Definendo il collasso dell’URSS “la più grande catastrofe geopolitica del XX secolo”, Vladimir Putin voleva alludere alla scomparsa di una patria per 25 milioni di suoi connazionali, trovatisi da un giorno all’altro all’interno di entità statuali nuove e non russe.
Dall’esigenza di tutelare questa comunità, percepita come minacciata, e da motivazioni di tipo economico-strategico, l’archè della nuova politica assertiva del Kremlino nello spazio dell’ex URSS (Ucraina, Georgia, Moldavia, ecc).
Lo scopo delle sanzioni nei confronti di Mosca è dunque quello di frenare o fermare, senza ricorrere al confronto armato, questo rigurgito neo-imperiale, proteggendo gli stati sovrani nati dal collasso del gigante socialista ed oggi messi in pericolo.
La scelta renziana di negoziare e rivedere le misure restrittive a danno della Federazione Russa ricalca quel “new thinking” brezinskiano-carteriano che, rigettando il precedente “linkage” voluto da Nixon e Kissinger e basato su un sostanziale ripiegamento degli USA sulla tema dei diritti umani nell’Est Europa, subordinava la distensione e gli scambi commerciali con Mosca ad un pieno rispetto, da parte dell’URSS, degli accordi di Helsinki sui diritti civili dei cittadini d’oltre-cortina (terzo “paniere” o “basket”) .
Magari una giocata troppo ardita, da parte del capo del governo italiano (da non sottovalutare, tuttavia, anche i grandi legami commerciali tra i due Paesi) ma forse capace di rendere i frutti sperati, soprattutto in considerazione delle gravi difficoltà patite in questo momento dalla Russia; pur non deponendo l’arma delle sanzioni ma scegliendo una linea più “morbida” e “flessibile” (del “bastone e della carota”), l’Occidente potrebbe, in buona sostanza, indurre Putin a rinunciare alle sue velleità espansionistiche senza che vengano macchiati ed intaccati la sua reputazione ed il suo consenso interno.