Perchè la Grandi Rischi è sfuggita ad ogni rischio.La “scossa” della comunicazione

“Processo alla scienza”; questo il refrain, astuto, degli imputati e dei loro difensori, poi ripreso da quella fetta di pubblica opinione che commenta senza informarsi, senza approfondire.

No, non si trattava di un “processo alla scienza”, di un tentativo di tagliare le gambe a sismologi e geologi, ma di un processo ad un gruppo di singoli soggetti che erano andati al di là delle loro competenze e delle acquisizioni della loro disciplina, somministrando dosi massicce di rassicurazioni infondate e truffaldine, dal momento in cui, ad oggi, un evento sismico non è prevedibile.

Hanno vinto loro, alla fine. Quel mantra, ipocrita ed amorale, li ha condotti fuori dal pericolo, al ripario dal giusto castigo e dalla giusta sanzione. Nihil sub sole novum.
Mi sento bene, perché i tecnici della Commissione hanno detto che non accadrà nulla. Non ci sarà una grande scossa, in più la mia casa è nuova e sicuramente costruita come si deve. Domani, 6 aprile 2009, inizia una nuova settimana di lavoro; non vedo l’ora di rivedere i miei amici e colleghi, per riderci su..

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Il pericolo xenofobo e quello assolutorio.Due concezioni al bivio.

L’ultimo, gravissimo, episodio di criminalità a L’Aquila, non dovrà trasformarsi nel volano per una nuova ondata di intolleranza xenofoba (i rapinatori parlavano con accento straniero), ma nemmeno dovrà essere archiviato, in modo semplicistico, come frutto della contingenza sfavorevole, secondo i criteri e i dettami di un socialismo umanitario ed utopistico che ha mostrato tutta la propria inadeguatezza storica.

E’ giunto il momento, per un certo certo segmento “liberal”, di sviluppare una nuova e diversa concezione dell’ Altro, più pragmatica, ampia e matura, che faccia i conti con le diverse declinazioni dell’Altro (in questo caso, l’Altro-criminale), spogliandosi di orpelli idealistici che hanno il sapore ed il colore dell’illusione, dell’alibi, della forzatura

Never forget… Mai dimenticare

C’è una linea sottile che lega la disperazione di chi si gettava dalle Torri Gemelle tagliate in due dall’orrore e chi sperava ed ansimava, sotto le macerie di una palazzo a L’Aquila oppure ad Onna.

Lasciamo alle menti immature il relativismo etico, l’odio politico che si fa indifferenza.

Non dimenticare…

“Questi erano gli amabili resti, cresciuti intorno alla mia assenza. I legami, a volte esili, a volte stretti a caro prezzo, ma spesso meravigliosi, nati dopo che me n’ero andata. E cominciai a vedere le cose in un modo che mi lasciava concepire il mondo senza di me”

L’Aquila, Onna, Fossa, Pizzoli, Poggio Picenze, San Demetrio ne’ Vestini, San Pio delle Camere, Tornimparte, Villa Sant’Angelo. Abruzzo, Italia. 6 Aprile 2009 – 6 Aprile 2014.

L’Aquila, 6 Aprile 2009.Il “mito” della strage di Stato e i pericoli della demagogia

Se potremo (concedendo una piccola dispensa all’emotività della semplificazione) definire il disastro del Vajont come “strage di Stato”, visto e considerato l’interessamento diretto, costante e continuo delle autorità centrali (fasciste e democratico-repubblicane) e dei loro apparati (Presidenza del Consiglio, ministeri, società nazionali pubbliche od a partecipazione pubblica) nella progettazione e nella realizzazione della diga, altrettanto non potrà e non dovrà dirsi del sisma che sconvolse l’Abruzzo il 6 aprile del 2009. Non allo Stato, infatti, bensì ai singoli costruttori (quindi soggetti privati) ed alle autorità locali che rilasciarono le concessioni, va ascritta e ricondotta la responsabilità di crolli come quelli di Via Sturzo, Via Poggio Santa Maria, ecc, Accusare genericamente lo Stato (che, ricordo, non è un’ entità astratta bensì l’insieme e l’unione dei singoli) sempre, comunque ed in ogni caso, è e rappresenta un esercizio di pigrizia intellettiva e un atto di profonda scorrettezza morale, specialmente se l’affondo arriva ed arriverà da settori della classe politica, bramosi di scavarsi nicchie di consenso tra i cittadini mediante il ricorso al demagogismo più ventrale ed al pathos scaturito dalla catastrofe.
Altra cosa, i ritardi e le deficienze nella ricostruzione. Ma questa è una fase successiva.

