Dai corpi di Timosara agli scoop rubati – Il “fate girare” ante litteram.Perché la malainformazione non nasce con internet.


-Rivolta di Timisoara del 1989: l’agenzia di stampa ungherese Mti raccoglie da un cittadino cecoslovacco (rimasto anonimo) la notizia di scontri con numerosi morti e feriti tra civili ed autorità. La tedesca orientale Adn rilancia la news, parlando di 4.660 morti, 1860 feriti, 13.000 arresti e 7.000 condanne a morte. Seguono le maggiori testate del mondo occidentale (Corriere della Sera, Le Monde, Le Figaro,New York Times, Washington Post). Le fotografie dei corpi a terra, con ferite ricucite dal collo al torace fanno il giro del pianeta, commuovendo l’opinione pubblica e rappresentando il colpo di grazia per il regime ceauseschiano. Grande sensazione arriva dall’immagine di una donna adulta insieme ad una neonata, che si pensò essere sua figlia. Entrambe morte. Solo qualche mese dopo si scoprì che si trattava dei cadaveri (13) di persone decedute per cause naturali (la cicatrice era dovuta alle autopsie), disseppelliti dai cimiteri o presi dalle camere mortuarie e gettati in strada per accrescere l’idea e la percezione della ferocia del Conducător . In particolare, emerge che la donna , tal Zamfira Baitan , era un’anziana alcolizzata morta di cirrosi epatica, mentre la bambina, tale Christina Steleac, era deceduta a seguito di una congestione. Non intercorreva tra loro nessun legame di parenetela.

-Nel 1988, il Presidente del Bundestad tedesco, Philipp Jenninger , ricordando la Notte dei Cristalli si domanda come tanti tedeschi abbiano potuto seguire il regime hitleriano. La stampa dei cinque continenti fraintende e Jenninger è accusato di antisemitismo. Pochi giorni dopo, il cancelliere Helmut Kohl lo costringe a rassegnare le dimissioni.

-Durante le presidenziali del 1988, il celebre “anchorman” della Cbs Dan Rather accusa George Bush Sr. di aver ricevuto un trattamento preferenziale ai tempi in cui prestava servizio come pilota della Guardia Nazionale in Vietnam. I documenti in possesso del giornalista si rivelano fasulli e Rather è costretto alle dimissioni, dopo essersi scusato con i telespettatori e con gli Stati Uniti

-Il giornalista radiofonico americano Armstrong Williams, anima della trasmissione radiofonica “Syndacated”, viene sorpreso mentre intasca una mazzetta di ben 240 mila dollari dal Dipartimento della Scuola per tesserne le lodi. Si scoprirà che altri giornalisti americani intascavano ingenti somme per fare propaganda al Ministero della Salute.

-Il Direttore del Washington Post, Benjamin Bradlee , obbliga una sua reporter a restituire il Premio Pulitzer dopo aver scoperto che la sua storia che le era valsa il prestigiosissimo riconoscimento era un falso

Nessun lavoro di “Fact checking” (verifica dei fatti), “Gatekeeping” (selezione dei fatti/notizie) e “Discovery” (ricerca degli elementi per la costruzione dell’articolo), dunque. Nessun controllo, nessuno scrupolo. L’ABC del giornalismo è accantonato, dimenticato, e si tratta soltanto di una piccola, piccolissima parte delle tante manomissioni, false informazioni e colpi bassi nella storia ultramillenaria del giornalismo (nata con Tucidide e non con Gutenberg ).

Si è scelto di utilizzare esempi riferiti in buona parte alla stampa anglosassone perché vista e percepita (a torto) come esempio di professionalità e correttezza deontologica, ma la stampa di qualsiasi nazione ha gli armadi zeppi di scheletri di questo genere. Finalità della ricognizione storiografica, è ed è stata quella di evidenziare la debolezza e l’infondatezza dell’accusa, rivolta all’informazione on line, di essere la madre e l’unica responsabile della manomissione e dell’inquinamento del fatto; al contrario, per il suo carattere liquido, interattivo e per la sua fruibilità incondizionata, la rete consente al lettore un controllo ed uno scambio ben più completo e paritetico del e con il giornalista di quanto non permettano i canali tradizionali, veri e propri fortini nei quali nemmeno la legge sul diritto ed il dovere di rettifica può penetrare. La rete non ha, inoltre, a legarne e condizionarne il lavoro i tanti lacci e lacciuoli e del marketing, benzina ma allo stesso tempo zavorra dell’informazione tradizionale, atomo primo di quella degenerazione del racconto che prende il nome di “infotainment”. Se è indubbia ed innegabile l’esigenza di un intervento del legislatore per limitare gli eccessi di quel vasto, variopinto ed incontrollato mondo che è il virtuale, è altrettanto indubbio ed innegabile che nuove realtà quali il “citizen journalism”, i ”new media” e i suoi numerosi “tools”, arricchiranno la domanda e l’offerta democratica, costiuendo, come accaduto in occasione delle “Primavere arabe”, un ostacolo insormontabile per chiunque si voglia frapporre tra il cittadino e i suoi diritti più inalienabili.

