Estremismi a confronto: cosa ci insegnano i fatti di questi giorni

Veder solidarizzare con le forze dell’ordine, e invitare alla repressione, certi settori della sinistra storicamente ostili alle divise e vicini a personaggi come Carlo Giuliani e/o a movimenti eversivi o ai limiti dell’eversione, stupisce solo se non si procede ad un’analisi della loro fisionomia ideologica e dei loro trascorsi. Soggetti intrinsecamente illiberali e intolleranti, trovano giuste e normali, nell’ambito del gioco delle parti, la censura e la violenza (anche se e quando non necessarie e giustificabili) nei confronti dell’avversario, che oggi indossa i panni del no-GP.

Sul fronte opposto pecca invece di ingenuità chi pretenderebbe dalla Meloni la sconfessione di certe frange estremiste (e questo al di là di quanto accaduto negli ultimi giorni o da vicende come quella del “barone nero”). Meloni non può farlo, semplicemente perché vorrebbe dire sconfessare la sua stesa identità, l’identità stessa di FdI, forza che riprende idealmente il percorso del vecchio MSI. Un cambio di rotta simile condannerebbe il partito di Via della Scrofa allo stesso destino del (pur valido) progetto dell’ultimo Gianfranco Fini. Purtroppo in Italia manca ed è sempre mancata, quantomeno dagli anni ’20 del secolo scorso, una destra autenticamente liberale che fosse anche competitiva, un “vulnus” che ha finito col penalizzare l’intero Paese.

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Manifestazioni: il ruggito del “sorcio” (e Cassandra aveva gridato anche stavolta)

Tra gli errori commessi in questi mesi dalle istituzioni e da una parte del mondo della scienza e della politica, c’è l’aver trascurato alcuni aspetti fondamentali della “comunicazione d’emergenza” e della sua strategia d’insieme. Non solo, infatti, si è cercato l’allarmismo, in modo quasi continuo e costante, ma anche la spaccatura del “fronte interno”. Uno sbaglio, quest’ultimo, imperdonabile e dilettantesco, forse il peggiore.

La demonizzazione del dissenso, additare come irresponsabile, “complottista”, “negazionista”, fascista o ignorante chiunque muovesse delle critiche alla gestione della crisi o si allontanasse dalla narrazione dominante, deriderlo ed esporlo al pubblico ludibrio, fomentare l’odio, il sospetto e la contrapposizione invece di promuovere la coesione e la partecipazione, ha finito col rendere ancor meno sopportabili le durissime misure restrittive (talvolta già inutili se non dannose ai fini del contenimento del virus) e i loro estensori e sostenitori. Una vera e propria “lotta tra bande, una deriva che corpi intermedi quali ad esempio i sindacati non hanno ostacolato come avrebbero dovuto, venendo meno al loro ruolo e alla loro missione.

All’origine dell’insofferenza e della protesta esplose in questi giorni non c’è dunque solo lo scetticismo verso il Green Pass, così come l’assalto (pur esecrabile) alla sede della CGIL non è riconducibile solo a pulsioni ideologiche novecentesche. Come previsto e prevedibile, l’ “altra” Italia si è avvicinata al punto di rottura, sperando non lo abbia già raggiunto. La propaganda può molto, soprattutto quando arriva dal vertice, ma non può tutto.

Strette sulle manifestazioni? Perché l’eccezione non diventi regola

Se lucidi e razionali, i nuovi dispositivi annunciati dal governo Draghi per prevenire l’insorgere di situazioni critiche durante manifestazioni e cortei non potranno che risultare ben accetti, in caso contrario ci troveremmo di fronte ad un problema molto serio, all’evolversi metastatico di uno scenario già noto e consolidato anche per l’inerzia e la complicità di un segmento rilevante dell’opinione pubblica.

La posizione rispetto allo stato d’emergenza e al suo corollario di limitazioni delle libertà, è bene ricordarlo, non dovrà mai essere acritica e meno che mai esaltatoria. Anche quando favorevoli, non si dovrà mai dimenticare che si tratta di misure comunque gravi e obbligatoriamente transitorie. Refrattario per definizione alle critiche e ai vincoli, l’establishment politico non dovrà mai avere l’impressione, in buona sostanza, di potersi spingere troppo oltre, che il cittadino sia disposto a rinunciare, parzialmente o in blocco, ai suoi diritti fondamentali, che sia possibile violare il tabù della sterzata autoritaria, della compressione delle garanzie costituzionali.

Fascisti! (perché non può funzionare)

L’Italia è un Paese politicamente conservatore che sotto certi aspetti non ha mai fatto i conti con il Ventennio (tendiamo ad esempio a considerare i nazisti solo come nemici e invasori dimenticando che furono anche nostri alleati*). La “black scare”, agitare lo spetro del Fascismo come strategia per cercare di battere l’avversario, non può quindi funzionare, se non sul brevissimo termine sfruttando il potere derivato dalla credibilità di Draghi e dall’eccezionalità del momento che stiamo vivendo. Al contrario potrebbe diventare, sul medio e lungo periodo, un boomerang. Anche usarla per serrare le fila e ricompattarsi all’interno finirebbe col danneggiare l’immagine (già precaria) del centro-sinistra, associandolo a stantie e abusate memorie novecentesche.