Obama, Berlusconi e l’ironia “diversa”

La battuta di Obama sul Colosseo (“è più grande di uno stadio di baseball”) viene bollata come inopportuna e di cattivo gusto. Le incursioni pseudo-umoristiche dell’ex Cavaliere nell’aprile 2009 con i cadaveri di 309 persone ancora caldi venivano, al contrario, giustificate come simpatici siparietti per spezzare la tensione (e guai a sostenere il contrario o si era tacciati di “grigismo” comunista). È sempre un peccato quando l’informazione ha un padrone che dice dove legare l’asino

La Bella Signora Ferita

Benché ferita ed offesa, L’Aquila conserva ancora il suo fascino antico e peculiare. Identico ma allo stesso tempo diverso, non è più elegantemente sfolgorante bensì elegantemente sinistro. Bella ma decaduta come una Yvonne la Nuit, orgogliosa e cocciuta testimone della sua antica potenza garbata guizzante da un a crepa o da un buco che mostrano un lampadario di cristallo impolverato, una madia di antiquariato, una scala in porfido.

Solo una cosa è lì, a squarciare ogni illusione di continuità, ad azzoppare i pensieri lunghi dell’ottimismo sensato; le uova pasquali di bar e ristoranti chiusi e sprangati, a terra, nello stesso punto in cui la scossa le catapultò quattro anni fa insieme alle caramelle, alle gomme americane, alle bottiglie di grappa. Testimoni di quel “dì di festa” che ci fu senza esserci, sono le putride carogne al sole dell’evidenza.

Finché non saranno consegnate al ricordo, la normalità non potrà dirsi di casa.

Ezio Pace e gli altri che non hanno avuto “culo”

Si chiamava Ezio Pace, morto a 19 anni in Via XX settembre 79, a L’Aquila. Giovane promessa del tennis, i Vigili del fuoco lo hanno trovato abbracciato alle sue racchette e al suo computer portatile, nel tentativo di cercare protezione dall’Orco che lo stava terrorizzando e uccidendo. Caro Lisi, se ne ricordi. E si vergogni.

 

ezio pace

‘L’Aquila città aperta’

AQ

Quando la nostalgia si fa particolarmente indiscreta, monto sulla mia macchina spazio-temporale preferita, Google Earth, e faccio un viaggio di 600 chilometri più a sud, nello spazio geografico, e di quasi 30 anni più indietro, in quello cronologico. Percorro idealmente certi vicoli, torno in certi bar, premo il viso contro la vetrina di questa o quella confetteria e, soprattutto, torno nella mia vecchia casa, che non ho più. La tecnologia non mi permette di varcare la soglia, e allora aggiungo un po’ di fantasia emotiva a quella evanescente e stilizzata del mezzo tecnologico, ed entro. Mi sdraio sul letto e chiudo gli occhi, mettendo in moto la manovella dell’immaginazione, ancora, e del ricordo. Accade, però, che ad un tratto qualcosa interrompa le risate degli amici, la musica dell’orchestra sul palco in piazza e il vociare dalle bancarelle colorate; è LUI, perché anche LUI fa parte di me e di noi. Arriva, con il suo urlo innaturale perché così assurdamente naturale, e sporca, macchia, inquina e sabota il mio mondo, il mio sentiero di rose.

Si, perché, quel giorno, quella casa e quella terra/mamma avrebbero potuto farmi del male, se non fosse stato per la pigrizia di un viaggio evitato all’ultimo secondo.

Si, perché in quelle stanze non c’è solo il ricordo di una festa e delle feste, ma anche quello di bicchieri che cadono, di stoviglie che sbattono e di mattoni che ululano promettendoti di schiaffeggiarti con l’inferno.

Si, perché poco più distante c’erano le telecamere del mondo, di un mondo estraneo, puntate con invadenza su quella fila di involucri di legno, di legno scuro e di legno bianco.

Chi lo avrebbe detto? Chi avrebbe mai potuto soltanto pensarlo? L’orrore che rovista nel tuo bozzolo segreto ed irraggiungibile. O almeno è quello che pensavi.

Ognuno la vive e lo vive a suo modo; non esistono codici, schemi o sentieri preordinati. Sia rispettato il silenzio, comunque, anche quando si fa parola o lettera scritta.

Ilaria Cucchi e Patrizia Moretti,cittadine de L’Aquila

Immota publica his salus manet

Il Comune dell’ Aquila ha deciso il conferimento della cittadinanza onoraria a Ilaria Cucchi, sorella di Stefano, e Patrizia Moretti, madre dello sfortunato Federico Aldrovandi. Si tratta di un gesto di grande delicatezza e civiltà che fa onore al capoluogo abruzzese, andandosi a collocare in quel solco storico di progressismo illuminato che è nota distintiva della città fin dalla sua fondazione. Critici e contrari si dimostrano, per l’ennesima volta, ammanettati al fraintendimento capzioso ed ottuso figlio del pregiudizio ideologico più primitivo e castrante; ad essere sul banco degli imputati, dinanzi al tribunale del diritto e a quello della storia, infatti, non è la divisa, non è il corpo cui i macellai dei due ragazzi appartenevano, bensì i singoli. E’ quindi per il buon nome delle stesse forze dell’ordine che si rende impellente l’abiura di farabutti che infangano la storia e la tradizione di coloro i quali sono chiamati a proteggere la nostra incolumità. Sia, il garantismo, un valore assoluto ed irrinunciabile, non una bandiera da sventolare o da riporre a seconda delle volgari contingenze del momento.

Orgoglioso di quella che per 800 anni è stata la città della mia famiglia e la mia