L’ipocrisia strategica delle “Sentinelle in Piedi”. Gay e coppie “di fatto”: l’Italia recuperi il ritardo con l’Europa.

Allorquando nel nostro Paese torna a riaffacciarsi nel dibattito pubblico e collettivo l’ipotesi di un disegno di legge che integri la comunità LGBT o le coppie “di fatto” nei diritti civili, il movimento d’opinione conservatore sale sulle barricate, denunciando una presunta minaccia per la famiglia “tradizionale” o la società, nel suo insieme.

E’ accaduto ai tempi dei PACS (poi diventati DICO) e accade oggi con le “Sentinelle in Piedi”, schierate in nome della “libertà di espressione” contro il ddl Scalfarotto sull’omofobia e la transfobia. Appare del tutto evidente come né il matrimonio gay né un dispositivo contro l’ intolleranza omo-lesbo-transofoba possano né potrebbero, in nessun modo, interferire con le prerogative degli eterosessuali o con la vita democratica; si tratta, dunque, di escamotage che l’omofobo utilizza, via via, per dare una patente di legittimità a pulsioni e odii altrimenti inesportabili ed impresentabili.

E’ bene ricordare ai pasdaran del tradizionalismo più retrivo come la quasi totalità delle democrazie occidentali abbia equiparato, sul piano delle garanzie, eterosessuali ed omosessuali, coppie sposate e “di fatto”, senza nessuna conseguenza negativa per la famiglia “tradizionale” o per lo Stato. In molti casi, questi provvedimenti sono stati varati da governi conservatori e in Paesi retti dalla forma istituzionale monarchica. Tradizione fa rima con evoluzione; in tutti i sensi.

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Viva il camerata Putin.Quando è la destra a cercare eroi altrove

Nipote di uno dei cuochi personali di Lenin e di Stalin, figlio di un militare dell’Armata Rossa, nato sotto “Koba” e formatosi in pieno immobilismo brezneviano, Vladimir Vladimirovič Putin fu membro del Partito Comunista dell’URSS dal 1975 al 1991, nonché membro ed ufficiale del KGB , sempre all’interno della stessa forchetta temporale (in missione nella DDR tra il 1985 ed il 1990). Un marxista ed un patriota sovietico, quindi, che più volte si è profuso in lodi nostalgiche del vecchio apparato ( “il crollo dell’URSS è stato la più grande tragedia geopolitica del ventesimo secolo”).

Chi a destra assurge a simbolo la figura del Presidente della Federazione Russa in ragione della sua ostilità verso la comunità LGBT e in risposta alla presenza, alla Casa Bianca, di un democratico afroamericano, commetterà quindi un duplice e grossolano errore; in primis perché dimentico della tradizione omofoba propria di qualsiasi altro leader del Cremlino e di qualsiasi regime comunista (secondo la medesima traiettoria logica, la destra italiana dovrebbe sostenere anche Fidel Castro Ruz) e, soprattutto, perché ancora una volta l’equivoco che si staglia al centro dell’analisi è la “sovrapposizione” delle categorie politiche italiane e straniere, nel caso di specie statunitensi. Individuando nel Democratic Party un bersaglio ed un nemico in quanto ritenuto affine al PD, i conservatori di casa nostra dimostreranno una macroscopica povertà cognitiva riguardo la storia del loro Paese, degli Stati Uniti e delle loro dinamiche di funzionamento, preferendo il fascino della semplificazione più istintiva, ventrale e demagogica ai pensieri lungi dell’esplorazione concettuale.

Il giorno in cui al numero 1600 di Pennsylvania Avenue tornerà un caucasico appartenente al GOP, l’afflato verso Putin tornerà nell’angolo nel quale fu riposto tra il 2000 e il 2008, quando alla Casa Bianca sedeva un “redneck” repubblicano. In questa affannosa ed affannata caccia all’eroe di turno, i “camerati” non si dimostrano meno provinciali di quella sinistra innamorata quando di Zapatero, quando di Hollande o quando di Alexis Tsipras.

“Barilla affaire”

Giorgia Meloni: “Difendo il diritto di Guido Barilla ad essere “diverso” rispetto al pensiero unico dominante che si vorrebbe imporre nella società italiana. E nonostante gli insulti e gli inviti al boicottaggio, sono convinta che milioni di italiani che sono d’accordo con lui continueranno ad acquistare un prodotto tradizionale, apprezzato in tutto il mondo e che per l’Italia rappresenta un’eccellenza”.

Meloni sceglie la scorciatoia della semplificazione vittimistica, un “evergreen” tipico della strategia comunicativa di destra, il cui obiettivo è quello di creare una “sindrome dell’accerchiato”, retaggio del portato eroistico-superomistico proprio dell’impianto dottrinale nietzschiano-evoliano che è base e cardine della piattaforma di provenienza dell’ex vice-presidente della Camera. Vi è però anche un secondo elemento, rintracciabile nell’esternazione meloniana, ovvero l’accostamento dei “contenders” a format ed immagini impopolari, in questo caso legati all’intolleranza (il “pensiero unico” liberal, che vorrebbe mettere il bavaglio a Barilla e boicottarlo). Detta opzione prende il nome di “attacca il messaggero”.

Analizzando in modo più specifico l’oggetto della polemica, a farmi riflettere è stato il passaggio in cui Barilla dice: “facciano quello che vogliono senza disturbare gli altri”. Che cosa avrà inteso, con la formula “senza disturbare gli altri”? Nell’invisibilità, senza coperture e tutele legislative? Oppure, cos’altro? Credo si tratti di un escamotage, piuttosto traballante nella sua ipocrisia, per mascherare un’intolleranza omofoba radicata e marcata, grave e pericolosa ancor più se proveniente da un personaggio pubblico e di indubbio prestigio e se collocata nel difficile segmento congiunturale che la comunità LGBT sta vivendo e sperimentando, con un’importante recrudescenza della violenza , fisica come comunicativa, ai suoi danni.

Per concludere, Barilla ha espresso, nel pieno esercizio di quelli che sono i suoi diritti costituzionali, la propria opinione, ed è di conseguenza giusto accoglierla e rispettarla. Anche chi dissente dalla sua traiettoria etica e logica ha, però, il diritto di manifestare le proprie posizioni, tramite la critica, dialettica e pacifica. Tutto qua. Non facciamone un demone ma non facciamone nemmeno un martire del libero pensiero, perché non lo è, come non lo sono e non lo erano Fallaci, Pansa o Forattini.
Jemo ‘Nnanzi