Le balle atomiche del Messaggero

Il “Messaggero” fa passare un’esercitazione (o una manovra di pressione psicologica) russa come un imminente attacco nucleare, come un’imminente Terza Guerra Mondiale. La strategia del terrore veicolata dai media, che abbiamo abbondantemente sperimentato ai tempi del COVID, torna e si ricicla adattandosi al nuovo scenario.

Al di là delle sue motivazioni (commerciali o politiche), un pessimo esempio di informazione ed un affronto alla deontologia. Si crea il panico e si confonde, di nuovo, causando danni sociali terribili, di nuovo.

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Giorgia Meloni, Mosca e il “fuoco amico”

“Ciascun missile lanciato da Putin su Kyïv rafforza la nostra volontà di sostenere la libertà in Ucraina” (Giorgia Meloni)

Se Meloni dovesse insistere nella sua politica atlantista (che è e sarebbe peraltro in linea con la tradizione della destra parlamentare italiana post-1945, eccezion fatta per alcuni segmenti minoritari), non è da escludere che anche su di lei si vada ad abbattere l’accusa russa di fascismo e nazismo, con facili accostamenti a Benito Mussolini ed alla campagna del 1941-1943.

Una tecnica, lo ricordiamo, che prende il nome di “proiezione” o “analogia” (associare il bersaglio ad un’immagine negativa e respingente), nel caso di specie un vero e proprio “topos” delle scuole propagandistiche d’impronta e tradizione socialista e di quella russa, che in questo modo cerca anche di far leva sul mito della “Grande Guerra patriottica” così da compattare il fronte interno (propaganda “interna”).

Nucleare tattico? Dieci motivi per non avere paura

1) sviluppato come tecnologia e concetto strategico negli anni ’50 del Novecento (per la prima volta dagli USA con il Progetto VISTA), quando si temevano repentini e catastrofici sfondamenti nemici nel fronte europeo, il nucleare tattico o a basso rendimento non avrebbe un’utilità effettiva nel conflitto attuale, considerando che le forze ucraine non muovo in massa e su ampi spazi né stanno giocando un qualche ruolo decisivo a favore di Kyïv bunker o fortezze inespugnabili in modo convenzionale 2) dal punto di vista russo, usare il nucleare tattico o a basso rendimento nei territori occupati per fermare l’avanzata nemica significherebbe, dopo il “referendum” della settimana scorsa, usarlo in “casa”, contaminando i “propri” territori 3) anche dopo il “referendum”, i territori occupati sono Russia ma non lo sono, ed una loro invasione sarebbe cosa ben diversa rispetto ad una vera minaccia vitale per la Federazione 4) usare il nucleare tattico o a basso rendimento contro un avversario teoricamente molto più debole sarebbe, a sua volta, una clamorosa ammissione di debolezza, quindi un clamoroso danno in termini di immagine e prestigio 5) usare il nucleare sottrarrebbe ai russi un’arma importante sotto il profilo politico e propagandistico, dato che non potrebbero più accusare gli USA di essere stati i soli ad averlo fatto 6) detonare un ordigno nucleare a scopo dimostrativo (magari nell’ Isola dei Serpenti) rischierebbe di ridicolizzare Mosca, se poi non andasse oltre (questo perché è già noto siano una potenza nucleare) 7) i pochi alleati del Kremlino, già abbastanza freddi, si allontanerebbero ancora di più dalla Russia 8 ) è in ogni caso difficile che gli ucraini riescano a riprendersi tutti i territori occupati 9) in questi mesi l’esercito ucraino ha già colpito territori sotto la giurisdizione russa 10) “last but not least”, i russi rischierebbero una devastante reazione occidentale (USA-NATO), dalla conseguenze imprevedibili e insostenibili per loro

In conclusione: lo spettro del nucleare tattico è con molte probabilità un’operazione di pressione psicologica (PsyOps), un “gioco di prestigio”, propaganda che l’establishment russo e i suoi canali di appoggio esterni mettono in scena per spaventare l’opinione pubblica dei paesi occidentali, cercando di destabilizzarne così i governi. Mosca, è utile ricordarlo, adotta questa tecnica (che tradisce debolezza) da quando si dotò delle atomiche, alla fine degli anni ’40 del secolo scorso. Neanche il periodo gorbacioviano fece eccezione.

