“Affaire” Crimea.Le ragioni di Vladimir Putin

Abitata fin dal I millennio A.C dai Cimmeri e successivamente contesa, occupata e dominata da Greci, Romani, Tauri, Bizantini, Genovesi, Ottomani e Tatari, la Crimea passò nel XVII secolo in via definitiva sotto la sfera d’influenza russa, quando fu conquistata da Pietro il Grande che vi pose come suo luogotenente il principe Potëmkin , il quale dette vita ad una massiccia campagna di russificazione della penisola.

Proclamata repubblica autonoma all’interno dell’URSS, la Crimea fu donata nel 1954 da Nikita Sergeevič Chruščëv , ucraino, all’allora Repubblica Socialista Sovietica Ucraina, dando vita a quell’interminabile contesa tra russi ed ucraini tornata ad acuirsi in questi ultimi giorni. Etnicamente, culturalmente e storicamente appartenente a Mosca, i Russi maltollerarono vieppiù il “regalo” di Chruščëv a Kiev perché letto ed interpretato (a ragion veduta) come una violazione di quel principio di equidistanza ed imparzialità che il potere centrale avrebbe dovuto applicare, in nome del dettato leninano, nei confronti di tutti i segmenti etnici e statali dell’ Unione.

E’ opportuno e necessario che il disappunto verso il Presidente della Federazione Russa per la sua rigidità nei confronti della comunità LGBT o, ancora, verso il dissenso interno, non faccia prevalere la componente più emotiva e manichea nell’analisi della complessa situazione che caratterizza l’ “affaire” crimeo e, più in generale, i rapporti tra Mosca e Kiev. Se qualsiasi  tentativo militare diretto teso a riportare la Crimea entro i confini russi parrebbe senza tema di smentita censurabile ed inaccettabile, non vanno tuttavia derubricate le esigenze e le aspirazioni di un popolo che, a maggioranza, vuole tornare sotto la bandiera che riconosce come propria e che ne rappresenta la storia, la cultura e l’essenza

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Sulla crisi ucraina

Ancestrale problema dei popoli dell’Est Europa (come di quelli baltici e della Finlandia), l’imperialismo russo, prima zarista, poi sovietico e adesso “putiniano”, è l’arché, lo snodo e la chiave di lettura della crisi che sta sconvolgendo l’Ucraina in questi ultimi giorni e mesi.

Terreno di caccia straniero, divisa e strattonata da e tra turchi, lituani, mongoli e polacchi fino al Trattato di Andrusovo che assegnava alla Russia zarista l’influenza sul Paese, l’Ucraina è stata da allora quasi ininterrottamente ammanettata a Mosca ed ai suoi disegni egemonici e strategici, siano essi di tipo economico come di tipo politico e militare. Insofferente al giogo russo e desideroso di spezzare le catene della sua ultramillenaria oppressione, il popolo ucraino cerca pertanto nell’ ombrello della UE e della NATO il mezzo per affrancarsi dall’invadenza del potente e scomodo confinante; benché sovente illogiche, pervasive ed invasive, le due grandi associazioni occidentali sono e rappresentano infatti l’unico sistema per consentire agli ucraini (ma non solo) di raggiungere la piena autogestione, creando tra Kiev e Mosca una barriera diplomatica e militare invalicabile per i russi e costringendoli a ripensare la loro intera politica nel versante Est del Vecchio Continente.

L’abbattimento della statua di Lenin a Fastiv non è, non deve e non dovrà essere letto quindi come un rigetto dell’ormai tramontato periodo comunista, bensì come il rifiuto di un simbolo russo (Vladimir Il’ič Ul’janov) e dell’ annessione sovietica del Paese (pace di Riga, 1921).