*Un’anomalia che si riscontrava, pur con le dovute differenze del caso, nella DDR. La Germania Est aveva infatti espulso il nazismo dalla propria memoria, associandolo alla sola Germania Ovest

Amministrative: lo spumante? Meglio lasciarlo in cantina

Forse distratto dai festeggiamenti per il risultato elettorale, il centro-sinistra dimentica di fare alcune valutazioni indispensabili per un’analisi utile e lucida.

In particolare:

-le amministrative sono un test parziale-nelle amministrative entrano in gioco dinamiche diverse rispetto alle politiche, e del tutto peculiari

-i comuni più importanti nei quali il centro-sinistra ha vinto erano già, o almeno lo sono dall’avvio della Seconda Repubblica, sue “roccaforti, dove il centro-destra o altri soggetti si sono imposti poche volte (si pensi a Roma, Napoli e Torino)

-l’astensionismo ha toccato cifre record e storicamente si tratta di voti persi soprattutto dalla destra (elettorato che sente meno la militanza e la politica)

-questa volta, almeno ai ballottaggi, in ragione della partnership con il centro-sinistra i voti grillini non sono più andati al centro-destra, come invece era accaduto negli anni passati (si vedano i casi di Livorno, Torino, Roma, Massa, Cascina, ecc) . Il PD ha inoltre conquistato 6 capoluoghi in alleanza con il Movimento 5 Stelle, prima suo avversario.

-il centro-sinistra ha goduto dell’ “effetto Draghi” e le manifestazioni di questi giorni gli hanno consentito di ricompattarsi e serrare i ranghi. E’ invece probabile che il centro-destra sia stato danneggiato dalla massiccia campagna mediatica contro i manifestanti no-GP, appoggiati anche da Meloni e Salvini, e da vicende come quella di Luca Morisi. Tutti e quattro sono fattori transitori ed episodici.

Esaminando i sondaggi sul nazionale, ci si renderà tuttavia conto che FdI è oggi il primo partito con circa il 21% (trend in continua crescita), la Lega il secondo con circa il 19,4% (se non si bruciano nell’astensione, i voti che Salvini perde vanno alla Meloni), mentre il PD, attestandosi intorno al 19,2% , non riesce a staccarsi dai numeri della debacle del 2018 (18,7%). 7%, infine, per FI, mentre il Movimento 5 Stelle conferma il suo declino, con un 16,4% circa. M5S che, è bene fare attenzione, data la su natura “liquida” potrebbe tornare ad appoggiare in futuro un governo di “destra”, a trazione Lega-FdI.

Benché siano innegabili l’insuccesso e gli errori del centro-destra, (osservando la mappa geografica delle astensioni, massicce nelle periferie, ci si accorgerà che la Lega paga senza dubbio l’appoggio al governo Draghi), darlo per morto o pensare non vada cambiato nulla in questo bocco giallo-rosso sarebbe un’ingenuità fatale.

Perché Alessandro Barbero non ha tutti i torti (e perché, forse, c’è dell’altro)

Quando una comunità si trova e resta in una situazione di disagio e svantaggio, benché abbia in linea teorica i numeri e le potenzialità per ribaltarla, non è sempre e solo “colpa” di elementi esterni, di chi, esterno, trae da essa vantaggi e benefici.

A dispetto di una certa narrazione occidentale figlia del rimorso, ad esempio, il dramma del Terzo e del Quarto Mondo non è riconducibile soltanto allo sfruttamento coloniale e a quello neo-coloniale ma pure a debolezze e a problematiche e peculiarità intrinseche di quei paesi. Allo stesso modo molti popoli che, oggi come in passato, non riescono e non sono riusciti a liberarsi e ad emanciparsi da una dominazione straniera, pagano anche divisioni e spaccature interne, errori interni di diversa origine e natura (emblematico, a riguardo, il caso italiano pre-ottocentesco).

Per questo, nonostante le difficoltà di misurarsi con il politicamente corretto, il Prof. Alessandro Barbero non ha avuto tutti i torti e d’altro canto, da storico, ha parlato con cognizione di causa. Non sempre, in buona sostanza, la “vittima” è tale né il suo status (di vittima) la rende immune dallo sbaglio, al di sopra della critica.

