Perchè la Grandi Rischi è sfuggita ad ogni rischio.La “scossa” della comunicazione

“Processo alla scienza”; questo il refrain, astuto, degli imputati e dei loro difensori, poi ripreso da quella fetta di pubblica opinione che commenta senza informarsi, senza approfondire.

No, non si trattava di un “processo alla scienza”, di un tentativo di tagliare le gambe a sismologi e geologi, ma di un processo ad un gruppo di singoli soggetti che erano andati al di là delle loro competenze e delle acquisizioni della loro disciplina, somministrando dosi massicce di rassicurazioni infondate e truffaldine, dal momento in cui, ad oggi, un evento sismico non è prevedibile.

Hanno vinto loro, alla fine. Quel mantra, ipocrita ed amorale, li ha condotti fuori dal pericolo, al ripario dal giusto castigo e dalla giusta sanzione. Nihil sub sole novum.
Mi sento bene, perché i tecnici della Commissione hanno detto che non accadrà nulla. Non ci sarà una grande scossa, in più la mia casa è nuova e sicuramente costruita come si deve. Domani, 6 aprile 2009, inizia una nuova settimana di lavoro; non vedo l’ora di rivedere i miei amici e colleghi, per riderci su..

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Never forget… Mai dimenticare

C’è una linea sottile che lega la disperazione di chi si gettava dalle Torri Gemelle tagliate in due dall’orrore e chi sperava ed ansimava, sotto le macerie di una palazzo a L’Aquila oppure ad Onna.

Lasciamo alle menti immature il relativismo etico, l’odio politico che si fa indifferenza.

La Bella Signora Ferita

Benché ferita ed offesa, L’Aquila conserva ancora il suo fascino antico e peculiare. Identico ma allo stesso tempo diverso, non è più elegantemente sfolgorante bensì elegantemente sinistro. Bella ma decaduta come una Yvonne la Nuit, orgogliosa e cocciuta testimone della sua antica potenza garbata guizzante da un a crepa o da un buco che mostrano un lampadario di cristallo impolverato, una madia di antiquariato, una scala in porfido.

Solo una cosa è lì, a squarciare ogni illusione di continuità, ad azzoppare i pensieri lunghi dell’ottimismo sensato; le uova pasquali di bar e ristoranti chiusi e sprangati, a terra, nello stesso punto in cui la scossa le catapultò quattro anni fa insieme alle caramelle, alle gomme americane, alle bottiglie di grappa. Testimoni di quel “dì di festa” che ci fu senza esserci, sono le putride carogne al sole dell’evidenza.

Finché non saranno consegnate al ricordo, la normalità non potrà dirsi di casa.

AQ

Quando la nostalgia si fa particolarmente indiscreta, monto sulla mia macchina spazio-temporale preferita, Google Earth, e faccio un viaggio di 600 chilometri più a sud, nello spazio geografico, e di quasi 30 anni più indietro, in quello cronologico. Percorro idealmente certi vicoli, torno in certi bar, premo il viso contro la vetrina di questa o quella confetteria e, soprattutto, torno nella mia vecchia casa, che non ho più. La tecnologia non mi permette di varcare la soglia, e allora aggiungo un po’ di fantasia emotiva a quella evanescente e stilizzata del mezzo tecnologico, ed entro. Mi sdraio sul letto e chiudo gli occhi, mettendo in moto la manovella dell’immaginazione, ancora, e del ricordo. Accade, però, che ad un tratto qualcosa interrompa le risate degli amici, la musica dell’orchestra sul palco in piazza e il vociare dalle bancarelle colorate; è LUI, perché anche LUI fa parte di me e di noi. Arriva, con il suo urlo innaturale perché così assurdamente naturale, e sporca, macchia, inquina e sabota il mio mondo, il mio sentiero di rose.

Si, perché, quel giorno, quella casa e quella terra/mamma avrebbero potuto farmi del male, se non fosse stato per la pigrizia di un viaggio evitato all’ultimo secondo.

Si, perché in quelle stanze non c’è solo il ricordo di una festa e delle feste, ma anche quello di bicchieri che cadono, di stoviglie che sbattono e di mattoni che ululano promettendoti di schiaffeggiarti con l’inferno.

