“Secondo punto: l’adesione alla NATO della Germania. Il minimo su cui occorre insistere è la non partecipazione della Germania a un’organizzazione militare, come per esempio non vi prende parte la Francia. Il minimo del minimo è almeno il non stanziamento di armi nucleari su tutto il territorio tedesco. Secondo i sondaggi, l’84 percento dei tedeschi è per la denuclearizzazione del Paese”
Così Valentin Mikhailovich Falin, consulente del Kremlino per la questione tedesca, nel luglio 1990 durante una telefonata con Michail Gorbačëv (gli altri due punti riguardavano questioni di natura legale, burocratica ed economica). Il segretario del PCUS concluse tuttavia la conversazione dicendo: “Farò tutto il possibile, ma temo che ormai abbiamo perso il treno.”
Le parole di Falin dimostrano come l’URSS avesse effettivamente pensato ad una serie di richieste per contenere l’ampliamento della NATO e l’influenza atlantica oltre i perimetri tracciati nel 1943/1945, mentre l’atteggiamento di Gorbačëv sembrerebbe confermare la tesi secondo cui tra l’Occidente e l’Unione Sovietica non vi sia mai stato alcun accordo in merito (sebbene lo stesso padre della perestrojka e diversi ex leader d’oltrecortina ne abbiano parlato in diverse occasioni).
E’ da notare come nel febbraio dello stesso anno anche Walter Momper, allora sindaco di Berlino Ovest, avesse elaborato una proposta in nove punti sulla riunificazione tedesca che prevedeva la smilitarizzazione completa della vecchia DDR.
Il 26 gennaio 1990 si svolse al Kremlino una riunione straordinaria sul destino delle due Germanie tra Gorbačëv, i suoi consiglieri personali Sergej Achromeev e Georgij Šachnazarov, il Primo Ministro Nikolaj Ryžkov, Shevardnadze, il deputato e membro del dipartimento agitazione e propaganda Aleksandr Jakovlev, il capo del KGB Vladimir Krjučkov, il vice ministro degli Esteri Andrej Fedorov, gli esperti per la questione tedesca Valentin Falin e Anatolij Cernjaev e il vice di Falin.
“L’intenzione è di parlare apertamente di ciò che aspetta, ogni premessa è consentita, tranne una: l’uso delle nostre forze armate”. Con queste parole il capo dell’URSS diede il via alla riunione.
Gli errori dell’Occidente con la Russia dopo il 1992 e l’assenza di una visione razionale: una lezione per il futuro
Il 4 giugno del 1990, Michail Gorbačëv pronunciò un memorabile discorso davanti agli studenti e ai professori della Stanford University. Nell’intervento, l’allora primo ministro sovietico dichiarò conclusa la Guerra Fredda*, aggiungendo: “E non mettiamoci a discutere su chi l’abbia vinta”.
Non erano casuali, quelle parole, né lo era il loro utilizzo; Gorbačëv voleva infatti mettere in guarda gli americani dalla pericolosa seduzione di una “wishful thinking” , ovvero considerare vinto il cinquantennale confronto e messo all’angolo l’ex avversario. Un avvertimento caduto nel vuoto, quello del padre della “perestrojka”, dal momento in cui gli USA e i loro alleati scelsero (a cominciare dal 1992 e principalmente con Bill Clinton e George Bush jr) una politica sempre più unilateralista e di “potenza” di stampo ottocentesco, abbandonando i principi dell’ “equal footing” e del “predictability” che avevano regolato i rapporti con Mosca dal 1942** e cercando così la marginalizzazione (e, de facto, l’umiliazione) del gigante dell’Est. L’allargamento della NATO ai paesi dell’ex Patto di Varsavia (percepito dai russi come una grave minaccia alla loro sicurezza nazionale) nonostante le promesse e l’intervento privo del placet ONU in Serbia, nonché quello in Iraq sulla base di motivazioni rivelatesi artificiose, sono il risultato di questo nuovo “concept” atlantico, diverso dal “new democratic order” di impronta rooseveltiana e dal “new thinking” liberale ed inclusivo tra Gorbačëv e il primo dei Bush.
Da qui, l’inevitabile ritorno ad un clima di sospetto e paura nei confronti di Washington da parte dei russi ed alle antiche pulsioni revansciste e scioviniste, su cui la disastrosa congiuntura economico-sociale pre-putiniana ha giocato un ruolo propulsivo di importanza fondamentale.
Leggendo le considerazioni sull’argomento di Dinesh Joseph D’Souza , ex consulente per la comunicazione di Ronald Reagan e convinto repubblicano, potremo notare e verificare la totale mancanza di realismo di una fetta del movimento d’opinione statunitense (e occidentale) e delle istituzioni del Paese sui rapporti con la Russia e su quella fase storica: ”Per la terza volta nel XX secolo, gli USA hanno combattuto e vinto una guerra mondiale. Nella Guerra Fredda, Reagan è stato il nostro Churchill: è stata la sua visione e la sua leadership a condurci alla vittoria”. Il presuntuoso manifesto di una vera e propria “pax americana”, dunque, un’illusione tanto anacronistica quanto pericolosa, destinata a riesumare i fantasmi dei Versailles.
Anche, e lo si è accennato, le politiche predatorie portate avanti ai danni della Russia da Attori statuali e non-statuali dopo il crollo del comunismo rientrano nel calderone di questi errori, gravi, di cui oggi paghiamo le conseguenze. La fragile Russia post-comunista andava, insomma e per concludere, aiutata e seguita, più e meglio, non trattata come un partner minore o un mercatino dell’usato. L’auspicio è che dopo quest’ultima crisi l’Occidente sviluppi una nuova linea di approccio verso il grande vicino, indipendentemente da chi ne sarà alla guida e indipendentemente dalle valutazioni contingenti sulla disputa ucraina. E’ nell’interesse di tutti.
*la conclusione della Guerra Fredda fu sancita ufficialmente da Boris El’cin e George H. W. Bush nel febbraio del 1992
**i primi contatti tra USA, Regno Unito ed URSS sulla sistemazione post-bellica si ebbero agli inizi del 1942
Nel 1987, i socialdemocratici della Germania Ovest (SPD*) e i comunisti della Germania Est (SED**) elaborarono un documento comune in cui si riconosceva agli occidentali la capacità di superare pacificamente le ostilità con il blocco d’oltecortina.
Il passo, epocale, era una conseguenza diretta del nuovo approccio di Michail Gorbačëv alla politica estera.
Conscio del potenziale devastante degli arsenali termonucleari, il padre della perestrojka e della glasnost’ superava infatti la visione marxista-leninista*** del mondo capitalista come “nemico di classe”, aggressivo e pericoloso, riconoscendogli appunto la capacità di saper gestire in modo pacifico la contrapposizione bipolare. Al sospetto, al timore ed allo spionaggio, Gorbačëv cercò quindi un sistema di relazioni basato sulla fiducia e la cooperazione.
*Sozialdemokratische Partei Deutschlands
**Sozialistische Einheitspartei Deutschlands
***Vista l’impossiblità di esportare la rivoluzione, Lenin teorizzò una pragmatica “coesistenza pacifica” ma sempre come forma di lotta di classe, quindi basata sul confronto, seppur non apertamente violento, con il mondo occidentale e capitalista