Tic tac è solo una caramella: Putin, i referendum e il conto alla rovescia

Sugli schermi russi è apparso il “conto alla rovescia” relativo all’annessione dei territori ucraini a Mosca. Una mossa propagandistica, di nuovo, e di nuovo un’operazione di pressione psicologica (PsyOps) per sfoggiare muscoli e spaventare. L’estasblishment russo cerca infatti in questo modo di richiamare alla mente il conto alla rovescia di un lancio, sapendo però bene che il ricorso ad un qualsiasi ordigno nucleare avrebbe conseguenze inimmaginabili per il Paese (si veda non a caso il dietrofront del 20 settembre scorso). Tarate sulle ansie e sull’ignoranza del cittadino occidentale (e non solo) medio, simili scelte comunicative tradiscono sempre una profonda debolezza di fondo.

Nota: il territorio russo è già stato attaccato più e più volte dalle forze militari ucraine

Le “persone perbene” di Putin: perché Berlusconi non è impazzito

Le dichiarazioni di Silvio Berlusconi sull’Ucraina non sono una bizzarria, non sono la conseguenza di una demenza senile come qualcuno le ha frettolosamente e superficialmente liquidate. Rispondono, al contrario e come sempre, ad una scelta comunicativa e tattica ben ragionata.

Vistosi chiuso nel campo moderato dal Terzo Polo e dallo stesso PD, l’ex Cavaliere (che moderato non lo è stato mai) cerca infatti di recuperare terreno presso il suo elettorato storico, tendenzialmente non ostile a Mosca, e in un momento che vede l’opinione pubblica italiana più tiepida verso Kyïv (all’inizio dell’invasione aveva non a caso condannato le scelte di Putin). Domani potrebbe cambiare di nuovo idea ed approccio, a seconda delle circostanze.

In questo può ricordare Giuseppe Conte (anzi, è Conte che ricorda Berlusconi), anch’egli capace di stravolgimenti di fronte disinvolti, rapidissimi e clamorosi, con risultati spesso notevoli.

La Russia e il falso mito del generale passato

Cosa ben nota, il movimento d’opinione filo-russo utilizza frequentemente il richiamo alle vittorie su Hitler e Napoleone come prova della capacità militare della Russia odierna.

Oltre a risultare omissiva, poiché vengono dimenticate e ignorate le moltissime sconfitte e difficoltà degli eserciti russi nel passato, anche contro avversari modesti (si pensi a Polonia e Finlandia*) e a basarsi su evidenti manomissioni storiche, intenzionali o non volute che siano (1: quella su Napoleone non fu propriamente una vittoria sul campo di battaglia 2: nel 1941-1945 la Russia era parte di uno Stato diverso e molto più vasto e potente, l’URSS, impegnato su un unico fronte a differenza degli avversari e che poté contare sul sostegno decisivo degli alleati occidentali), una simile scelta comunicativa è, soprattutto, irrazionale, dal momento in cui è imperniata sul mito di vicende troppo lontane dalla nostra, svoltesi in epoche troppo diverse dalla nostra.

Quest’ultimo punto rivela tutta la “romantica” e disperata distanza dalla realtà di una parte dei sostenitori del Kremlino e/o dei loro target, legati ad un’idea della Russia superata dai tempi e dagli eventi, ad un cliché di grande o super-potenza che non ha riscontri pratici e fattuali, come dimostrano, tra gli altri, i problemi in Ucraina, gli indicatori economico-sociali del Paese ed i rapporti con Pechino.

Nonostante le sue enormi potenzialità e l’innegabile crescita degli ultimi anni, l’odierna Federazione Russa è infatti una “regional power”, un Paese del Secondo Mondo che basa il proprio prestigio muscolare su un arsenale nucleare che non può usare e le cui reali condizioni destano più di una perplessità. Non capirlo, od ostinarsi a non volerlo capire, porta al disorientamento davanti agli smacchi contro l’esercito di Kyïv, a previsioni “a-là” Orsini destinate con inesorabile puntualità a fallire.

*gli agit-prop filo-russi ricorrono in questo caso alla tecnica (fallacia logica) del “Cherry Picking”

Michail Gorbačëv e i vantaggi di una sconfitta: una chiave di lettura per il futuro?

Riconoscendo l’errore di aver invaso l’Afghanistan e ritirando le truppe, Michail Gorbačëv perse, sì, la guerra e la credibilità davanti al regime collaborazionista del PDPA , ma sull’altro piatto della bilancia ottenne vantaggi ben più importanti e pesanti.

