La comunicazione responsabile : Napul’ è…una città con i suoi pregi e i suoi difetti

Voler raccontare Napoli come qualcosa di unico e speciale in senso positivo, sempre e a prescindere, significa fare il male di Napoli, soprattutto quando si vanno contestualmente a sminuire altre realtà nazionali.

Un comportamento che può essere motivato dal desiderio di accattivarsi la simpatia e i favori di una comunità e di un movimento d’opinione molto influenti ed agguerriti o dal timore di inimicarseli, da conformismo, dal politicamente corretto (non va dimenticato come razzismo e pregiudizio siano mali che affliggono anche l’ambiente partenopeo) o da altre suggestioni, ma che va ad alimentare e legittimare una certa cultura vittimistica, auto-consolatoria, negazionistica, provinciale e sciovinista che impedisce la soluzione dei problemi del capoluogo campano, oltre a non avere alcun ancoraggio alla realtà a meno che non si intenda procedere a pericolose classificazioni tra esseri umani su base “etnica” e territoriale.

Si goda, se lo si vuole, del successo degli uomini di mister Spalletti, ma senza tracimare in estremismi bocciati tanto dalla Storia quanto dal buonsenso.

Nota: una considerazione che vale quando si parla di Napoli come del resto del Mezzogiorno

Potrebbe essere un'immagine raffigurante 2 persone, persone che giocano a football, persone che giocano a calcio, stadio e testo

Nota: la provocazione potrebbe essere di per sé intelligente (polemizzare contro chi marginalizza o avversa Napoli) ma lo scudetto rovesciato e la dicitura “bottino di guerra” cambiano il quadro d’insieme

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La bufala sulle file per l’iPhone in zona rossa: a chi danno fastidio i napoletani?

In queste ore sta circolando la notizia di file e temutissimi assembramenti a Napoli, per l’acquisto del nuovo iPhone 12. Tutto vero. Anzi, no. Perché le code ci sono state, si, ma ordinate, e soprattutto risalenti al 12 novembre, quando Napoli e la Campania erano ancora in zona “gialla”.

Organi di informazione “mainstream” e noti opinionisti non si sono tuttavia lasciati sfuggire la ghiotta occasione, dipingendo i partenopei come irresponsabili untori, maestri del “chiagni e fotti” che prima si lamentano, mettono a soqquadro una città, e poi però hanno 1200 da spendere per un telefonino. Magari prendendoli da sussidi vari e redditi di cittadinanza. Beh, dopotutto si sa come sono quelli lì, no?

Spiccano per zelo inquisitorio Iannuzzi (napoletano), che tuona un “non cambieremo mai” e l’immancabile e infaticabile Scanzi (penna vicina a quel M5S che ha fatto il pieno di voti al Sud e più volte si è erto a vessillifero della revanché borboneggiante) che sentenzia: “Non abbiamo speranze” (in compenso abbiamo Speranza).

Ma per quale motivo tanto accanimento? Forse la risposta è da cercare nelle proteste disperate degli ultimi giorni, che hanno fatto del capoluogo campano una spina nel fianco del governo. Screditare i napoletani, già dipinti come camorristi durante le manifestazioni, diventerebbe quindi un imperativo. Una “mission possible”, molto possible, tra l’altro, dato che basterà far leva, come in questo caso, sui peggiori cliché razzisti a disposizione.

Fascisti (e camorristi) su Napoli? I pericoli di una semplificazione

Presentare i fatti di Napoli come un blitz dell’estrema destra o della Camorra, in quest’ultimo caso secondo un odioso cliché sui partenopei, sarebbe ed è un approccio miope, banalizzante e soprattutto pericoloso. Un guardare il dito invece della Luna, quando la Luna è la sofferenza, drammatica, dei napoletani e del resto degli italiani, sfiancati da un lockdown severissimo (che lo stesso CTS aveva sconsigliato e intervenuto dopo una colpevole sottovalutazione del problema), da misure contraddittorie e forse anche da un comunicazione pessima a tutti i livelli, ansiogena, fuorviante, polarizzante.

Se invece siamo davanti ad una semplificazione mirata e intenzionale, allora si parlerà di una scelta tipca delle scuole propagandistiche d’impronta socialista, per cui ogni attacco ad un potere riconducibile alla sinistra (qui l’amministrazione De Luca) è presentato come facista, nazista, nazionalista. Un esempio di propaganda “agitativa” secondo le tecniche della “proiezione” e “analogia”, usato in modo eclatante nel 1953 a Berlino Est, nel 1956 a Budapest, nel 1968 a Praga, nel 1980 in Polonia e, più di recente, in occasione dei moti bielorussi, di quelli di Piazza Maidan o contro i tibetani.

