A lasciare perplessi, nella decisione di prorogare lo stato di emergenza, sono in prima analisi le motivazioni addotte dal presidente del Consiglio. Con il virus ormai in ritirata dal nostro Paese, come aveva annunciato qualche tecnico snobbato forse con troppa superficialità, si vuole cioè mantenere un dispositivo (ormai messo da parte in quasi tutta Europa) che consente di limitare le libertà personali senza renderne conto altri poteri dello Stato e solo per il timore di nuove ondate. Per ciò che potrebbe essere ma magari non sarà, insomma. Una sorta di “guerra preventiva”, che sembra riecheggiare i fasti non troppo fausti del quartetto Bush, Rice, Powell e Rumsfeld. Ma lascia perplessi anche la mancanza, ad oggi, di altre significative misure per contrastare un’ipotetica seconda ondata, come il rafforzamento delle strutture medico-sanitarie ed una legge-quadro che distribuisca i poteri di intervento alle autorità locali, cosa che ha suggerito il Presidente Emerito della Corte Costituzionale Cesare Mirabelli.
A questo punto non sembrano irrazionali alcuni interrogativi, anche volendo considerare la non solidissima tradizione democratica della prima forza di governo (perlomeno vedendo la sua gestione interna) e il suo legame con una s.r.l. attiva nella comunicazione e nella propaganda: quale uso verrà fatto dello stato di emergenza se dovessimo avere un “autunno caldo” come ipotizzato da Lamorgese? Quanto c’è di politico e quanto di tecnico-scientifico nella decisione di prorogare lo stato di emergenza? Cosa accadrà se il governo dovesse temere concretamente di perdere alle regionali di settembre?
Voltaire diceva che il pericolo più grande, per chi governa, è avere troppo consenso, perché può spingerlo a decisioni sbagliate prese sull’onda del momento; oltre a quello dei suoi elettori e simpatizzanti, il Conte bis può fare affidamento sulla paura dei cittadini che votano altrove, mantenuta alta da quotidiane iniezioni mediatiche di allarmismo e catastrofismo. Quale uso ne farà? Lasciarsi prendere la mano potrebbe ritorcerglisi contro, presto o tardi, e potrebbe arrecare danni incalcolabili e irreversibili al Paese.