Eutanasia, omosessuali, coppie di fatto. Perché l’Italia è indietro ma la Spagna non è avanti.

Se è indubbio che l’Italia accusi un ritardo, pesante ed anomalo per una grande democrazia occidentale, su alcuni temi etici di fondamentale importanza come i diritti di omosessuali e coppie di fatto e l’eutanasia, è altrettanto indubbia l’inconsistenza di qualsivoglia paragone ed accostamento con la Spagna o le realtà sudamericane, recentemente dotatesi di dispositivi a tutela delle sopracitate categorie e della libertà di scelta.

La motivazione sta nel fatto si tratti di Paesi da poco usciti da lunghi periodi dominati ed offuscati da colpi di stato e regimi dittatoriali di matrice reazionaria-fascista-militare, appoggiati da attori quali il Vaticano e gli Stati Uniti; di conseguenza, il movimento d’opinione conservatore e cattolico avrà, in quei contesti, una libertà di manovra inferiore rispetto a quella di cui dispone in Italia, mentre, al contrario, i segmenti progressisti e laici potranno contare su un margine d’azione superiore. Ecco perché nazioni arretrate quali Cile, Uruguay ed Argentina, hanno potuto equipaggiarsi di strumentazioni evolute a tutela delle minoranze e del libero arbitrio, allineandosi alle da sempre più evolute e mature società europee.

Siamo dunque in presenza di un fenomeno potenzialmente transitorio, sulla cui durata e capacità di sedimentazione non sussistono ancora elementi certi e provanti (la Spagna uscita dall’ubriacatura zapaterista vede oggi minacciato il diritto all’aborto).

Sul versante opposto, potremo invece rilevare come molti dei paesi ex comunisti dell’Europa orientale vedano la presenza di governi a trazione conservatrice (ad esempio Russia ed Ungheria) e stiano sperimentando un ritorno massiccio delle istanze monarchiche (ad esempio Romania, Bulgaria ed Albania) e dell’influenza della chiese cristiane ed ortodosse, nel segno della riscoperta e dell’attualizzazione delle loro tradizioni pre-marxiste.

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Napoli: non solo Genny a’ Carogna o scugnizzi senza casco

La riconciliazione tra il movimento d’opinione napoletano antistatuale e il resto del Paese non passa soltanto attraverso il disinnesco del revisionismo antirisorgimentale più astorico ma, anche e soprattutto, attraverso la riscoperta delle eccellenze partenopee e di quanto di buono c’è all’ombra del Vesuvio. Meno servizi sugli scugnizzi senza casco (fenomeno già ampiamente documentato e diffuso ovunque) e più inchiostro, ad esempio, sul vaccino anti-Ebola messo a punto da scienziati napoletani. Si venderanno meno copie e si otterranno meno click, ma si farà un servizio al collettivo.

L’ipocrisia strategica delle “Sentinelle in Piedi”. Gay e coppie “di fatto”: l’Italia recuperi il ritardo con l’Europa.

Allorquando nel nostro Paese torna a riaffacciarsi nel dibattito pubblico e collettivo l’ipotesi di un disegno di legge che integri la comunità LGBT o le coppie “di fatto” nei diritti civili, il movimento d’opinione conservatore sale sulle barricate, denunciando una presunta minaccia per la famiglia “tradizionale” o la società, nel suo insieme.

E’ accaduto ai tempi dei PACS (poi diventati DICO) e accade oggi con le “Sentinelle in Piedi”, schierate in nome della “libertà di espressione” contro il ddl Scalfarotto sull’omofobia e la transfobia. Appare del tutto evidente come né il matrimonio gay né un dispositivo contro l’ intolleranza omo-lesbo-transofoba possano né potrebbero, in nessun modo, interferire con le prerogative degli eterosessuali o con la vita democratica; si tratta, dunque, di escamotage che l’omofobo utilizza, via via, per dare una patente di legittimità a pulsioni e odii altrimenti inesportabili ed impresentabili.

E’ bene ricordare ai pasdaran del tradizionalismo più retrivo come la quasi totalità delle democrazie occidentali abbia equiparato, sul piano delle garanzie, eterosessuali ed omosessuali, coppie sposate e “di fatto”, senza nessuna conseguenza negativa per la famiglia “tradizionale” o per lo Stato. In molti casi, questi provvedimenti sono stati varati da governi conservatori e in Paesi retti dalla forma istituzionale monarchica. Tradizione fa rima con evoluzione; in tutti i sensi.

