Il Covid e il catastrofismo degli anti-catastrofisti

A fare da contraltare al pessimismo e al catastrofismo del movimento d’opinione più “prudente” rispetto al problema Covid, c’è quello del fronte opposto, secondo cui le restrizioni non saranno mai abolite e la democrazia non sarà più restituita alla sua fisionomia precedente.

Previsioni sbagliate, in questo caso come nel primo, e risultato, in questo caso come nel primo, di un approccio emotivo, e, forse, di una scarsa conoscenza della Storia.

Nessuna misura di contenimento straordinaria adottata per fronteggiare un’epidemia/pandemia è mai divenuta permanente, come nessun regime d’eccezione e mai divenuto normalità, almeno nei sistemi democratici moderni. Disposizioni che vanno contro la natura stessa dell’Uomo, che è sociale, e contro usi e costumi consolidati, non possono infatti sopravvivere, perché verrebbero rigettate come aliene ed estranee (è già difficile farle accettare oggi).

Anche chi sta traendo vantaggi e benefici dalla situazione attuale sarebbe inoltre gravemente danneggiato dall’inevitabile catastrofe economica, sociale, sanitaria e politica che seguirebbe una perpetuazione indefinita dell’emergenza.

Nessuna “nuova normalità”, insomma, anche se per un ritorno alla vita di prima dovremmo attendere ancora a lungo, non solo a causa del Covid ma anche delle pressioni di chi, lo abbiamo detto, sta ottenendo un qualche guadagno dallo scenario pandemico.

(Di Cat Reporter 79)

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Appunti di comunicazione – Ti odio perché non ti conosco

(Di CatReporter79)

Elaborata nel 1978 da Guy Woodruff e David Premack, la “Teoria della mente”(“ToM”, dall’inglese Theory of Mind) indica la capacità di immedesimarsi nell’Altro, di capire stati mentali e comportamenti diversi dai nostri.

Oggi, il web e soprattutto i social rischiano di indebolire questo strumento alla base dell’empatia, “chiudendo” le persone in spazi isolati, in “camere dell’eco”, attraverso meccanismi come i feed algoritmici, i “dark post” o le “filter bubbles”.

In politica, ciò vuol dire considerare sempre più alieno, strambo e pericoloso chi è diverso da noi, esposto a sollecitazioni che vede solo lui e che a noi sono inibite. Anche qui, forse, sta uno dei motivi del riacutizzarsi dello scontro, del progressivo imbarbarimento del confronto con idee che non sono le nostre.

Appunti di storia e di presente – Non solo Battisti: la Dottrina Mitterrand e quella “rivoluzione” fatta a casa degli altri

(Di CatReporter79)

Negli anni in cui il nostro Paese varava le cosiddette “leggi speciali” anti-terrorismo, che la Dottrina Mitterrand avrebbe contestato e rigettato giudicandole anti-democratiche e lesive dei diritti umani e civili, la Francia manteneva ancora la pena di morte tramite ghigliottina come nel secolo diciottesimo. Non sulla carta, si badi, dal momento in cui l’ultima esecuzione risale al 1977 e l’ultima sentenza capitale al 1980, cioè un anno prima che la “vedova allegra” fosse mandata definitivamente in pensione**.

Di nuovo, le autorità francesi hanno sempre dato prova di estrema durezza e rigidità nel trattare il terrorismo di sinistra interno; si pensi ai detenuti della formazione anarco-comunista Action Directe, giudicati dalla Corte di Sicurezza dello Stato (un dispositivo d’emergenza creato da De Gaulle) e condannati all’ergastolo o a pene detentive molto lunghe, scontate all’interno di istituti di massima sicurezza, in regime di isolamento e in condizioni spesso denunciate come disumane dalle principali organizzazioni umanitarie internazionali. A tal proposito gioverà ricordare i casi di Georges Cipriani e Joëlle Aubron, militanti di AD lasciati in carcere nonostante gravissimi problemi di salute. Cipriani soffriva infatti di disturbi psichici mentre la Aubron aveva un tumore al cervello, che l’avrebbe uccisa nel 2006. A loro fu negata quella clemenza che nel 2008 il presidente Sarkozy concesse invece alla brigatista italiana Marina Petrella, condannata all’ergastolo in Italia ma non estradata per motivi di salute. Curiosamente, i malesseri fisici dell’ex bierre si palesavano solo quando l’insistenza delle nostre autorità nei suoi confronti si faceva maggiore.