Sarebbe comunque utile e interessante sapere se dietro la manipolazione e la strumentalizzazione delle sue parole (non ha mai detto che le donne sarebbero “insicure” e “poco spavalde”) vi siano soltanto una lettura frettolosa e/o il voler fare del sensazionalismo per vendere qualche copia in più, oppure se non si tratti di una “trappola” per delegittimarlo e togliergli credibilità dopo le dichiarazioni sul Green Pass. Di una “trappola” o di un “avvertimento”. E’ infatti innegabile che tutti coloro i quali si sono schierati contro la linea ufficialista e dominante sul Covid, o ne hanno criticato alcuni aspetti, abbiano subito campagne delegittimatorie. Come diceva Herman Melville, “la vera conoscenza deriva soltanto o da un sospetto o da una rivelazione”.

Post fata resurgo? Errori e anomalie del movimento no-pass

Il movimento di protesta contro il Green Pass è da intendersi anche come la conseguenza di un malessere profondo, che parte da lontano, dai primi errori nella gestione pandemica. Proprio per questo, tuttavia, sarebbe stato più sensato e strategicamente proficuo agire prima, contro quelle imposizioni restrittive che violavano, sì, i nostri diritti fondamentali e senza avere una ratio scientifica.

Insorgere e “risorgere” adesso, per dire no a un dispositivo che è l’unico mezzo per evitare nuove chiusure e nuove strette liberticide (almeno finché l’Italia avrà l’attuale classe dirigente politico-sanitaria), non è solo strategicamente e politicamente azzardato ma anche illogico. Questo se si considera che il Green Pass esisteva di fatto già da prima, essendo alcune vaccinazioni obbligatorie, come già da prima esistevano requisiti obbligatori per accedere al lavoro e ad altre attività fondamentali.

All’armi non son fascisti: il Green Pass e la demonizzazione di un dissenso

Fatta salva la condanna della violenza come strumento di lotta politica all’interno di un sistema democratico e messa da parte ogni considerazione di carattere giuridico, morale e politico sul Green Pass, delegittimare un movimento vasto, trasversale, internazionale e pacifico come quello contro il lasciapassare verde, usando a pretesto una minoranza di facinorosi e di estremisti, è un’operazione ingannevole che rientra nella propaganda cosiddetta “agitativa” (elaborata per stimolare reazioni ostili contro un determinato bersaglio).

Nel caso di specie viene sviluppata attraverso le seguenti tecniche:

-“proiezione” e “analogia” (i contrari al GP vengono associati, tutti, ad un’immagine negativa e respingente, quella del “fascisti” e dei violenti)

-“ripetizione” (il messaggio viene ripetuto di continuo e da/con tutti i canali possibili e disponibili) -“semplificazione” (come detto, i contrari al GP vengono associati ai “fascisti” ed ai violenti ma anche ai no-vax, sebbene le due istanze siano differenti e separate)

-“mal-informazione” (la distorsione, la manipolazione e la strumentalizzazione dei fatti, come limitarsi a mandare in onda solo le interviste ai facinorosi e/o le immagini delle loro azioni)-appello al “senso comune” (si cerca di far credere che la posizione del mittente e dei favorevoli al GP rispecchi quella della maggioranza degli italiani, a differenza delle posizioni dei contrari al dispositivo)

-“argumentum ad hominem” (legata alla “proiezione” o “analogia” e articolata in varie forme, scredita un’intera comunità ponendo l’accento su una minoranza al suo interno)

Invece di ascoltare le ragioni, anche lucide e razionali, di un segmento non trascurabile della popolazione (tra chi disapprova il Green Pass ci sono anche molti e autorevoli giuristi, non va dimenticato) e di comprenderne il malessere e la rabbia dopo mesi difficilissimi, una parte della politica, delle istituzioni, del mondo dei media e della società civile sembra invece insistere nella pericolosissima strategia polarizzante basata sullo schema binario “buoni”-contro -“cattivi”, demonizzando il dissenso e mettendo sullo stesso piano chi muove delle obiezioni al GP (peraltro abolito o ritenuto illegittimo in alcuni paesi) e alle misure d’emergenza e no-vax, complottisti, negazionisti, estremisti di destra, ecc. Una scelta che può pagare nell’immediato, serrando i ranghi dell’esablishment, ma che sul medio-lungo periodo non farà che aumentare la distanza tra il popolo e la politica e la diffidenza verso la scienza, gli scienziati e le case farmaceutiche, determinando la condanna della Storia.

Non aveva torto chi paragonava l’attuale momento storico ad una “guerra”, benché della guerra non abbia gli aspetti più “romantici” ed eroici, ad esempio la coesione , il cameratismo e lo slancio impavido, ma quelli più negletti e sordidi, come lo “stato d’eccezione” con il suo corollario di limitazioni delle libertà e dei diritti, la mobilitazione mediatica contro la critica interna, il dubbio ed il pensiero indipendente e, forse, l’utlizzo di infiltrati sabotatori. Fa poi riflettere, volendo concludere, che certi stratagemmi ed una certa retorica vengano usati proprio dalla sinistra, che li ha subìti per anni, in Italia come altrove.