Capire una sconfitta

Non soltanto il calciatore, ma anche il tifoso di calcio avrebbe bisogno di andare a lezione di etica sportiva da chi pratica una disciplina da combattimento.

Perdere una partita non equivale alla perdita dell’onore, né proprio né della bandiera che si rappresenta. Non significa essere un “pagliaccio”, far parte di una comunità “inferiore”, ridicola o qualunquisterie simili. Abbiamo un avversario davanti a noi, deciso quanto noi a farsi valere. Per questo, dobbiamo tributargli il giusto rispetto.

Una sconfitta può essere l’occasione per una ripartenza, per una rinascita e quindi per nuovi successi (vedi 1966, 1974, 1986 e 2002).

Muhammad Ali è andato al tappeto, gli hanno rotto la mascella, lo hanno mandato all’ospedale. Ma è tornato più forte di prima. Ogni volta.

Da “Il decalogo del pugile”, punto numero 5: “Intelligenza è anche capire quando accettare una sconfitta. Insieme alla spugna avrai gettato le basi per un nuovo incontro”.

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Il tifo pericoloso e il mito irrazionale del “modello inglese”

Ogni volta in cui la delinquenza ultras torna a far parlare di sé, la terapia consigliata, sovrapponibile ad ogni circostanza, è la “ricetta” Thatcher , ovvero una serie di dispositivi ammantati di aura mitologica che l’ex premier britannico avrebbe varato per “spezzare le reni” alla terribile piaga hooliganistica.

Si tratta, ad ogni modo, di una posizione qualunquistica e concettualmente fragile, sostanzialmente per due motivi: i maggiori provvedimenti contro il tifo violento inglese furono attuati dopo il ritiro della “Lady di Ferro” dalla vita politica. 2: la differenza, enorme, tra i problemi determinati dalle curve d’oltremanica rispetto a quelle di casa nostra. Nato nella prima metà degli anni ’70, il fenomeno hooligan causò infatti migliaia tra morti e feriti (anche bambini), arrivando alla devastazione di impianti sportivi ed infrastrutture, in patria come fuori, e questo per quasi 30 anni (fino agli anni 2000).

Se ne deduce, di conseguenza, l’irragionevolezza di un accostamento di qualsiasi tipo tra le due realtà, anche per quel che riguarda diagnosi e rimedi.

Renzi il frainteso

Quel fideismo “evergreen” ma mai “cool”

Scienziato, storico, attivista e giurista, il russo Moisei Ostrogorski è tuttavia passato alla storia per la sua produzione come sociologo e politologo, divenendo, insieme a figure come Max Weber, uno dei padri della moderna Sociologia Politica. Estremamente rivoluzionarie per l’epoca e figlie del complesso assetto congiunturale innescato dell’ultima fase zarista, le teorie di Ostrogorski vedevano nelle masse una sentinella di importanza apicale ed imprescindibile per la tutela della democrazia; per questo, secondo Ostrogorski, era fondamentale che il popolo venisse istruito il più possibile, per tutelarsi dalla classe dirigente e per aumentarne, di conseguenza, la qualità ed il valore. Ma non solo: il sociologo russo individuava una corrispondenza tra l’immobilismo monolitico e dogmatico dei partiti, che assimilava a quello delle religioni, e tra il legame fideistico che si fonda tra credente e religione e quello esistente tra partito ed elettore.

Quest’ultimo tassello dell’indagine ostrogorskiana è utile ai fini della comprensione di quanto avvenuto ieri, dopo la gaffe del primo cittadino di Firenze. I suoi “followers” si sono infatti prodotti e profusi in improbabili quanto cervellotiche indagini, geografie, monitorizzazioni e mappature, al millimetro e al dettaglio, della frase pronunciata dal loro leader di riferimento sull’ex viceministro Fassina, analizzandola e sezionandola in base alle traiettorie della semantica, della semiotica, della sociosemiotica e della fonetica. Una vera e propria battaglia all’ultimo fendente, una novella Isso a colpi di accuse di complotti, interpretazioni e speculazioni teoriche sull’intonazione della voce nel momento “incriminato”, sull’uso del tal pronome e sul suo arché intenzionale; tutto, allo scopo di destrutturare le posizioni degli avversari del momento, che sostenevano la tesi, fondata (almeno agli occhi di chiunque possa contare su una sufficiente padronanza degli strumenti della comunicazione) della gaffe (è mancato all’appello soltanto il “masscult” del “è stato frainteso”). Uno scivolone piccolo e di scarso cabotaggio concettuale, seppur evitabile, nato dallo slancio giovanilistico di un uomo consapevolmente in crescita di consensi e successi, ma amplificato dalla strenua operazione di “maquillage” messa in atto dai “supporters” renziani, dimostratisi incapsulati in quell’equivoco concettuale segnalatoci da Ostrogorski ormai un secolo fa, al pari di quei pentastellati o forzisti tanto e troppo spesso canzonati e sottoposti alla pubblica ordalia per la medesima pulsione ultrastico-partigiana.