E’ comunque bene ricordare che partiti come Forza Nuova sono riconosciuti legalmente ed hanno tutto il diritto di manifestare e fare politica, come

Napoli: non solo Genny a’ Carogna o scugnizzi senza casco

La riconciliazione tra il movimento d’opinione napoletano antistatuale e il resto del Paese non passa soltanto attraverso il disinnesco del revisionismo antirisorgimentale più astorico ma, anche e soprattutto, attraverso la riscoperta delle eccellenze partenopee e di quanto di buono c’è all’ombra del Vesuvio. Meno servizi sugli scugnizzi senza casco (fenomeno già ampiamente documentato e diffuso ovunque) e più inchiostro, ad esempio, sul vaccino anti-Ebola messo a punto da scienziati napoletani. Si venderanno meno copie e si otterranno meno click, ma si farà un servizio al collettivo.

Sparatoria di Napoli.Lo “scugnizzo” e il carabiniere come paradigma di un confronto-scontro sociale e storico dalle radici profonde

La tragica vicenda di Davide Bifolco, il 17enne ucciso a Napoli da un carabiniere per non essersi fermato all’alt dei militari, si è trasformata nella miccia che ha fatto riesplodere lo scontro, antico, tra due categorie diverse ed antitetiche, quella dei sostenitori delle forze dell’ordine e i loro detrattori, entrambe arroccate nel pregiudizio cognitivo e ideologico del “senza se e senza ma”.

I primi vedono negli uomini in divisa lo Stato, o, comunque la rappresentazione plastica di una giustizia maschia, vindice e distributiva, da tutelare e giustificare sempre e al di là di ogni imperativo razionale, mentre i secondi il simbolo di un potere che si fa oppressivo con le libertà dell’individuo per diventare latitante con i suoi bisogni . Come sempre, soltanto asciugando l’analisi del fatto dalle sue componenti più emotive potremo ottenere una visione il più possibile lucida ed equilibrata degli eventi.

Alla sola magistratura, in prima e in ultima analisi, il compito di giudicare, sulla base degli elementi che emergeranno, la dinamica della vicenda e la condotta delle parti in causa, punendo eventuali colpevoli oppure archiviando il caso.

Il progetto secessionista e la sua vulnerabilità.Il caso dei Padani che volevano parlare in Italiano

Il Primo Congresso Nazionale Ordinario della Lega Lombarda (Segrate, 8-10/12/1989) segnò la fine dell’idea bossiana di creare un idioma comune al progetto padano, da utilizzare in via ufficiale anche dal suo movimento, al posto dell’Italiano. Il leader di Cassano Magnago aveva pensato al “Lumbard”, ma la scelta si presentò da subito non priva di interrogativi e complicazioni: sarebbe stata accettata, quale lingua ufficiale, dai militanti delle altre regioni settentrionali e, in caso di secessione, dall’intero Nord ? Ancora: come avrebbero fatto, i “padani” appartenenti alle altre regioni, a comprendere il nuovo codice? E quale “Lombardo”, poi? Milanese? Bergamasco? Cremonese? Bresciano? Mantovano?

“Ma che lingua vuole che si parli, nella Repubblica del Nord? Naturalmente l’Italiano”, confidò Bossi ad un inviato. “Su questa storia dei dialetti abbiamo riflettuto. E siamo giunti alla conclusione che è meglio soprassedere. La Padania non ha prodotto una lingua comune, come la Catalogna. E allora non resta che l’Italiano, che non è poi da buttar via come lingua comune”.

Questa, la pietra tombale sui sogni e le speranze del popolo verde di fregiarsi di un marchio comunicativo che segnasse e segnalasse l’identità nordista e l’alterità leghista rispetto ai segmenti politici tradizionali (quest’ultimo, “must” e carburante primo delle forze a vocazione populistico-demagogica).

Perché un progetto separatista abbia fortuna, l’unità che secede deve poter contare su un’omogeneità, un’ organicità ed una solidità ad ampio raggio, dal punto di vista linguistico, culturale, etnico , sociale e storico, altrimenti il nuovo soggetto non sarà che una riproposizione, in scala ridotta, del precedente, con tutte le sue problematiche e le sue contraddizioni. Sicuramente imperfetto e perfettibile, lo stato unitario presidia e garantisce tuttavia un ecumenismo inclusivo ed asettico che le singole porzioni territoriali spesso non possono e non potrebbero assicurare, e l’esempio, a noi prossimo e vicino, del Regno delle Due Sicilie, ne è la conferma. Dilaniato da spinte centrifughe costanti e continue, il suo disomogeneo fascio di comparti locali non accettava (tra le altre cose) il dominio e la rappresentanza della corona di Napoli, senza tema di smentita meno universalizzante del progetto unitario e dell’ombrello storico romano, pur con tutto il suo corteo di errori, anomalie e fragilità..