La pretesa, che fu perno della Dottrina Mitterand, di rigettare le sentenze italiane muovendo da un presunta superiorità del cultura giuridica e democratica francese, risulta dunque quantomai infondata e grottesca, alla luce del diverso approccio di Parigi al crimine e al terrorismo interni. La Francia si è sempre dimostrata “Patrie de l’Homme” a sua discrezione, come rivela anche il trattamento riservato agli indipendentisti còrsì, vittime di una guerra strisciante oltre i limiti del diritto nazionale e di quello internazionale, ieri come oggi***.

Enunciata nel 1982, la Dottrina Mitterand fu all’inizio pensata per i soli colpevoli di reati non gravi e anteriori al 1981. Negli anni avrebbe tuttavia garantito protezione ai terroristi di sinistra italiani indipendentemente dalla dal fatto fossero stati condannati o meno sulla base delle leggi speciali anti-terrorismo, dalla natura dei loro crimini e dalla loro collocazione temporale. Giudicata inammissibile anche dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, la
Dottrina Mitterand è decaduta nel 2004, allorquando Parigi non ha più concesso asilo a Cesare Battisti.

Commentando la Dottrina Mitterrand, l’ intellettuale di sinistra ed ex ambasciatore in Italia Gilles Martinet scrisse: “Non potendo fare la rivoluzione nel proprio Paese, si continua a sognarla altrove. Continua a esistere il bisogno di provare a se stessi di essere sempre di sinistra e di non essersi allontanati da un ideale”

*Si consiglia l’approfondimento del caso Ranucci. Accusato di aver rapito e ucciso una bambina, il 22enne Christian Ranucci fu ghigliottinato il 28 luglio 1976 a Marsiglia. Una parte dell’opinione pubblica e della stampa francesi non ha mai ritenuto sufficienti le prove a suo carico, tanto è vero che la vicenda fu determinate nel percorso che avrebbe portato all’abolizione della pena di morte

**Nomignolo con il quale in Francia è conosciuta la ghigliottina

***Nel 1992, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha condanna la Francia per trattamenti disumani e degradanti ai danni dell’indipendentista còrso Félix Tomasì, picchiato e torturato dopo l’arresto

La festa della bandiera e quell’unità che arriva da (molto) lontano

(Di CatReporter79)

La Festa del Tricolore ricorda e ci ricorda che la bandiera italiana compie oggi 222 anni. E’, dunque, più antica dell’Unità, vera e propria (1860-1861).

La nascita del nome “Italia” è invece fissata da alcuni storici ben più lontano, per la precisione a tremila anni fa.

Osservando gli stati attuali potremo altresì notare come la loro indipendenza, o comunque la loro fisionomia odierna, risalgano alla forchetta cronologica che va dal Settecento al primo Duemila; sono, cioè, coevi o più giovani del Regno d’Italia-Repubblica Italiana, ma a differenza del nostro Paese non hanno, in molti casi, un “background” storico alle spalle (si pensi agli stati a maggioranza bianca del centro-sud America o dell’Oceania).

La vulgata che fa passare l’unità italiana come un fenomeno recente, associando questo concetto a quello di fragilità e immaturità stoica, è quindi antiscientifica, superficiale e strumentale.

Appunti di storia – Quando i populisti volevano l’Europa e la moneta unica

( Di CatReporter79)

Nel 1946 Guglielmo Giannini diede vita all’ “Europeo Qualunque”, un giornale del “torchietto” che si andava ad affiancare ai precedenti “L’Uomo Qualunque” e “Il Buonsenso”. “L’ Europeo Qualunque” illustrava e diffondeva i principi europeisti del commediografo napoletano, convinto sostenitore della necessità di superare l’idea di stato nazionale, “troppo debole per difendersi, troppo ristretto per vivere da solo, troppo povero per essere indipendente”* nonché alla base delle guerre che avevano dilaniato l’Europa nel XX secolo.

Al suo posto, Giannini e i qualunquisti lanciavano il progetto di una casa comune europea su base federale e sul modello statunitense, gli Stati Uniti d’Europa, dotato di “una sola moneta, un solo esercito, una sola polizia, un solo Governo centrale che si occupi delle questioni generali del continente”** e unito dalla amalgama delle radici cristiane (“l’unico elemento morale previsto””***) secondo un percorso storico che dall’Impero Romano si snodava tra Carlo Magno, Carlo V e Napoleone Buonaparte.