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Le mille insidie del “fate girare”. Ma non solo.

La pericolosità sociale del “bufalismo” internetico non risiede soltanto nella sua capacità e potenzialità diffusiva ma anche nel credito di cui le varie “fonti” ed i vari canali sono ammantati ed ammantabili. Un esempio: può, l’ignorante in campo medico, aprire un sito di informazione alimentare e riempirlo con una collezione di assurdità ed infondatezze cliniche e scientifiche d’ogni genere e tipologia. Nessuno glielo vieta. Un titolo malizioso ed ostentante professionalità (buonasalute. net, ad esempio) potrà facilmente confondere il lettore, suggerendogli un’idea di competenza e capacità nel settore che i responsabili della sciagurata piattaforma sono però lungi dal detenere.

“Fact checking” (verifica dei fatti), “Gatekeeping” (selezione dei fatti/notizie), “Discovery” (ricerca degli elementi per la costruzione dell’articolo) e le celebri “5W”, sono e rimangono il baluardo più valido contro la capziosità del propagandista. E dell’ignorante.

Il caso del 19enne italiano ucciso dagli inglesi in realtà lituani e le tante ombre del giornalismo spettacolo

Gb, 19enne italiano ucciso: “Rubava lavoro agli inglesi”

 Raid nel Kent: «Italiani, ci rubate il lavoro»

 19enne di Lecco ucciso a calci e pugni

 Joele Leotta, 19enne italiano ucciso a botte in Inghilterra: “Ci rubi il lavoro”

 Ucciso perché «voleva rubare lavoro agli inglesi»

 

Questi alcuni dei titoli, molto forti, utilizzati dagli organi di stampa italiani in merito al caso del 19enne di Lecco barbaramente assassinato in Inghilterra qualche giorno fa. Titoli, come abbiamo detto, forti e ad elevatissimo impatto emozionale, che facevano supporre una certezza, da parte dei cronisti, riguardo la dinamica dei fatti. Joele era stato ammazzato perché italiano. Un italiano che “rubava” il lavoro. Procedendo nella lettura dei pezzi, il lettore meno disattento non poteva però fare a meno di notare una certa confusione ed una certa vaghezza, nella ricostruzione cronistica. Sembrava che i ragazzi inglesi e Leotta avessero litigato, nel locale dove il 19enne lavorava, per motivi sociali e “razziali” (“ci rubate il lavoro”), sembrava che i killer avessero, una volta fatta irruzione nella stanza della vittima, urlato il loro odio etnico, ma tutto era formulato ed imperniato sul condizionale. Pare, qualcuno avrebbe detto, qualcuno avrebbe visto, qualcuno avrebbe sentito. Non c’era nemmeno, inoltre, la certezza che gli aggressori odiassero il giovane Leotta proprio in quanto italiano e non, più genericamente, in quanto straniero che “rubava” il lavoro agli autoctoni. La notizia, così confezionata, ha fatto il giro dei circuiti audiovisivi e cartacei nazionali, fino a che gli inquirenti di Sua Maestà non hanno scoperto che gli assassini, 4 per l’esattezza, non erano inglesi ma lituani e che il movente non è o non sarebbe sociale o “razziale” ma dovuto e allo stato di alterazione causato dalle sostanze allucinogene e alcoliche assunte dalla sciagurata comitiva. Ma c’è di più: sempre secondo gli investigatori, alla base del gesto potrebbe esserci, addirittura (anche in questo caso è d’obbligo il condizionale), uno scambio di persona. Altroché crociate di tipo etnico. Siamo dunque in presenza di un errore che si colloca al di là delle più elementari regole alla base dell’indagine e della narrazione giornalistica: manca il “Fact checking” (verifica dei fatti), manca il “Gatekeeping” (selezione dei fatti/notizie), manca la “Discovery” (ricerca degli elementi per la costruzione dell’articolo). Mancano, cioè, gli elementi cardine di quel “precision journalism” nato con i leggendari “muckrakers” di memoria rooseveltiana e codificato da Waklter Lippman, il più illustre dei reporter statunitensi del secolo XXesimo. Semplice trascuratezza? O, forse, il tentativo di fare sensazione, di fare ” Infotainment “, per qualche copia o click in più o per vedere schizzare l’audience? Si, forse, o forse c’è dell’altro. Forse, molla dell’ equivoco” è stato il movente politico, al servizio o della propaganda “migrazionista”, che in questo modo voleva mostrare al segmento xenofobo italiano il trattamento riservato ai nostri connazionali all’estero facendo ricorso al metodo dell’immedesimazione (“vedete che cosa si prova”) oppure al servizio della propaganda più retrivamente identitaria (“ecco gli inglesi cosa fanno a chi ruba loro il pane”). Il tutto, approfittando dell’onda emozionale causata dalle recenti tragedie lampedusane. In ogni caso e in tutti i casi, sia che si tratti di superficialità o di asservimento all’elemento politico-ideologico, ancora una volta il “grande” giornalismo, quello a tanti zeri, ha dato prova e dimostrazione di tutta la sua debolezza e inaffidabilità.

 

Un pensiero ai familiari ed agli amici del povero Joele.