Cirinnà: la (prevedibile e prevista) svolta a destra di Grillo.

Beppe_Grillo

La decisione di Beppe Grillo di lasciare libertà di coscienza ai suoi in merito alla “stepchild adoption” , dimostra e conferma il carattere smaccatamente conservatore e reazionario del comico.

Se infatti è vero che la base del Movimento non è stata consultata sull’adozione del figliastro (motivazione addotta da Grillo per spiegare la sua scelta) è altrettanto vero che il M5S aveva fino ad oggi sostenuto l’irrinunciabilità della “stepchild”, “conditio sine qua non” per votare il DDL.

 

Lo sbaglio

Incaponendosi sulla “stepchild” (clausola che riguarderebbe un segmento del tutto minoritario della comunità gay), i sostenitori del DDL hanno offerto una pistola carica ai contrari, un escamotage perfetto per delegittimare e far saltare l’intero progetto di legge. Più saggio e razionale sarebbe stato rimandare il passaggio, cercando intanto di colmare il vuoto della nostra giurisprudenza in materia di unioni di fatto.

 

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Grillo: “No alle vostre guerre”. A meno che non le facciano i russi.

grilloDopo aver appoggiato i bombardamenti russi contro l’ISIS in Siria (anche se ad essere colpito dai raid putiniani è forse stato l’FSA), Grillo attacca la decisione del governo italiano di inviare aerei contro i miliziani del Califfato.

Questa schizofrenia interpretativa della geopolitica dimostra come per il leader genovese la battaglia contro Renzi sia prioritaria rispetto agli interessi del mondo libero, alla lotta al terrorismo ed alla coerenza etica.

Grillo, lo yacht e la Costa Smeralda: la buccia di banana del leader pentastellato

Beppe_Grillo_a_mareBenché Giuseppe Grillo non sia un marxista-leninista ( e nemmeno un socialdemocratico) e benché non si sia mai schierato contro il capitalismo come metodo, le sue posizioni antisistemiche e a vocazione rivoluzionaria (nell’accezione letterale della formula) non possono che risultare incompatibili con l’ elevato tenore di vita mostrato, ad esempio, in Sardegna.

Godendo del meglio offerto dal sistema, ottenuto e guadagnato grazie ai mezzi messi a disposizione dal sistema, l’ex comico consegna infatti più di una perplessità sulla sua genuinità rivoluzionaria, soprattutto in una fase storica dolorosa e delicata come quella attuale, dominata dalla crisi economica e dall’empasse ellenico.

Per molto meno (la “famosa” barca), l’immagine di Massimo D’Alema, socialdemocratico e non comunista, risultò definitivamente compromessa, lacerata dal qualunquismo propagandistico più severo e intransigente.

L’Europa che i padri fondatori non avrebbero voluto.Perché, questa volta, Beppe Grillo ha ragione.

Al cittadino europeo contemporaneo sembrerebbe impossibile vedere insegnato, nelle scuole elementari del suo Paese, l’odio per un altro degli stati del continente, eppure è ciò che i programmi scolastici imponevano fino all’inizio del secolo scorso, quello in cui tutti noi siamo nati.

Era un continente diviso, a quei tempi, l’Europa, e lo sarebbe stato ancora, patendo due conflitti mondiali, guerre civili, odii ed incomprensioni, da Est ad Ovest, da Nord a Sud. Per questo motivo, Alcide De Gasperi, italiano, e Konrad Adenauer, tedesco, tedesco occidentale, decisero di dar vita ad un progetto comune, di pace e collaborazione. Nati, cresciuti e vissuti nell’epoca degli imperi reazionari e dell’oppressione, sognavano per i loro Paesi qualcosa di nuovo, di diverso. Di migliore.

