“E io pago”. Le insidie del ventalismo.

L’importanza del finanziamento pubblico a stampa e partiti.

Presente, accettato e consolidato nella maggior parte degli stati, il finanziamento pubblico ai partiti è deve essere considerato un presidio democratico di irrinunciabile importanza e di insuperabile efficacia. Suo scopo è, infatti, quello di garantire l’aspetto ed il ruolo inclusivo e partecipativo della politica, impedendo che la dialettica e la prassi gestionale diventino terreno di caccia e patrimonio esclusivo di “lobbies” e potentati economici, così come avveniva fino al secolo XIXesimo e, in parte, fino alla prima metà del secolo XXesimo. Il dispositivo sta tuttavia diventando il catalizzatore di un un malessere generale e trasversale che parte da altrove, ovvero dall’arroganza miope di una classe politica abbarbicata su anacronistici privilegi da “Ancien Régime ” francese e decisa a non cedere posizioni e ad elargire concessioni sul piano del buongusto e della responsabilità istituzionale. Sta, ancora una volta, alle forze più equipaggiate sul piano della maturità civile, evitare che soggetti meno avveduti manipolino e plasmino il disappunto popolare, facendone un “ must” e un “middle must” da orientare e addomesticare verso soluzioni che danneggerebbero in modo definitivo la partecipazione corale e collettiva.

P.S: L’assunto è trasferibile e sovrapponibile anche sul tema del finanziamento alle testate giornalistiche; se è vero che l’irruzione di internet ha allargato le maglie della comunicazione, consentendo la nascita e lo sviluppo di realtà come il “citizen journalism” e di figure quali i “presumers” , è altrettanto vero che un buon servizio di informazione non potrà, mai ed in nessun caso, prescindere dalla voce economica. Una testata in carenza di fondi non sarà difatti in grado di essere pienamente operativa e funzionale, e questo ne manometterà e limiterà la funzione civica, sociale e culturale propria del giornalismo.

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La scarpa israeliana e il sassolino siriano

Non sono le poderose riserve di idrocarburi siriane e nemmeno il desiderio di sottrarre Damasco alla sfera di influenza russa a spingere gli USA all’intervento militare; la Siria è, infatti e insieme all’Iran, l’unica porzione del Rimland mediorientale a mancare alla cintura di sicurezza israeliana, e in questo vulnus (per Tel Aviv) si concentra e si snoda l’archè dell’azione obamiana. Non è dietrologia, d’altro canto, il fatto che le lobby ebraiche esercitino un potere esorbitante sugli Stati Uniti, dall’economia, alla stampa, alla cultura, alla politica. Se intervento sarà, Mosca (che ha i suoi veri interessi energetici altrove, vedi il Kazakistan) imbastirà per la Siria insieme agli americani una nuova, l’ennesima, Monaco. Ps. Non credo nemmeno all’escamotage pro-assadiano del “there is no alternatives”, con lo spettro dei terroristi brandito ogni volta in cui viene deposto un tiranno mediorientale. Gli occidentali sono sempre ben attenti a collocare leadership a loro contigue, nei paesi che assoggettano. Trovo invece più tentennate Obama e più assertiva Tel Aviv; sono anni che lanciano continue provocazioni, militari e mediatiche, ad Iran e Siria. Il loro controllo è troppo importante per gli israeliani.

“Quei maledetti lobbisti !”

Il 18º presidente degli Stati Uniti Ulysses Simpson Grant viene ricordato come un validissimo militare ma come uno dei peggiori inquilini del 1600 di Pennsylvania Ave. Con indosso la giubba blu, sconfisse (uno dei pochi) Lee ad Appomattox Court House e fu uno dei pilastri della leggendaria Armata del Potomac, ma salito alla presidenza, forte del prestigio conquistatosi in battaglia, si dimostrò debole, incerto ed eccessivamente influenzato dai suoi collaboratori. Quasi travolto dallo scandalo del “Whiskey Ring” (anche se non vi furono mai le prove di un suo coinvolgimento diretto), aspramente contestato per il perdono presidenziale concesso ad uno dei protagonisti dell’affaire, il suo segretario privato Orville E. Babcock, visse gli ultimi anni da Presidente con insofferenza, desideroso soltanto di arrivare alla scadenza del suo mandato (in tutto furono due). L’ex Generale si rifugiava sempre più spesso all’ Hotel Willard, per bere whiskey, gustare buoni sigari e sfuggire alla schiera di politici, imprenditori, banchieri e collaboratori che lo attendevano nell’atrio (“lobby”) della Casa Bianca. “Quei maledetti lobbisti !” Questa, forse, è l’unica traccia significativa di quel turbolento ottennato: grazie a Grant sappiamo come fare per indicare molti mali con un termine solo..