Questo spazio europeo, “per definizione il mondo della pura razza bianca, senza paturnie di ariani e di semiti”****, era peraltro già stato immaginato ne “La Folla”, il manifesto politico in cui Giannini teorizzava un’internazionale degli “uomini qualunque” vessati ad ogni latitudine e in egual misura dagli UPP, gli “uomini politici professionali”.

in quegli anni, delegazioni dell’UQ parteciparono a tutte le iniziative europeiste all’estero. Dalle riunioni dell’Unione parlamentare europea a Gstaad nel 1947 al congresso dell’Unione Federalisti Europei ad Amsterdam.

Mentre oggi l’antipolitica si basa su un impianto anti-europeista, sovranista e nazionalista, è interessante notare come all’epoca si attestasse su posizioni europeiste, anticipando sia la CEE-UE che l’Euro. L’idea di una casa comune europea era del resto presente anche nelle destre radicali italiane (ad esempio il MSI), mentre i conservatori inglesi furono tra i massimi sostenitori dell’ingresso e della permanenza di Londra nella CEE

*”L’Italia non è colpevole della guerra”, articolo su “L’Uomo Qualunque” pubblicato il 6 agosto 1947

**Articolo sulla rubrica “Le Vespe” nell’ UQ del 23 marzo 1945

***”La nazione qualunque”, G. Parlato

****”Rinascita del mondo europeo”, articolo pubblicato su “L’Europeo Qualunque” il 31 marzo 1947

Gilgameš e Salvini

(Di CatReporter79)

“Dall’anno scolastico prossimo saranno introdotte ore di educazione civica (ambiente, sport, Costituzione, trattati). Interessanti il mitocondrio e i Sumeri, ma giusto che si sappia dove si vive e quali siano le regole”

Così il Ministro dell’Interno, ieri in un tweet.

All’apparenza (almeno per l’occhio più attento) poco puntuale (Educazione Civica è già materia di studio e vengono confuse aree disciplinari differenti), il tweet di Salvini è, in realtà, un ottimo esempio di comunicazione, per essere precisi di propaganda “grassroots”*.

L’accusa, rivolta alla scuola, di insegnare cose troppo lontane nel tempo a scapito delle vicende più attuali, è infatti un ritornello dell’ “everyman”, l’uomo comune, l’uomo della strada, e Salvini lo sa. Citando i Sumeri (una civiltà risalente al 4000 a.C) e accostandoli a qualcosa percepito come astratto e complesso (i mitocondri), il “Capitano” parla così, di nuovo e con maestria, il linguaggio della “gente”, per la “gente”.

*Con il termine “grassroots propaganda*” si intende quel tipo d propaganda diretta al “grass”, il “prato”, l’uomo comune. E’ spesso “verticale”, cioè creata da gruppi di potere.

Appunti di storia e comunicazione -L’invidia “qualunque” e il nemico colto, ieri e oggi

( Di CatReporter79)

Ormai affermatosi come autore di opere teatrali e soggetti cinematografici, alla fine degli anni ’30 Guglielmo Giannini disse tuttavia di sentirsi inadeguato e a disagio nel doversi relazionare con “i dottori col bollo, i poeti laureati, la gente in regola con gli studi”. Pur di famiglia alto-borghese e colta (il padre era un giornalista e scrittore e la madre, britannica, figlia di scrittori), il futuro leader dell’UQ scelse infatti una formazione da autodidatta, vedendo (questa almeno fu la sua versione) nell’istruzione di Stato un’indebita intrusione nella vita del cittadino.

Una scelta libera, dunque, ma le cui conseguenze sembrarono pesare non poco sull’autostima di Giannini. Qualche anno dopo, in un articolo sulla rubrica satirica “Le Vespe*”, lo ritroviamo non a caso sull’argomento, scrivendo dell’orgoglio di aver brevettato (alla fine della Grande Guerra) “grazie soltanto “alla modestia della mia licenza elementare” un sistema di intercettazione telefonica poi adottato dal Regio Esercito.

Non è pertanto da escludere che l’avversione mostrata dal commediografo verso l’impegno politico, la politica “colta” e gli ideologi, fosse dovuta a questo complesso latente. Ad accreditare la tesi, il fatto che una volta sceso in politica fu proprio il Partito d’Azione, uno dei partiti con la più alta concentrazione di uomini istruiti e di cultura, ad essere oggetto dei suoi strali; gli azionisti vennero a più riprese definiti “vanagloriosi e pieni d’acqua”, “i quattordici gatti della setta dei professori”, i “caporali di filosofia”, i “quattro professori in fregola di prebende”, i “laureatissimi fregnoni”, gli “austeri imbroglioni”.