L’Europa dei rigorismo che soffoca imprese e consumi, l’Europa delle minacce, in stile mafioso, ai governi che accennano un sussulto di autonomia decisionale, l’Europa che si rivolge con miope arroganza a stati come Francia ed Italia, pilastri della civiltà occidentale, chiedendo loro di fare i “compiti a casa”, l’Europa che abbandona la Grecia (pur non essendo, Atene, esente da colpe per la situazione che sta sperimentando) davanti agli scaffali vuoti dei suoi ospedali, l’Europa dello spread utilizzato come arma per corrodere la sovranità popolare, non è l’Europa che avrebbero voluto e vollero Alcide De Gasperi, italiano, e Konrad Adenauer, tedesco, tedesco occidentale.

Per questo, sebbene inquinata da eccessi retorici inutili e dannosi, l’analisi di Beppe Grillo su Bruxelles e Francoforte è condivisibile.

Perché Beppe Grillo si ostina a parlar bene della Mafia ma commette un autogol. La comunicazione politica e le sue “no fly zone”.

Esistono, nella comunicazione politica, alcune “no fly zone”, argomentazioni e tesi da non toccare ed esporre, pena la condanna, unanime, e la marginalizzazione. Una di queste, è il tentativo di ridimensionamento della barbarie mafiosa.

Con la sua ultima boutade su Cosa Nostra (la prima volta sostenne che l’organizzazione non avesse mai sciolto nessuno nell’acido), il comico genovese ha commesso due errori, ugualmente macroscopici e deleteri, uno storico e l’altro, appunto, strategico-comunicativo.

Nel primo caso, perché la Mafia perse la sua quota residua di morale molto prima di incontrare la finanza, nel secondo perché ha violato questa zona d’interdizione, nel tentativo, ingenuo e scomposto, di accarezzare il ventre dell’elettorato antimondialista (quindi ostile alle lobby economico-finanziarie) e di un ipotetico retroterra culturale siciliano vicino alla Piovra (stava parlando nell’isola). Unico risultato, la condanna trasversale della politica, dei media e della società civile.

Una nuova Caporetto, dunque, dopo quel “siamo oltre Hitler” (altra “no fly zone”) che contribuì a portargli via tre milioni di voti alle scorse Europee

Renzi e quel trionfo che sa di 1948. Il ruggito silenzioso dei moderati

Annunciata come un referendum sul Matteo Renzi, questa consultazione elettorale è stata, invece, un referendum su Beppe Grillo ed il suo partito. A premiare l’ex sindaco di Firenze sono stati senza dubbio il suo giovanilismo dinamico (cosa abbastanza rara, in un grande dirigente politico italiano), il conseguimento di alcuni successi ed il ritorno, pur timido, ad una congiuntura economica favorevole.

Tuttavia, la reale motivazione di un trionfo tanto imprevisto quanto imprevedibile va rintracciata nella paura che il M5S ha suscitato nella fetta più rilevante dell’elettorato italiano; i toni sempre troppo alti, i contenuti violenti, il manicheismo aggressivo del “chi non è con me è contro di me”, un ecumenismo schizofrenico e confuso, le minacce eversive, gli insulti tambureggianti agli avversari ed alle alte cariche istituzionali e l’inappellabile quanto ansiogeno catastrofismo, hanno messo in allarme il “travet”, disorientato anche da una nebulosità programmatica emersa in tutta la sua evidenza durante il “tete a tete” con Bruno Vespa. Con una piccola concessione alla retorica, si potrà quindi affermare che queste elezioni siano state un “revival” di quelle del 1946 e del 1948, con il moderato che ha individuato nel Pd renziano ciò che i suoi padri e i suoi nonni videro nella DC degasperiana.

Non cada, il M5S, nella tentazione di abbandonarsi all’alibi-accusa nei confronti del destino “cinico e baro” e/o dell’italiano medio che “non ha capito” (secondo una liturgia tipica di una certa, defunta, sinistra) ma faccia autocritica. Impari a dialogare, apprenda le dinamiche del confronto democratico e scenda da quel piedistallo al quale si è incatenato, lasciando per strada 3 milioni di voti.

