M5S di governo e dimaiano, proseguano lo scontro con la Chiesa (la nota è arrivata dalla segreteria di Stato vaticana, non si tratta di una semplice protesta della CEI o dell’esternazione di qualche singolo porporato), ma fermare o depotenziare il disegno di legge avrebbe, per loro, effetti catastrofici, in termini di credibilità, immagine e politico-elettorali.

Su fronte opposto, e al netto di ogni rilievo di merito sul caso di specie, il Vaticano deve comprendere che non siamo più negli anni ’50 e nemmeno ai tempi del berlusconismo; la sua capacità di condizionare le urne non è più determinante, non ha più un referente politico/partitico “ufficiale” e autorevole e certe ingerenze sono ormai poco tollerate dagli italiani e anche a destra e tra i conservatori. In un mondo (occidentale) sempre più secolarizzato, tecnologico, multi-culturale e razionalista, la Chiesa cattolica ha forse imboccato la fase calante della sua lunga parabola storica.

Inginocchiarsi?Se chi sta in piedi è invisibile

Il razzismo è un fenomeno (un male) universale e trasversale. Guai a pensare esista solo quello dei bianchi contro i neri o a veicolare una simile idea. Tuttavia, il mondo “bianco” “occidentale” è forse l’unico ad aver sviluppato, pur tra mille limiti e manchevolezze, una coscienza fortemente autocritica a riguardo, anche oltre il limite del ragionevole. A denunciare e combattere, insomma, il proprio pregiudizio, a fare ammenda per gli errori del passato e per quelli del presente. Un’evidenza che troppo spesso ci sfugge o preferiamo ignorare e nascondere, prigionieri di un senso di colpa che, appunto, abbiamo solo noi, almeno in queste proporzioni.

Inginocchiarsi?

Il riferimento al solo razzismo contro i neri, da parte dei bianchi o comunque dei non-neri, e alla vicenda di George Floyd (il gesto di inginocchiarsi), in cui il movente razziale è solo un’ipotesi (la squadra di Derek Chauvin comprendeva anche un asiatico e un mulatto e sia Chauvin che i suoi compagni erano finiti sotto accusa anche per abusi ai danni di bianchi), rende ambigua e discutibile la politica del Black Lives Matter, non a caso stigmatizzata pure dal Muhammad Ali Center.

Ferma restando la condanna del razzismo, di ogni razzismo, una tematica tanto delicata e complessa andrebbe affrontata con il massimo equilibrio e la massima onestà intellettuale, evitando gerarchizzazioni e fraintendimenti potenzialmente divisi e impliciti ricatti morali a chi manifesta, con ragionevolezza, posizioni difformi.

Funivia: video shock?

Quante volte abbiamo osservato le immagini del delitto Kennedy o quelle di una battaglia delle due guerre mondiali? O, ancora, di uno dei tanti conflitti del passato o che insanguinano, anche nel presente, il pianeta? E’ capitato spesso, ma non ci hanno scosso o comunque non così tanto da determinare un’ondata di sdegno contro chi le he divulgate. Questo perché la patina del tempo e la distanza geografica ci permettono di guardarle con distacco, lo stesso distacco con il quale andiamo a vedere le mummie, anche di bambini, nei musei. E’ Storia, ci piace (giustamente) e ci incuriosisce (giustamente).

Pure le immagini del disastro della funivia sono Storia, sono documenti storici, ma la prossimità temporale dell’evento e il fatto si sia verificato in Italia rendono difficile, se non impossibile, l’approccio distaccato. Si tratta di una ferita ancora aperta, apertissima, ma quel filmato non è meno cruento (anzi) della visione di un soldato che salta in aria, del cervello di JFK sulla carrozzeria di un auto o di un sarajevese che cade colpito da un cecchino. D’altro canto, se gli ultimi istanti di quei poveri turisti fossero stati mostrati tra dieci, venti o trent’anni, la cosa non avrebbe destato il minimo scalpore o non come adesso, neanche lontanamente.

Al di là di ogni commento di natura legale e giuridica sulla liceità di quella diffusione, parlare di “pornografia del dolore”, di “macabro voyeurismo “, ecc, è quindi una reazione emotiva, di “pancia”, forse poco lucida e poco razionale.

Se i bulli, i giustizieri e gli indignati sono le facce della stessa medaglia

Alla base del cyberbullismo, ma più in generale del cattivo modo di porsi con gli altri e l’Altro sui social, c’è anche il nostro bisogno/desiderio di approvazione (si pensi che un “like” è sufficiente a rilasciare “scariche” di dopamina). Un elemento decisivo e fondamentale, che il giornalista e massmediologo britannico Jon Ronson spiega con grande chiarezza.

