Compito dell’informazione più rigorosa (il giornalismo “scientifico” nato con Tucidide e sviluppato da Walter Lippmann ), quello di raccontare la realtà, per quello che è, senza manomissioni né strumentalizzazioni.
Raccontare la realtà, ad ogni modo, non significa “appesantire” la realtà, caricarla, ovvero, di sfumature negative, come invece tendono a fare, spesso e troppo spesso, il giornalismo e l’editoria. Le cause di questa stortura sono di ordine economico (la “notiziabilità” dello shock aiuta a vendere di più) e politico (dipingere la situazione generale a tinte fosche serve a screditare l’establishment di turno), quindi difficilmente rinunciabili e superabili, a svantaggio della comunità nel suo insieme.
Soprattutto nelle fasi più critiche, il pessimismo eccessivo, l’attenzione su ciò che non funziona, a dispetto di ciò che funziona, contribuiscono infatti a corrodere ancor di più la fiducia del cittadino verso il futuro e le istituzioni; è quindi lecito affermare come una fetta importante e cospicua dell’informazione svolga, nella sostanza, un ruolo non soltanto improprio sotto il profilo deontologico ma, prima di ogni altra cosa, “antisociale”.