Beppe Grillo, Laura Boldrini e il ruolo della provocazione.


Quando il più grande imprenditore televisivo non dispone di una televisione

Strumento orizzontale, libero ed interattivo, il web non ha tuttavia ancora spodestato la televisione dal suo ruolo di “opinion maker” egemone e preferenziale, e quasi certamente non ci riuscirà mai, data l’irruzione di nuovi soggetti come le “i-Tv”, già diffusissime e popolari oltreoceano. Il gap tra web e tv si rende ancora più forte, percepito e percepibile in un Paese come il nostro, terzo in Europa a dotarsi di una connessione (grazie all’Università di Pisa) ma ancora ancora indietro rispetto alla media europea nelle statistiche sull’utilizzo e la diffusione degli strumenti dell’interazione virtuale. Scrive il blogger , giornalista e politologo Filippo Sensi a proposito del ruolo dei media durante l’ultima campagna elettorale: “Ci aspettavamo una campagna virale, creativa, come era stato per le amministrative di Milano, con la vittoria di Pisapia. Non è che non ci siano stati spunti e che la Rete non abbia giocato un ruolo crescente. Ma l’impressione complessiva, anche alla luce dei risultati del voto, è che non si sia giocata online la partita elettorale”.

Abilissimo comunicatore e profondo conoscitore delle dinamiche alla base del consenso, Beppe Grillo si rende conto che la sua sopravvivenza pubblica e politica non sarebbe possibile, senza un’esposizione televisiva adeguata; per questo, la provocazione, la forzatura e il pirotecnicismo dialettico sono gli strumenti mediante i quali il leader pentastellato ottiene non soltanto la visibilità sul grande schermo, ma un ruolo assolutamente dominante nell’universo catodico. L’avvitamento del dibattito televisivo sulla recente polemica con la Presidente della Camera dei Deputati, è la prova e l’esempio paradigmatico dell’efficacia di questo indirizzo tattico e politico.

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I pericoli delle “gabbie”

L’intelletto più ingenuamente raffinato potrà rimanerse scosso dinanzi alla scelta operata dal centro-destra di puntare con indefessa costanza, nei dibattiti pubblici, su personaggi come la signora Santanchè. Si tratta, però e a ben vedere, di una scelta/strategia di comunicazione molto sottile e, cosa più importante, vincente; la Santanchè (e “quelli come lei”) parlano infatti il linguaggio comune, quello degli “everyman”, trattando i problemi della gente comune. Ma non solo: più l’avversario sarà preparato, educato, capace e razionale, più la “pitonessa” riuscirà a spiazzarlo, a disorientarlo. In poche parole, a batterlo. Almeno nella truffaldina percezione che ci consegna l’immediatezza televisiva. Questo perché una piattaforma argomentativa improntata alla provocazione e disancorata, pertanto, dalla razionalità, volutamente sconnessa, sfaccaiatmente e sguiatamenrte antconvenzioanle, farà saltare i dispositivi di lettura, filtraggio, difesa ed attacco di chi, invece, si muove secondo le coordinate della logica riflessiva e del contegno ponderato.

P.s: nelle tecniche della disinformazione codificate dal politologo statunitense H. Michael Sweeney, la strategia “santanchiana” si può individuare nei seguenti punti:

; Elusione
Non vedo, non sento, non parlo
Indipendentemente da quello che sai, non parlarne – specialmente se sei un personaggio pubblico, un conduttore televisivo, ecc. Se non viene riportato, non è accaduto, e tu non devi mai affrontare il problema.

; Diventa incredulo e indignato
Evita di discutere questioni chiave e invece concentrati su problemi marginali che possano essere usati per dimostrare come l’argomento di altri gruppi o temi altrimenti ritenuto sacrosanto sia diventato invece criticabile. Questa è conosciuta anche come la mossa del “Come ti permetti!“.

; Metti in dubbio le ragioni
Distorci o amplifica ogni fatto che può essere utilizzato per insinuare che l’avversario agisce in base a secondi fini nascosti o altre faziosità. Questo evita che si discuta dei problemi e costringe l’avversario sulla difensiva.

