Un triste “cadeau” della memoria ai tifosi partenopei: l’Assedio di Messina e le violenze borboniche.

Nato come costruzione politica fittizia ed avamposto aragonese nella penisola italica, il Regno delle Due Sicilie si segnalò non soltanto per l’estrema povertà ed arretratezza del suo sistema economico e sociale (punte di analfabetismo vicine al 100% in regioni quali Calabria e Basilicata, un impianto produttivo cristallizzato sul settore agricolo ed organizzato su base latifondistica in un’epoca che stava assistendo all’ esplosione industriale, un sistema bancario ridotto ai minimi termini, quasi totale assenza di servizi ed infrastrutture, occupazione, in Sicilia, delle prerogative dello Stato centrale ad opera della famiglie mafiose, flotta commerciale inadatta ai mercati internazionali, ecc) ma anche per la ferocia del suo sistema repressivo. Percorso da Sud a Nord da rivolte popolari continue e costanti (Palermo, Napoli, Reggio Calabria, Messina, spesso filo-sabaude), la corona borbonica non esitò a soffocare nel sangue e nella brutalità coercitiva le velleità democratiche e liberali del “suo” popolo. A questo proposito, è utile indicare all’attenzione il caso dell’ Assedio di Messina del 1848, pagina tra le più orribili dell’intera storia europea contemporanea. Penetrate in città dopo un accerchiamento durato diversi mesi, le truppe di
Ferdinando II (che da quel momento fu noto con l’appellativo di “Re bomba”) capitanante dal Generale Filangeri, si resero protagoniste di massacri, stupri e violenze di ogni sorta ai danni della popolazione civile incolpevole ed inerme, spingendosi addirittura a fare irruzione nelle chiese, dove molti dei malcapitati si erano illusi di trovare asilo e rifugio, per commettere i loro abomini. Drammaticamente celebri i casi dell’ Ospizio di Collereale e dell’Ospedale Civico , luoghi di sofferenza che non furono risparmiati dai miliziani borbonici, che brutalizzarono i malati, violentando, mutilando ed accecando, di nuovo ed ancora ed ancora. Molti furono i messinesi che cercarono di fuggire via mare, “assalendo” le imbarcazioni francesi ed inglesi alla fonda nel porto cittadino, tanto è vero che i responsabili delle diplomazie dei due Paesi chiesero al Filangeri di sospendere le operazioni militari in modo da consentire alle navi di offrire assistenza e ricovero ai fuggiaschi.

Sarebbe opportuno lo studio di queste dolorose pagine di storia meridionale da parte di chi, imbevuto di revanscismo miope e disancorato dal dettato documentale, inveisce negli stadi contro Bixio, Cialdini e Garibaldi. La borghesia più illuminata del Sud Italia collocava le proprie aspirazioni nella corona piemontese perché sapeva essere garanzia di libertà (come fu e sarebbe stato) a differenza di un Paese che conservava l’assolutismo monarchico di stampo 700esco quando  Vittorio Emanuele II veniva considerato soltanto un “Primus inter pares” da una delle carte costituzionali più avanzate del mondo occidentale.