Si, perché poco più distante c’erano le telecamere del mondo, di un mondo estraneo, puntate con invadenza su quella fila di involucri di legno, di legno scuro e di legno bianco.

Chi lo avrebbe detto? Chi avrebbe mai potuto soltanto pensarlo? L’orrore che rovista nel tuo bozzolo segreto ed irraggiungibile. O almeno è quello che pensavi.

Ognuno la vive e lo vive a suo modo; non esistono codici, schemi o sentieri preordinati. Sia rispettato il silenzio, comunque, anche quando si fa parola o lettera scritta.

Detroit fallisce: ma agli americani ci fanno la morale su L’Aquila

L’amministrazione comunale della metropoli di Detroit, capitale del mercato nazionale dell’automobile (nonché della criminalità urbana), dichiara fallimento. I giornali statunitensi, però, trovano ugualmente modo, tempo e “faccia” per impartire con pedanteria didascalica lezioni agli italiani sul post-sisma aquilano, proponendo e presentando scenari di resa al nemico, nel caso di specie la sorte, di rassegnazione e di irreversibile declino. Di nuovo, entra in scena il “Manifest Destiny”, prodotto del biorazzismo coloniale statunitense, declinazione e cardine primo del loro massificante fascismo culturale. Loro che hanno ancora intere porzioni di New Orleans devastate dell’uragano del 2005. Loro che non offrono nessun contributo a chi perde il proprio alloggio.

Senno del poi,senno del mai…

Il fondo commerciale di un amico presenta alcune carenze strutturali. Grattacapo apparentemente ostico e complesso, ma in realtà risolvibile nell’arco di un paio di mesi, con alcune misurazioni, la “chiusura” di qualche finestra e altri lavoretti di modesto cabotaggio. Basta, sarebbe bastato, davvero poco..

Il “terremoto” della Festa della Repubblica

Da aquilano di nascita e di “sangue”, ho trovato del tutto irricevibili le polemiche degli anni passati sull’inopportun­ità di celebrare il 2 Giugno nella capitale, per destinare i soldi (appena 2 milioni di euro) dell’iniziativa­ ai terremotati, abruzzesi ed emiliani. Si tratta di pretesti, provocazioni ed arieti attraverso i quali giungere a ben altri obiettivi, scardinando le basi del nostro stare insieme e della nostra comunità democratica nata dalla lotta al nazi-fascismo. Trovo tuttavia improprio che la Festa della Repubblica si caratterizzi per lo sfoggio di muscolarità militare e di retorica bellica, come avveniva ai tempi delle democrazie popolari (cui va il mio tributo per e sotto molti altri aspetti); più giusto e ragionevole sarebbe proporre un ventaglio di iniziative che rappresentino la nostra storia recente, il nostro cammino comune. Per il grigio-verde c’è il 4 Novembre.

Buon lavoro e buona fortuna,Dott. Cialente

Il primo cittadino aquilano, Dott. Massimo Cialente, ha “rinunciato” alla sua fascia tricolore, spedendola all’indirizzo del Quirinale, e ha disposto la rimozione della bandiera italiana dai pennoni del Comune (atto, a mio avviso, valicante il perimetro della legalità, oltreché del buongusto). “Noi qui stiamo letteralmente crepando”, è stato lo sfogo/motivazione di Cialente. Posso comprendere, Signor Sindaco, la difficoltà, estrema, che il Suo ruolo comporta, in special modo in una fase tanto critica per la nostra comunità, e per tale ragione Lei ha sempre potuto contare sul mio personalissimo appoggio e sostegno, in questi anni di dura, durissima lotta contro tutti e contro tutto. Questa sua ultima sortita, però, mi ha negativamente scosso e negativamente impressionato, e non posso, di conseguenza, fare a meno di ricordarLE quando nella famosa “biciclettata” di 1 anno fa Lei diceva e prometteva: “ci risaremo tutti, si ricamminerà sotto i portici, la città sarà molto più ricca, saremo arrivati ad 85 mila abitanti, ci sono 5 miliardi da spendere, prendo in mano tutto io”. Ora Lei dice che i soldi non ci sono. Anzi, ci sono, ci sarebbero, ma sono bloccati dalla nostra elefantiaca burocrazia. Ma è possibile se ne sia accorto solo ora? Possibile che un uomo intelligente, capace e, soprattutto, esperto della pubblica gestione come Lei, non fosse a parte di certe lacune e falle del nostro ingranaggio amministrativo? Perché, allora, tutte quelle promesse? Leggerezza? Eccesso di ottimismo? O cos’altro? Rimetta quella bandiera al suo posto, Signor Sindaco; non si arroghi diritti e prerogative che non Le competono. In un certo senso, Lei rappresenta anche me (aquilano emigrato) e rappresenta ancora quelle 309 persone. Buon lavoro e buona fortuna.