Il Meridione che amava i Savoia e Garibaldi.Le manomissioni del revisionismo astorico

La pubblicistica divulgativa più approssimativa, ideologica e ideologizzata ( di conseguenza distante dal vaglio della metodologia analitica scientifica) ci ha consegnato e ci sta consegnando il ritratto di un Meridione violentemente antiunitario e antisabaudo, in forza di un carburante culturale che trova e troverebbe il suo snodo e il suo principio in quella che viene presentata come una conquista e non come la realizzazione dei processi unitari, democratici e liberali nati nel XII secolo e sviluppatisi nel XIXesimo. Una ricognizione nel nostro passato, dimostrerà invece tutta l’infondatezza, l’ipocrisia e il dilettantismo di questo impianto argomentativo.

Se è infatti ben noto come le regioni meridionali fossero profondamente monarchiche (ad attestarlo, le percentuali plebiscitarie nelle consultazioni referendarie del 1946 e la presenza di sindaci legittimisti in città importanti come Napoli, Foggia, Taranto, ecc), la storiografia e la pubblicistica hanno però fatto calare un velo di silenzio ed oblio su alcuni eventi collocati nel 1946 e categoricamente esplicativi del legame tra il Sud e Casa Savoia.

Ma vediamo di che cosa si tratta

-manifestazioni filo-sabaude in tutto il Meridione . Il 6 giugno, A Napoli, una folla di monarchici (persone sempre sprovviste di un’organizzazione partitica) cerca di impedire la partenza di S.M Maria José e dei figli, imbracciando le armi.

-Taranto: tafferugli in Corso Archita tra i monarchici e i marinai repubblicani della S.Marco, alla fonda nel porto cittadino. 36 feriti in totale tra i civili, di cui 10 in gravissime condizioni.

-6 giugno: prima grande manifestazione monarchica a Napoli. Si hanno degli scontri e un militante fedele alla corona, Ciro de Martino, muore a seguito dell’esplosione di un ordigno

– 7 giugno: sempre a Napoli, una manifestazione oceanica dei monarchici sfocia nel sangue, con la morte (accidentale) di un ausiliario di polizia, Alfonso Proto, e di quella di un giovane monarchico, il 16enne Carlo Russo, assassinato da una raffica di mitra mentre cercava di andare pacificamente incontro ai celerini avvolto dalla bandiera con lo stemma sabaudo

-9 giugno: un altro giovane monarchico, Gaetano D’Alesandro, viene ammazzato a colpi di mitra per aver accusato gli ausiliari della morte di Russo (stava ritornando dalle esequie del ragazzo)

-nuovo corteo monarchico a Napoli: i legittimisti si raccolgono in Via Medina, dove ha la sua sede provinciale il PCI. Alcuni attivisti fedeli alla Corona tentano di rimuovere la bandiera senza stemma sabaudo posta sul pennone della sede comunista e parte la rappresaglia armata degli ausiliari. Sul selciato rimangono 9 persone. I feriti saranno 150.

Dell’episodio sarà ritenuto diretto responsabile Amendola,. Arrestato dagli angloamericani, verrà successivamente rilasciato, sotto pressione del Governo italiano.-

Arché della rivendicazione monarchica erano i sospetti di brogli perpetrati dal ministro di Grazia e Giustizia, Togliatti, e da quello dell’ Interno (Romita), accusati di aver “gonfiato” il numero degli elettori in modo da assorbire il disavanzo repubblicano e di voler impedire il riconteggio delle schede.

Ma c’è di più: alle elezioni siciliane del 20 aprile 1947, il Fronte Popolare (comunisti e socialisti) decide di utilizzare nel suo simbolo l’immagine di Giuseppe Garibaldi, nel tentativo di attirare maggiori consensi. Il cartello socialista e comunista otterrà un risultato epocale: 742.449 voti rispetto ai 508.390 del 2 giugno 1946. Un balzo dal 26,58 %al 37, 19 %, tanto è vero che la dirigenza decise di adottare il simbolo con il volto dell’ Eroe dei Due mondi anche per le successive consultazioni politiche, quelle del 1948. Strano se si considera come, per Aprile ed i suoi epigoni, Garibaldi sarebbe visto e “ricordato” come assassino e tagliaborse.

La storia è il fatto; la storiografia ne è la ricostruzione. Non c’è e non deve esserci spazio per chi non ha equilibrio e ponderazione.