P.s: sbaglia chi individua il bonus da 80 euro come “archè” dell’acuto renziano. I beneficiari della misura rappresentano infatti soltanto 1/5 del copro elettorale.

Casaleggio, il “complotto” dei dossier e la comunicazione Semi-Passiva

Gianroberto Casaleggio dal blog di Beppe Grillo: “In questo periodo, giustappunto prima delle elezioni, so di dossier in preparazione su di me, sulla mia famiglia e sulla mia società, come già accadde l’anno scorso”. Ancora: “Voglio anticiparli, nelle prossime settimane rilascerò alcune interviste a giornalisti indipendenti (sì, esistono anche se sono una percentuale infinitesimale) e non risponderò a nessuna domanda pubblica tesa a screditarmi”.

Il lavoro del comunicatore si divide e sviluppa, convenzionalmente, in 4 fasi:

Attiva: il comunicatore decide di promuovere se stesso, il suo prodotto o il suo datore di lavoro.

Passiva: il comunicatore si trova costretto a difendersi oppure a difendere il soggetto per il quale lavora o collabora da un attacco esterno, grave ed improvviso.

Semi-Passiva: il comunicatore viene a conoscenza di elementi che, presto o tardi, lo obbligheranno ad una risposta. Tuttavia, non si tratta di un’emergenza, e il comunicatore avrà tutto il tempo di prepararsi ed attuare una difesa razionale ed efficace.

Stabile-Organizzativa: corrisponde alla fase in cui il comunicatore raccoglie, organizza e predispone il suo lavoro, senza vi siano connotati dell’urgenza.

L’intervento di Casaleggio potrà essere assurto a paradigma di quella che è la fase Semi-Passiva; il cofondatore del Movimento 5 Stelle è venuto a sapere di un dossier imminente su di lui (o ne ipotizza la realizzazione, data la prossimità delle consultazioni europee) e allora attiva una difesa di carattere preventivo, prima ancora esploda un attacco reale e specifico. In questo modo, costringerà gli eventuali ideatori del dossier ad accantonarlo o ne depotenzierà notevolmente l’opera propagandistica, privandola dell’effetto sorpresa e facendola passare come una macchinazione.

Mentana: Epic fail!

Contrattando e discutendo i tempi e, soprattutto, i modi dell’intervista al leader del Movimento Cinque Stelle, Enrico Mentana è venuto meno, ancora una volta, a due dei principi guida del giornalismo e della sua deontologia: la ricerca della “verità” e dell’ “essenzialità” (Carta dei Doveri del 1963). Il cronista assolve ad un compito di vitale importanza, che è quello di informare il cittadino su ciò che lo riguarda e ne regola l’esistenza; apparirà pertanto inaccettabile ed inconciliabile con il ruolo della stampa un atteggiamento di accondiscendenza verso un personaggio pubblico, in special modo se alla base di questa scelta vi sarà la ricerca del profitto e della visibilità.

Dalle “Regole per l’intervista” della BBC: “Non è corretto informare l’intervistato sulle domande che saranno formulate. Nel caso in cui l’intervistato rifiuti di rispondere, l’autore deve considerare l’ipotesi di continuare o interrompere. La reticenza dovrebbe essere indicata al pubblico”. E’, del resto, lo stesso che insieme ad altri due giornalisti (Emilio Fede e Giuliano Ferrara) partecipava ai briefing con il suo editore (Silvio Berlusconi) per pianificarne la “discesa in campo” nei primi anni ’90. Un Judith Miller in versione maschile

Beppe Grillo e la RAI. Perché l’ex comico non è Solženicyn. E nemmeno Luttazzi.

« La cena in Cina… c’erano tutti i socialisti, con la delegazione, mangiavano… A un certo momento Martelli ha fatto una delle figure più terribili… Ha chiamato Craxi e ha detto: “Ma senti un po’, qua ce n’è un miliardo e son tutti socialisti?”. E Craxi ha detto: “Sì, perché?”. “Ma allora se son tutti socialisti, a chi rubano?” ». Beppe Grillo, 15 novembre 1986.