; Distrai gli avversari con insulti e ridicolizzandoli
Questa è conosciuta anche come la tattica fondamentale “attacca il messaggero“, anche se altri metodi si qualificano come varianti di quell’approccio. Associa gli avversari a titoli impopolari come “pazzi“, “conservatori“, “liberali“, “di sinistra“, “terroristi“, “fanatici della cospirazione“, “radicali“, “fascisti“, “razzisti“, “fanatici religiosi“, “maniaci sessuali” e così via. Questo spinge gli altri a ritirarsi dal sostenerli per paura di venire etichettati allo stesso modo, e tu eviti di confrontarti con i problemi.

; Utilizza un fantoccio
Trova o crea un elemento credibile della tesi dei tuoi avversari che puoi facilmente abbattere per farti sembrare dalla parte della ragione e mettere in cattiva luce l’avversario. Oppure tira fuori una questione della quale puoi con sicurezza insinuare l’esistenza basata sulla tua interpretazione dell’avversario / degli argomenti dell’avversario / della situazione, oppure seleziona l’aspetto più debole delle accuse più deboli. Amplifica il loro significato e distruggile in un modo che sembri ridicolizzare, allo stesso modo, tutte le accuse reali e costruite, evitando inoltre che la discussione si sposti effettivamente su problemi concreti.

; Associa le accuse degli avversari con vecchi avvenimenti
Una tattica derivata da quella del fantoccio – di solito, in qualunque situazione dove si abbia grande visibilità, qualcuno all’inizio farà accuse sulle quali si può discutere o si è già probabilmente discusso – un tipo di investimento per il futuro qualora la situazione non fosse facilmente controllabile. Dove puoi prevederlo, crea un problema fantoccio e trattalo come una parte contingente del piano iniziale. Le accuse successive, indipendentemente dalla loro validità o dalla scoperta di nuovi elementi, possono poi di solito essere associate con l’accusa originale e liquidate come un rimaneggiamento della stessa senza bisogno di affrontare problemi attuali – ancora meglio se l’avversario è, o è stato coinvolto, con la fonte originale. Falsifica.

; Impressiona, contrasta e pungola gli avversari
Se non puoi fare nient’altro, rimprovera e schernisci i tuoi avversari e trascinali a risposte emotive che tenderanno a farli sembrare stupidi ed eccessivamente motivati, e generalmente rendono il loro materiale in qualche modo meno coerente. Nascondi le Prove

; Ignora le prove presentate, chiedi prove impossibili
Questa è forse una variante della regola “Fai finta di non sapere“. Senza tener conto del materiale presentato da un antagonista nei forum pubblici, dichiara che il materiale fornito è irrilevante e richiedi prove impossibili da ottenere per l’avversario. Allo scopo di evitare completamente di discutere dei problemi, potrebbe essere necessario che tu debba criticare e negare che i media e libri siano fonti attendibili, negare che i testimoni siano degni di fiducia, o anche negare che dichiarazioni fatte dal governo o altre autorità abbiano qualche significato o rilevanza.

Consiglio: sintonizzatevi su Giallo TV. O leggete un buon libro.

Corvo Abdul non avrai il mio scalpo


Dagli anni ’50-60 del secolo scorso, il cinema produsse quello che fu e viene definito “Western Revisionista”. Dopo decenni in cui i ruoli delle giubbe blu (i massacratori) e dei nativi (i massacrati) erano stati invertiti, gli “indiani” trovarono finalmente giustizia catodica: i crimini dei pionieri venivano sottolineati e denunciati, così come gli stereotipi sulle tribù. Anche durante e dopo la Guerra del Vietnam, il cinema e la televisione americani si occuparono di denunciare il conflitto e le sue mostruosità, politiche come militari (eravamo nella dorata epoca pre-Siddle Commision), mentre adesso, l’apparato mediatico, cinematografico e culturale “yankee” è tornato a farsi benzina della macchina della “colonizzazione culturale”. Gli scenari sono cambiati, ma la contrapposizione manichea e bicromatica resta la medesima: il “nemico” sono musulmani ed Arabi, dipinti sempre, comunque ed in ogni caso come terroristi, violenti, barbari, selvaggi, in un turbinio di stereotipi tanto forti ed efficaci nella misura in cui riescono a farsi semplificazione. Dall’altra parte, invece, abbiamo i Marines, le nuove giubbe blu, i nuovi figli di Custer. Sono loro gli “eroi” nuovi di film, telefilm e serie tv. Le torture, la prevaricazione, i bombardamenti “intelligenti” di scuole ed ospedali, sono tornati ad essere un dettaglio, come qualche decennio fa.

