il Covid e lo strano caso dell’uomo che morì due volte

Sembra che la Regione Abruzzo abbia annoverato tra i recenti morti per il Covid anche un autotrasportatore ucraino, annegato e poi risultato positivo al tampone post-mortem. Chi conosce la comunicazione e la Storia (soprattutto) non se ne stupirebbe e non può non domandarsi quanti casi del genere ci siano stati, fino ad oggi. Ma sa anche che certi comportamenti sono destinati, presto o tardi, a ritorcersi contro chi li pone in essere e li sostiene.

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Sul IV Novembre

Sono nato e cresciuto “accompagnato” dagli sguardi dei caduti della prima Guerra Mondiale, impressi nelle lapidi a ricordo poste sulle facciate delle case del mio paese, nell’Abruzzo aquilano. Ho fatto in tempo a conoscere molti di quei reduci e le vedove, vestite di nero, ancora e dopo decenni e decenni. Per questo, per me, il IV Novembre non sarà mai una data come le altre. La memoria non è uno sterile esercizio retorico, una passi castrante od inutile. Al contrario, è, si pone e si staglia come imperativo etico, soprattutto in momenti storici come quello attuale, in cui maldestri revisionismi alimentati dal revanscismo più gretto mettono in discussione l’atomo primo del nostro edificio nazionale e comunitario. Un tributo ai 650mila caduti che hanno consegnato all’Italia le terre irredente, ultimando i nostri processi risorgimentali e liberali. P.S: la nazione può e deve essere criticata, anche in modo aspro (io lo faccio molto spesso) ma non possiamo permettere che il dettato storico e documentale venga insozzato da una canea di dilettanti della storiografia e del giornalismo.

“Se l’Austria, come avevamo ragione di temere, cadeva, la guerra era perduta. Per la prima volta avemmo la sensazione della nostra sconfitta. Ci sentimmo soli. Vedemmo allontanarsi fra le brume del Piave quella vittoria, che eravamo già certi di cogliere sulla fronte di Francia”. Questo scriveva Erich Ludendorff, capo di Stato Maggiore dell’esercito tedesco. Il ruolo italiano viene non di rado minimizzato da una certa storiografia internazionale, ma si tratta di un’ evidente e partigiana alterazione del portato storico. L’azione del Regio Esercito, lasciato quasi da solo a lottare contro le forze austro-tedesche, fu determinante per l’esito finale del conflitto.

Lampedusa e gli ombrellai abruzzesi sull’Oceano Atlantico, tanto tempo fa..

Ogni abruzzese, vecchio come giovane, porta con sé la memoria dell’emigrazione. E’ come un’ombra dai tratti mitologici, un’ombra che ti accompagna fin dalla più tenera età, fatta di fotografie antiche ritoccate con la tempera, bauli sciupati carichi di ricordi di lande lontane e parenti o amici di una volta ogni tanto, con un vocabolario variopinto di incertezza..

Ricordo una festa di paese, tanti anni fa, in cui veniva rappresentato il ritorno di un emigrante. L’attore arrivava con una valigia carica di cose che i suoi bambini guardavano con occhi sognanti: fazzoletti colorati, biglie, fogli di giornale..tutti oggetti che non servivano a nulla. Per molti, era proprio così.

Secinaro_Monumento_ai_caduti

L’Abruzzo aquilano rappresenta, insieme al Trentino ed al Friuli, l’unico forziere della memoria della Grande Guerra. I motivi sono, essenzialmente, due: il considerevole tributo di sangue pagato dalla regione nel conflitto (circa 30 mila morti) ed il massiccio numero di alpini inviati al fronte. In ogni borgo, paese e frazione, è possibile ancora oggi notare le scritte fatte sui muri delle case dai militari in partenza , i cenotafi e le targhe sulle dimore dei caduti, strade e piazze intitolate a Diaz, Cadorna, al IV Novembre, a Trieste, Trento e Gorizia (le città “irredente”) e monumenti come quello in foto, dedicati alla “Vittoria Alata” e recanti i nomi dei martiri del luogo. Ai quattro angoli di queste strutture, inoltre, sono spesso collocate delle ogive di cannone. Ogni IV Novembre, giornata che ricorda il trionfo su Vienna, le bande intonano la canzone del Piave e l’Inno nazionale, in un perpetuarsi di simbolismi e ritualità che costituiscono e delineano una stringa di connessione con un passato importante, pur nella sua efferatezza, ed oggi riposto nei cassetti della dimenticanza proprio da chi, un tempo cultore dei valori nazionali, ha subito una mutazione culturale, politica e ideologica a seguito dell’innaturale ed opportunistico apparentamento con le (micro)forze centrifughe che scuotono la nostra cultura collettiva. Personalmente feci in tempo a vedere le ultime vedove di quella tragedia ormai lontana, ancora e nei decenni velate di nero, in ricordo di quei mariti morti per chi adesso riempie la propria bocca ed il proprio petto con improbabili e sconnessi revisionismi astorici.

Kim Jong Grillo, i senatori abruzzesi e il nuovo “Grande Fratello”

“Ai senatori Gianluca Castaldi ed Enza Blundo del Movimento 5 Stelle.
Apprendiamo che nella seduta odierna del Senato sono stati discussi l’articolo 6 sul Patto di stabilità, e gli articoli 7 e 8 che contenevano interventi in favore del territorio aquilano colpito dal sisma nell’aprile 2009. Il Senato ha approvato la deroga al patto di stabilità per i territori colpiti dal… sisma, in Abruzzo e in Emilia con l’astensione dell’intero M5S, compresi voi senatori abruzzesi. Il Senato ha poi approvato anche l’emendamento che proroga il contratto dei precari della ricostruzione sino al 31 dicembre 2013 con voto contrario dei senatori 5 Stelle.
Chiediamo

-le ragioni di tale colpevole astensione e voto contrario

-le modalità di partecipazione messe in campo dal M5S per arrivare a questa votazione

Ritenendo gravi le posizioni da voi assunte, in assenza di qualsiasi forma di discussione con la popolazione aquilana, restiamo in attesa di una vostra sollecita risposta che, comunque, non potrà rimarginare in alcun modo la ferita che avete voluto infliggere a tutto il cosiddetto cratere sismico”

Aggiunta personale: può, un ordine di partito, condurre a tanto? Può avere una tale capacità di scavo e penetrazione nella coscienza dell’individuo? Perché, nel caso di specie, ad alzarsi in piedi sarebbe dovuta essere la coscienza.

Postilla storica: nel dicembre 1989, durante i giorni della rivolta a Timisoara, Ceausescu pensò di deporre il capo della Securitate, dell’ Esercito e il Ministro della Difesa (Vlad, Minea e Postelnicu), “colpevoli” di non avere rispettato i suoi ordini di reprimere nel sangue la protesta popolare (i tre si rifiutarono perché complici di un piano di destabilizzazione e sabotaggio del regime deciso ed attuato dalla CIA e dal KGB gorbacioviano dopo il vertice di Malta). Bene, nonostante la sua rabbia, il “Conducator” rimise la decisione al voto del CPEx (il comitato centrale del partito) che si espresse a difesa degli “imputati”, i quali rimasero ai loro posti (un militare “osò” addirittura criticarlo apertamente). Persino nella Romania di allora c’era un barlume di collegialità ed autonomia di giudizio.

“Ma ogni cosa era a posto, ora, tutto era definitivamente sistemato, la lotta era finita. Egli era uscito vincitore su se medesimo. Amava il Grande Fratello” – George Orwell, “1984”.