La frase (pronunciata a Fantastico 7), non più caustica di una battuta da bistrot e sprovvista di qualsiasi ambizione di scavo analitico, è l’elemento che, nella propaganda pentastellata, avrebbe causato l’esilio “sine die” di Beppe Grillo da Viale Mazzini. In realtà, l’ostracismo ai danni del comico genovese non durò che 15 mesi; nel febbraio del 1988, infatti, Grillo partecipò in qualità di ospite al Festival di Sanremo, con un compenso pari a 350 milioni di Lire. La stessa cosa sarebbe avvenuta nell’edizione successiva della kermesse canora.

Inoltre, nel lasso temporale che lo vide lontano dalle telecamere RAI, l’attuale leader pentastellato prese parte ad una serie di spot per lo yogurt Yomo (che gli valse una partecipazione con vittoria al galà dei Telegatti) nonché a diversi spettacoli alle Feste dell’Unità organizzate dell’allora Partito Comunista Italiano.

Il tentativo di creare il “must” dell’eroe di memoria nietzschana, angariato dai “poteri forti” e dalla mediocrità della massa per il suo essere intellettualmente libero, si rivelerà pertanto sguarnito del conforto del dato fattuale.

Separiamoci! Anzi, forse no. Perché Beppe Grillo gioca a fare Gianfranco Miglio

bossi grillo

Intento di Beppe Grillo con il suo ultimo intervento non era quello di
vibrare un attacco ideologico o storico al portato risorgimentale né di
rivalutare l’esperienza delle comunità statali preunitarie (si tratta di
un intreccio di fenomeni oltremodo complessi di cui, probabilmente,
l’ex comico non ha nemmeno una cognizione definita, definibile e
spendibile).

Nessun singulto separatista, quindi, nessun
afflato verso questa o quella opzione centrifuga, bensì una strategia di
marketing, ancora una volta ed ancor di più se e perché in prossimità
delle consultazioni europee. Politico atipico alla guida di un movimento
atipico, Grillo sa di non poter far affidamento sull’elettorato
“tradizionale”, da sempre ed ormai terreno di caccia delle tre grandi
compartimentazioni ideologiche, ed allora cerca il suo “Fattore K” nei
sottoboschi, comunità ibride a metà tra l’inerzia scontenta e la
partecipazione, quasi sempre piccoli segmenti se presi singolarmente ma
numerosi e potenzialmente decisivi se riuniti e sommati, aggregazioni
che vanno dai teorici del complotto agli ultranimalisti agli
ultarambientalisti ai separatisti, per l’appunto. E’ a questo universo
vasto e variegato, riempito di tutto e del suo contrario e spesso
sprovvisto di una rappresentanza politica, che il leader pentastellato e
i suoi “strategists” cercano di dar voce. Ecco il motivo del forsennato
ecumenismo inclusivo del Movimento, che si riflette anche nella bulimia
cromatica del suo simbolo. Ecco il motivo delle incursioni su Stamina e
“Fracking”, ecco il motivo delle interrogazioni sulle scie chimiche e
degli interventi sull’esistenza delle Sirene, ecco il motivo delle
battaglie contro la TAV , ecco il motivo dell’ammiccamento quando a
Pertini e quando al Ventennio, ecco il motivo dell’appeal su estremisti
di destra come di sinistra. Ed ecco il motivo della presenza nel M5S di
ex leghisti come di neoborbonici.

Le elezioni europee sono alle
porte, dicevamo, e l’istrione di Genova cerca di drenare voti ad un
partito ormai alla fine della sua parabola storica (la lega Nord) e di
sedurre i grandi blocchi dell’ improbabile e bizzarro scontento
revanscista (sardi, siculi, valdostani).

Im Westen nichts Neues