L’importanza della Turchia nella nuova Guerra Fredda e il fantasma dell’utopismo carteriano

Quando giunse alla Casa Bianca nel 1977, Jimmy Carter mise tra i suoi principali obiettivi la ricostruzione della credibilità morale degli Stati Uniti (gravemente danneggiata dopo il Watergate), attraverso un ritorno all’etica jeffersoniana ed allo spirito dei padri fondatori. Questo “new thinking” prevedeva, in politica estera, l’abbandono del realismo e del “linkage” nixoniani e la rivisitazione dei rapporti con i regimi dittatoriali alleati degli USA.

Osteggiato dal consigliere per la sicurezza nazionale, il pragmatico Zbigniew Brzezinski, tale indirizzo contribuì infatti all’indebolimento e all’isolamento di Washington, proprio nella fase di maggior slancio e assertività di Mosca nello scacchiere internazionale.

Benché la condotta erdoganiana possa suscitare più di una perplessità in Occidente, lasciare andare (magari ad Est) un alleato ed un Attore fondamentale come la Turchia sarebbe uno sbaglio imperdonabile, soprattutto oggi, con lo spettro di una Terza Guerra Fredda con il Kremlino. Il recupero di un certo, prudente, realismo, potrebbe dunque rivelarsi la strada più saggia, anche in considerazione della transitorietà del “regime” di Erdogan.

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