“Oggi c’è una forma di potere molto più sottile che è sostanzialmente il controllo del pensiero, il controllo delle idee. Questo è molto pericoloso perché io quando ho controllato le idee di tutti coloro che sono subordinati al potere, costoro pensano come il potere, lo applaudono, lo vogliono, lo desiderano, lo adorano. Perché pensano come lui. E poi il secondo grado, ancora più pernicioso, è il controllo dei sentimenti. Ci sono delle trasmissioni televisive che insegnano ai giovani come si ama, come si odia, come ci si innamora, come ci si arrabbia. Quando io ho determinato il controllo dei sentimenti, io ho il potere assoluto. Perché non solo penso come mi hanno insegnato a pensare i mezzi televisivi, ma sento come loro desiderano io senta. A questo punto sono arrivato alla completa gestione del mondo, su cui opero.”

“misperceptions”

Tra le armi più formidabili in dotazione alla propaganda politico-mediatica, si segnalano le cosiddette “misperceptions”, ovvero “false assunzioni”. Si tratta di notizie non vere o parzialmente non vere che il propagandista diffonde attraverso i mass media, in primis il mezzo televisivo. Durante la Seconda guerra del Golfo, in particolare, fu osservato come la percentuale degli americani convinti dell’esistenza delle armi di distruzione di massa irachene ( armi mai rinvenute) salisse vertiginosamente tra coloro i quali seguivano con frequenza la televisione; il dato arrivava all’80% per gli utenti del canale filo-repubblicano FOX News, mentre scendeva al 47% tra chi sceglieva di informarsi attraverso la carta stampata, disertando il tubo catodico. Questa statistica può consegnarci un postulato di fondamentale importanza: più televisione guardiamo, più ci esponiamo al rischio di incappare nelle “misperceptions” e di venire, di conseguenza, manipolati. In un servizio di RAI News24 andato in onda ieri pomeriggio sull’Afghanistan, il Presidente Karzai veniva schernito per aver sostenuto la tesi secondo cui esisterebbe un accordo tra gli USA e i Talebani allo scopo di generare un clima di terrore nel Pese così da far sembrare indispensabile la presenza militare statunitense. L’accusa potrà non essere fondata e rivelarsi in futuro come tale, ma certamente non appare priva di credibilità; non sarebbe la prima volta, infatti, che Washington decide di allearsi sottobanco con elementi di cui ufficialmente è avversaria se non proprio nemica (con i Talebani lo ha già fatto). Il taglio del servizio, però, andava nel solco della demolizione e dello screditamento “ad abundantiam” delle tesi del presidente afghano, dipinto e presentato sostanzialmente alla stregua di un paranoico visionario. Alle sue argomentazioni, il commentatore rispondeva senza la concessione del benché minimo beneficio del dubbio, totalmente appiattito su posizioni di stampo filo-americano. Il servizio si chiudeva poi con una battuta sarcastica nei confronti del leader di Kabul, battuta che ben poco aveva a che fare con la deontologia giornalistica. E’, questa, informazione? Pensiamoci bene, prima di teorizzare su Iran, Nord Corea, sistema bancario, sicurezza, crisi economica, magistratura e qualsiasi altra tematica “sensibile” o ritenuta tale.

Televisione….

Nei primi anni ’90 del XX secolo, i ricercatori e sociologi Robert Kubley (Rutgers University) e Mihaly Csikzsentmihalyi (University of Chicago) condussero uno studio riguardante gli effetti dell’esposizione televisiva sui più giovani. Basandosi su un campione di 1200 soggetti, i due osservatori approdarono alle seguenti conclusioni: “la televisione rende passivi, nervosi, incapaci di concentrazione; l’atto di mangiare richiede un impegno mentale ed una concentrazione maggiori di quanto ne richieda l’atto di guardare la televisione; inoltre, sebbene la gente pensi che la televisione offra svago e relax, in realtà essa peggiora il nostro umore”