Il 14 e il 15 novembre 1990, Michail Gorbačëv, il vice-segretario del PCUS Vladimir Ivaško e i segretari del Comitato centrale Janaev, Kupco e Falin, si incontrarono a Mosca con i rappresentanti degli ex partiti comunisti dell’Est Europa: per la vecchia SED (ora PDS) tedesco-orientale c’erano Gysi, Willering, Mahlow, Eettinger e Modrow, per la Bulgaria Kjučukov e Marinov, per l’Ungheria Thürmer, Koyi, Namikai e Segy, per la Polonia Kwaśniewski, Milller, Iwiński e Olesky (oltre ai dirigenti di altre tre organizzazioni), per la Cecoslovacchia Kanis, Waiss e Ledl e per la Romania un semplice osservatore. Mancavano i rappresentanti dell’unico partito marxista-leninista ancora al potere in Europa a parte il PCUS, ossia il PKSH albanese, e quelli della ex Lega dei Comunisti jugoslava.
Nonostante un ottimistico comunicato della TASS e l’indubbia importanza dell’evento, Gorbačëv sembrò tuttavia dare scarso peso al meeting con i leader dei vecchi partiti “fratelli”. In quella fase storica, occorre ricordarlo, i vertici sovietici erano infatti più che altro impegnati a tessere nuove e più strette relazioni con l’Occidente e a guardare al loro interno.
Aver relegato in secondo piano quanto accadeva ad Est, in quello che era stato il “cortile di casa”, fu una scelta di cui Mosca si sarebbe pentita in futuro (già con El’cin) e i cui effetti si fanno sentire ancora oggi e soprattutto oggi.