Sulla reale disperazione. Un abbraccio a Giuseppe Giangrande

Uno dei miei amici più cari è ipovedente, un timpano fracassato, problemi osteo-articolar­i, epatici e un’invalidità al 75%. Vive, da solo, in una casa sporca e fatiscente, con i 300 euro di pensione trasmessigli dalla madre defunta e non lavora, perché il sistema burocratico glielo impedisce, nonostante abbia diritto alla 104. Ah, dimenticavo: è terremotato. Eppure, nonostante questo arsenale di sventure (che la stragrande maggioranza di chi adesso mi sta leggendo non ha, per fortuna, mai vissuto, nemmeno in piccola parte), è ed è sempre stato nel novero delle persone più ottimiste e solari che abbia mai avuto l’opportunità ed il piacere di conoscere e frequentare. Sento parlare di “problemi”, per lo sparatore di Roma. Sento parlare di “disperazione”.­ E ne sento parlare a sua, irresponsabile,­ semplicistica, modoaiola e criminogena giustificazione­. Giuseppe Giangrande, il militare ferito in modo più grave, ha subito un’importante lesione midollare nel tratto cervicale; questo significa tetraparesi. Il tetraplegico non è “soltanto” impossibilitato­ all’uso degli arti, inferiori come superiori, ma perde la sensibilità dalla zona della lesione in giù, perde la capacità di termoregolazion­e, la funzione erettile ed è costretto ad espletare i propri bisogni fisiologici in modo meccanico (deve avere qualcuno che gli metta un dito nell’orifizio anale). Inoltre, nel caso in cui la sezione trasversa sia alta, vivrà il resto dei suoi giorni attaccato ad un tubo respiratore, messo in pericolo dal primo malannetto di stagione, di cui noi ci liberiamo con una spremuta e una spruzzata di Vicx Sinex. Pensateci, pensiamoci, prima di parlare di “problemi”, prima di parlare di “disperazione”,­ per un beota che getta la propria esistenza su un tavolo da gioco. Non facciamoci abbindolare dal filtraggio di una certa mitologia internetica che stravolge, in senso mistificatorio,­ la realtà. Pensiamo a chi è costretto a guardare il mondo da un occhio solo ed appannato..o dal letto antidecubito di una stanza d’ospedale, sognando la mano della propria moglie divorata dal cancro pochi mesi prima.

P.s: purtroppo, trova larghissima diffusione una mentalità assolutoria ed autoassolutoria­ nei confronti del “popolo” e da parte del “popolo”. Si tende ad attribuire pilatescamente la colpa e la responsabilità ultima di qualsiasi male alle istituzioni, come se esse fossero entità astratte, separate dalla gente, dal “popolo”, appunto. Lo Stato, le istituzioni, siamo noi, sono l’insieme del singolo, e lo sono, soprattutto, dalle grandi rivoluzioni liberali del ‘700 e dell’800. Siamo noi, con il nostro quotidiano, a fare la differenza, e solo noi possiamo imprimere quel cambiamento che tanto invochiamo. Una dimostrazione? Non frammentare il nucleo familiare in due, tre, quattro parti, per evitare la tassazione sulla casa, frodando così il fisco e, di conseguenza, il nostro prossimo. (esempio ormai “datato” ma esplicativo)

“Il popolo sopporta di essere derubato, purché non si smetta di adularlo” -Nicolás Gómez Dávila