Appunti di storia-57 anni fa, la pallina di alluminio che affascinò e spaventò il mondo.

Veniva lanciato dai sovietici esattamente 57 anni fa (4 ottobre 1957) il primo satellite artificiale, lo Sputnik 1. Il “compagno di viaggio” (questo il significato della parola “sputnik”), rimase nello spazio per 57 giorni, compiendo in totale 1 400 orbite.

Il lancio esaltò il mondo comunista, da un lato, e terrorizzò l’Occidente, dall’altro. Negli Stati Uniti, le sirene di alcune fabbriche suonarono l’allarme, perché si pensava che il satellite potesse rappresentare una minaccia militare.

Gli USA si sarebbero rifatti pochi mesi dopo, mandando in orbita l’Explorer 1

Se tutto va a rotoli, tutto funziona (per qualcuno). Quando il pessimismo mediatico nuoce più della crisi.

Compito dell’informazione più rigorosa (il giornalismo “scientifico” nato con Tucidide e sviluppato da Walter Lippmann ), quello di raccontare la realtà, per quello che è, senza manomissioni né strumentalizzazioni.

Raccontare la realtà, ad ogni modo, non significa “appesantire” la realtà, caricarla, ovvero, di sfumature negative, come invece tendono a fare, spesso e troppo spesso, il giornalismo e l’editoria. Le cause di questa stortura sono di ordine economico (la “notiziabilità” dello shock aiuta a vendere di più) e politico (dipingere la situazione generale a tinte fosche serve a screditare l’establishment di turno), quindi difficilmente rinunciabili e superabili, a svantaggio della comunità nel suo insieme.

Soprattutto nelle fasi più critiche, il pessimismo eccessivo, l’attenzione su ciò che non funziona, a dispetto di ciò che funziona, contribuiscono infatti a corrodere ancor di più la fiducia del cittadino verso il futuro e le istituzioni; è quindi lecito affermare come una fetta importante e cospicua dell’informazione svolga, nella sostanza, un ruolo non soltanto improprio sotto il profilo deontologico ma, prima di ogni altra cosa, “antisociale”.

Quando la parola ferisce più dell’austerità. L’arroganza dialettica merkeliana: un rischio per l’Europa del domani

A mettere a rischio la credibilità e l’esistenza stessa della moneta unica e delle istituzioni comunitarie così come le conosciamo oggi, non soltanto l’irrazionale politica rigorista voluta ed imposta dalle nazioni più “virtuose” ma anche la loro scelta comunicativa.

La battuta del Cancelliere tedesco sui paesi che “devono fare i compiti”, riferita al “non possumus” francese sul limite del 3% tra deficit e Pil, non è, infatti, che l’ultima di una lunga serie di incursioni al limite del buongusto e del buonsenso (cui si aggiungono le minacce, continue e reiterate, della BCE sulla volubilità dei mercati e della loro fiducia). Una simile pedanteria didascalica ed una simile arroganza non possono trovare spazio nel confronto diplomatico, come non possono trovare spazio in un circuito nato e sviluppato per essere unione di uomini, popoli e idee, prima ancora che di monete e mercati.

Penalizzata dal suo passato recente, la Germania è, inoltre, meno di ogni altro nella condizione di potersi concedere simili prepotenze; il rischio è e sarà, infatti, quello di riaprire ferite mai del tutto cicatrizzate (si veda la richiesta greca per il risarcimento dei danni causati dall’invasione nazista), dissipando così gli sforzi di decenni e facendo tornare la lancetta della storia pericolosamente indietro.

Le scienze storiche ci insegnano che nessuna acquisizione è irreversibile ed immodificabile; questo vale anche per l’Euro e la UE, e commetterebbe un errore grave colui il quale non voglia rendersene conto

Austerity-L’insoffrenza francese: un’opportunità storica per Roma e Madrid.

Parigi non ha, da sola, la forza per opporsi in modo efficace e determinante a Bruxelles e Francoforte. Tuttavia, il suo “non possumus” all’austerity potrebbe diventare la spinta per la creazione di un asse mediterraneo con gli altri due big dell’area e dell’Eurozona (Italia e Spagna) in grado di smantellare l’ormai irrazionale e miope politica di contenimento ad ogni costo voluta, varata e difesa da Berlino e dalle altre cancellerie nordeuropee.

P.s: ricordiamo come il rapporto deficit/Pil della Francia sia al 4,3% mentre quello italiano al 3%