Chiunque sia provvisto di un minimo di empatia e buonsenso non può che dolersi per la tragica fine di Fabrizio Quattrocchi e non può che rallegrarsi per la liberazione dei suoi tre colleghi, avvenuta molto verosimilmente grazie al pagamento di un riscatto (a differenza di quanto sostenuto da alcuni sui social). Tuttavia, la sua mitizzazione appare esagerata e fuori luogo, come appare irrazionale l’accostamento tra la sua vicenda e quella di Silvia Romano.
Quattrocchi non era infatti un operatore umanitario né un patriota che rischiava la vita per l’Italia, ma un “contractor” impiegato presso una società privata. Un mercenario, detto più prosaicamente e senza alcun intento denigratorio ma volendoci limitare alla realtà dei fatti. Un soggetto che in teoria avrebbe anche potuto mettersi al servizio di interessi antitetici a quelli del nostro e del suo Paese (quando fu preso in ostaggio stava lavorando per clienti statunitensi). Un’evidenza, questa, che la pur suggestiva frase pronunciata in punto di morte non può cancellare né ribaltare. Altra cosa un Nicola Calipari, funzionario al servizio dello Stato italiano che scelse di immolarsi per salvare una connazionale.