La rabbia di Giannini e dei qualunquisti contro il mondo intellettuale, politico e non politico, era ed è una costante anche in altre sigle a vocazione populistico-demagogica, spesso prive di personalità di alto profilo culturale e costituite da una base elettorale scarsamente scolarizzata.

*”Le Vespe”, 8 agosto 1945. S trattava di una rubrica satirica all’interno del giornale di partito “L’Uomo Qualunque”

Da dove nasce l’odio per Silvia Romano

(Di CatReporter79)

Con il suo impegno umanitario e sociale, con la sua allergia sensoriale e il suo bagaglio empatico, Silvia Romano va a scontrarsi con due aspetti peculiari del pensiero reazionario e della psicologia dell’ “uomo qualunque”: il razzismo (stava aiutando gli africani) inteso nella sua accezione meno elaborata, più istintuale e primitiva, ossia la paura dell’Altro, e il laissezfarismo inteso come abulia emotiva e mentale, come disimpegno intimorito e pecoreccio. A questo va ad aggiungersi l’ostilità politica verso le ONG, viste (a torto) come contigue alla sinistra.

Silvia Romano e chi, come lei, aiuta gli altri a rischio della propria vita e della propria incolumità, è e resta in ogni caso un essere umano di qualità infinitamente superiore a chi, adesso, la critica e deride con un “se l’è cercata”.

Trattamento molto meno ostile per Desirée Mariottini e Pamela Mastropietro. In questo caso la loro tossicodipendenza scivola in secondo piano, dal momento in cui i killer sono extracomunitari e le due vicende possono quindi prestarsi ad una strumentalizzazione di tipo politico.

Quelle atomiche sul water

(Di CatReporter79)

Secondo alcune fonti, ad un certo punto del vertice di Reykjavík
Michail Gorbačëv e Ronald Reagan si chiusero in bagno per discutere lontano da orecchie indiscrete. I due uomini più potenti del mondo, a capo dei due eserciti più potenti del mondo, avrebbero steso sul water la mappa con i siti nucleari da chiudere. Il meeting, avvenuto tra l’11 e il 12 ottobre 1986 (il primo tra i due), riguardava proprio il disarmo.

Nel 1956, durante il terzo incontro tra le diplomazie israeliana, britannica e francese sulla crisi di Suez, il premier israeliano Ben Gurion e i suoi luogotenenti Moshe Dayan e Shimon Peres avrebbero invece disegnato i piani d’attacco contro l’Egitto di Nasser sulla carta stagnola di un pacchetto di sigarette, in mancanza di altro. Il vertice ebbe come risultato il “Protocollo di Sèvres ” (in cui era delineata la guerra agli egiziani), sempre negato da britannici e francesi e considerato una teoria del complotto fino a quando Ben Gurion non decise di renderlo pubblico.

Verosimili*benché grotteschi e bizzarri, episodi di questo tipo aiutano ad “umanizzare” i potenti, favorendo una lettura più obiettiva e disincantata della Storia come del presente

*Nei giorni della CMC (Crisi del missili di Cuba dell’ottobre 1962), John Kennedy discuteva spesso in bagno con i collaboratori, facendo scorrere l’acqua. Anche JFK e i suoi volevano evitare attenzioni indiscrete.

Schegge di spin – Il buco nella rete

(Di CatReporter79)

Nel preparare alcune lezioni on line sullo spin doctoring e, più in generale, sulla consulenza al politico ed ai partiti (strategia, comunicazione, ecc) ho inserto due casi riguardanti le scorse comunali massesi.

Da una parte abbiamo un signore attempato, che non ha un account Facebook e che forse non usa nemmeno internet o lo fa in modo molto sporadico. Dall’altro abbiamo un giovane, attivissimo sul web.

Entrambi candidati.

Il primo è passato, il secondo no.

Il primo ha preso moltissimi voti (è puntualmente un recordman), il secondo è andato parecchio a di sotto delle aspettative.

Perché?

Perché il primo vanta una rete fittissima di contatti ed amicizie “reali”, anche legati al lavoro (nel pubblico) che svolgeva, mentre il secondo (un libero professionista) si è speso essenzialmente sulla rete, trascurando altre modalità.

Nelle competizioni locali, soprattutto nei contesti di medie e piccole dimensioni, il web può risultare una buona opportunità, ma solo e soltanto come appoggio. La chiave del successo sta invece nel contatto, diretto, continuo, costante, con la gente, e ciò a partire da mesi, se non anni, prima del voto. I social a volte sono utili, altre indispensabili, ma molto spesso brillano di una luce fasulla. Lo sconfitto del mio esempio sembrava non a caso popolarissimo, on line.