
« Non c’è bisogno di gridare, compagno Ligačëv, né di farmi la predica. Non sono un ragazzino e questa è la mia posizione di principio. Devo dirvi, compagni, in tutta sincerità che è difficile lavorare quando invece di un aiuto amichevole concreto ricevi ramanzine o bruschi richiami. A questo proposito, compagni, sono costretto a pregare il Politburo di liberarmi dalla meschina tutela di Raisa Maksimovna [Gorbačëva] , dalle sue telefonae e lavate di testa quasi quotidiane […]. Si parla molto, compagni, ma le cose non procedono bene e per il momento l’uomo della strada da tutti questi discorsi sulla perestrojka non ha ricavato alcun vantaggio […] E’ ora di passare dalle parole ai fatti, di fare uso del potere. E noi il potere lo abbiamo, ci è sta affidato dal popolo e se non lo usiamo per difendere i veri interessi del popolo dagli ingordi, perché ci perdiamo nelle chiacchiere, allora la nostra perestrojka non porterà ad alcun risultato. »
Così Boris El’cin il 21 ottobre 1987, al Plenum del Comitato Centrale del PCUS
Sebbene questo intervento fosse costato ad El’cin l’obbligo di una pesante autocritica pubblica al gorkom (comitato cittadino) di Mosca dell’11 novembre e l’espulsione dal Politbjuro (di cui era membro supplente) e dal Presidium del Soviet Supremo, pochi mesi dopo riconquistò la scena, tornando a tuonare contro i “burosauri” del PCUS nel corso di un’intervista alla BBC del giugno 1988 e della XIX Conferenza del PCUS del giugno-luglio dello stesso anno. A metà maggio, inoltre, El’cin era stato difeso pubblicamente dall’amico Mikhail Poltoranin, direttore del prestigioso quotidiano “Moskovskaya Pravda” e in quell’occasione intervistato dal “Corriere della Sera”. Dopo la seduta del 21 ottobre 1987 e prima della sua temporanea defenestrazione, “Corvo bianco” era invece stato nominato “Primo Vice Presidente del Comitato Statale dell’URSS per l’Edilizia col rango di Ministro dell’Unione Sovietica”.
Nonostante il suo “siluramento” avesse preoccupato gli osservatori internazionali, già pronti a paragoni con gli anni ’30, il fatto avesse avuto il coraggio di simili dichiarazioni e la sua rapida “riabilitazione” (va detto che El’cin serviva comunque a Gorbačëv come alleato contro i conservatori del partito e dell’eserecito) attestano un livello di “democrazia” ed un’ “apertura” impensabili nell’ufficialmente democratica Russia odierna, nonostante l’URSS del tempo fosse invece uno stato totalitario.
Nota: El’cin si era scagliato anche contro Eduard Ševardnadze, potentissimo Ministro degli affari esteri dell’URSS e amico di Gorbačëv, accusato di lassismo e inconcludenza in merito alla questione afghana (che secondo il futuro presidente russo andava risolta con l’immediato ritiro delle truppe)