Se l’uomo della strada diventa un ultras: i fanatismi ai tempi del Covid

rabbiaCapita spesso, a chi manifesti una linea critica verso una certa narrazione ansiogena, se non proprio alterata, del Covid, e verso le misure prese dal governo, di sentirsi accusare di negazionismo, egoismo, leghismo (non è un’offesa “ipso facto”), populismo, trumpismo (!) e persino di anti-patriottismo (quest’ultimo è un aspetto oltremodo inquietante, essendo un cliché usato dai regimi illiberali).

 

Si tratta, nello specifico, di una tecnica comunicativa e propagandistica conosciuta come “proiezione/analogia” (o, con qualche differenza, “attacca il messaggero”): spostiamo il focus del discorso da noi e dalle nostre tesi al nostro “avversario”, associandolo ad un’immagine per lui negativa e respingente e costringendo così alla difesa. Non di rado è un escamotage che viene in soccorso quando la nostra capacità argomentativa entra in crisi.

 

Se un simile atteggiamento può rientrare nella logica, pur discutibile, di chi fa informazione (la necessità di monetizzare e/o di sostenere la linea politica del proprio editore), del politico (legittimare le scelte della propria fazione) o persino dello scienziato (promuovere sé stesso e le proprie tesi) appare assolutamente irrazionale nell’ “uomo comune”.

 

Perché, in buon sostanza, il semplice cittadino dovrebbe trasformarsi in un ultras con la bava alla bocca, pronto a “sbranare” chi ha davanti, parlando di Covid? Al di là degli immancabili condizionamenti di bandiera, va detto che circostanze delicate come questa, con un enorme carico di stress emotivo, favoriscono la polarizzazione, elemento che interviene a complicare le cose e a rendere le soluzioni ancor meno agevoli.

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