Più nel dettaglio:

-risolse il problema dell’emorragia di uomini (oltre 1 milione), mezzi e denaro derivata dal conflitto (a tal proposito non andrà dimenticata la questione, spinosissima, del mancato o inefficace reinserimento dei reduci, spesso respinti dalla società)

-rilanciò la credibilità internazionale dell’URSS

-fece diminuire la diffidenza dei paesi vicini e del Terzo Mondo, ma più in generale della comunità mondiale, verso Mosca

Un passo non troppo difficile per l’uomo della perestrojka, se si considera che non era stato lui ad iniziare la guerra ma Leonid Brežnev.

Non è quindi irrazionale ipotizzare che un successore di Putin farà altrettanto con l’Ucraina, qualora il confronto militare con Kiev dovesse protrarsi a lungo, impantanando i russi come 40 anni fa.

Il Covid e quello strano “terzo polo” che guarda alla Russia di Putin

Nel calderone sincretico filo-russo italiano non trovano spazio solo quei lembi di sinistra ossificati ad una visione novecentesca della Russia e la “solita” destra ammaliata dal mito dell’ “uomo forte”, ma anche ampi settori del movimento d’opinione che non ha accettato le (comunque discusse e discutibili) misure anti-pandemiche italiane e occidentali.

Per reazione questa comunità ha così trasferito le sue simpatie al campo-modello che vede opposto all’Occidente, al modo di fare e intendere dei nostri politici, a ciò che considera la loro naturale nemesi e il loro naturale contraltare, non rendendosi però conto o non sapendo che la Russia è un regime autoritario (quindi ben più severo di quello contiano-draghiano-speranziano) e che lo stesso Putin ha adottato soluzioni rigidissime per arginare il virus, da lui fortemente temuto (com’è ben noto) e paragonato alla tragedia della Seconda Guerra Mondiale (!).

“Last but not least”, il più importante alleato di Mosca è attualmente la Cina (regime totalitario), dove il Covid è nato e si è sviluppato anche per le inadempienze e i silenzi delle autorità locali.

La gallina e l’uovo avvelenato: quello che non vede chi si oppone alle misure contro la Russia di Putin

Se fossimo certi che l’intenzione di Putin sia fermarsi all’Ucraina, in nome del cinico pragmatismo della realpolitik potremmo anche pensare di lasciargli campo libero, non andando oltre una condanna formale. Lo abbiamo già fatto.

La politica estera di Mosca dal 2008, le dichiarazioni di Putin, Medvedev, Lavrov, Peskov e di personaggi vicinissimi al Kremlino quali Dugin o Cirillo I, e quelle di Xi Jinping, mostrano invece come la Russia nutra l’ambizione di riconquistare la “grandeur” perduta, anche mediante la (ri)conquista di porzioni dell’ex URSS (non vanno altresì dimenticate le mire di Pechino su Taiwan), e di creare un nuovo ordine mondiale che veda l’Occidente ridimensionato, se non proprio marginalizzato, a vantaggio di un asse di paesi non-democratici.

Chi considera le misure di contenimento anti-russe lesive dei nostri interessi nazionali, compie quindi (in buona fede?) un ragionamento che non va oltre il breve periodo. Al contrario, è proprio lasciando fare alla Russia, alla Cina e ai loro sodali e satelliti, che i nostri interessi, particolari e “di blocco”, verrebbero compromessi.

Putin ha mostrato inoltre di saper interferire massicciamente e massivamente nella politica interna italiana, colpendo e minando la nostra sovranità a proprio vantaggio; abbandonare il fronte atlantico per diventare pedine di un regime autoritario del Secondo Mondo non sarebbe pertanto un grande affare, non sarebbe una mossa né morale né lucida.

SOS dal Kremlino (?)

“Mosca non rifiuta di tenere i colloqui di pace, ma più passa il tempo e più saranno complicate le negoziazioni”; così Vladimir Putin, qualche giorno fa davanti alla Duma.

Il presidente russo introduce (dopo le consuete minacce militari) un elemento di novità, poiché accanto ad un’apertura alla diplomazia, anch’essa da intendersi come una semplice “prassi”, avverte circa la difficoltà di giungere alla pace se non si lavorerà presto in tal senso. Potrebbe essere una “minaccia”, di nuovo, ma anche un invito a sedersi quanto pima al tavolo delle trattative fatto da un leader ormai consapevole delle difficoltà del proprio esercito e del proprio Paese e dell’impossibilià di raggiungere gli obiettivi prefissati.