Bullizziamo anche per piacere a sconosciuti e amici ma, si faccia attenzione, attacchiamo il “bullo”, o comunque chi ha sbagliato o crediamo abbia sbagliato, usando spesso i suoi stessi metodi (shitstorm) e per i suoi stessi motivi. Come lui siamo in cerca di attenzione, di approvazione. E questo trasforma pure noi in bulli, in cattivi fruitori della rete. In persone omologate che non pensano abbastanza, prima di schiacciare il tasto “Invio”.

Una dinamica tossica e intossicante che si auto-alimenta all’infinito e difficile da contrastare e arginare, in un contesto con la potenza diffusiva e la “memoria storica” del web.

Saman, la sinistra, il dito, la Luna e il “patriarcato”

Non potendo più proseguire nel loro pesantissimo silenzio sul dramma di Saman Abbas, una certa sinistra e un certo femminisno hanno scelto e stanno scegliendo di optare una condanna, generica, del “patriarcato” e della cultura maschilista. Un guardare il dito invece della Luna che sa di exit strategy, la proverbiale “toppa ” che è peggiore del “buco”.

Si tratta, andando più in profondità, di un escamotage politicamente corretto per sorvolare sulle reali motivazioni alla base della vicenda, legate intrinsecamente e storicamente alla cultura/comunità di appartenenza della ragazza. Si vuol far finta, insomma, che una certa interpretazione dell’Islam non c’entri, che non c’entri una certa e ben precisa visione della società e della donna ma che Saman sia stata vittima di quello stesso maschilismo rintracciabile ovunque, anche in Italia e in Occidente, tra i cristiani e i cattolici.

Un “tutti colpevoli” per semplificare e non voler vedere, in questo caso, nessun vero colpevole. Un atteggiamento che rivela e conferma l’incapacità che una parte della nostra politica, del nostro Paese e dello stesso mondo occidentale ha (per complesse ragioni storiche e ideologiche) di approcciarsi in modo lucido ai problemi legati alla convivenza e all’interazione con culture ancora immature e primitive nell’ambito dei diritti, nell’ intendere e nel concepire l’Altro.

Le incognite del “criterio di eccezionalità”, tra passato e presente

« Lo Stato liberale, con la circospetta e ferrea limitazione della dei suoi interventi nella sfera collettiva (se non sotto la forma del paternalismo scelto, in una certa fase, da qualche da qualce frazione dei suoi gruppi dirigenti), venne colpito in pieno (e travolto) dalle “tempeste d’acciaio” scatenate dalla Prima Guerra Mondiale. E il controllo dell’informazione e le attività propagandistiche totalizzanti che esso mise in campo e dispiegò rappresenteranno altresì il viatico e il brodo di coltura per una serie di apprendisti stregoni che sapranno appropiarsene, trasformandosi, per molti versi, nelle avvisaglie e nei laboratori del totalitarismo. »

Sociologo della comunicazione, massmediologo, saggista e consulente di comunicazione politica e pubblica, il Prof. Panarari offre uno spunto per una riflessione sulla fase storica odierna.

Benché oggi la democrazia occidentale sia senza dubbio molto più matura e solida rispetto al 1914-1918, il “criterio di eccezionalità” (impiegato con le sue varie ramificazioni nell’emergenza Covid) resta uno strumento ambiguo e in linea teorica pericolosissimo, per i suoi effetti nell’immediato ma soprattutto per il precedente che è andato a creare.

Non va tuttavia escluso che la sua adozione possa anche determinare una “reazione di rigetto”, capace di irrobustire, invece di indebolire, la democrazia formale, quella sostanziale e, più in generale, la cultura democratica.

Se diventerà tutta colpa dei baristi (di nuovo)

Colpire un ristoratore, un barista, un negoziante o il proprietario di una palestra significa colpire anche i loro dipendenti, che si troveranno senza lavoro o con un’importante compressione degli stipendi. E’ d’altro canto pacifico che in ogni momento di crisi economico-sociale le categorie più esposte siano quelle già meno solide e influenti a cose normali.

Un’evidenza che una certa sinistra, imbrigliata in dogmatismo chiusurista forse determinato anche dalla sua avversione culturale alla piccola-media imprenditoria e da un improbabile disegno “decrescista” , ha dimenticato, salvo accorgersene adesso, con lo sblocco dei licenziamenti e degli sfratti alle porte.

Il “bombing”, e non solo social, contro i piccoli esercenti cui stiamo assistendo negli ultimi giorni, potrebbe dunque rispondere anche al bisogno di trovare un capro espiatorio sul quale far ricadere la responsabilità dello sconquasso sociale che il Paese rischia di attraversare.

Se così fosse avremmo uno scenario di guerra civile a “bassa intensità”, con una una parte della politica italiana e delle istituzioni in aperto conflitto con una parte della Nazione, del popolo.