“Putin scelga tra Urss e bene della Russia”. Così Barack Obama al G7 di Krun, sulla condotta internazionale del Kremlino.
Un accostamento lucido e puntuale, quello tracciato da Obama tra la Russia odierna e l’URSS. Pur senza avere nemmeno lontanamente la potenza di cui disponeva prima del 1992, Mosca condivide infatti con il passato sovietico la fisionomia di “colosso d’argilla”, forte in apparenza grazie al suo “hard power” ma intrinsecamente debole e, dunque, destinato all’implosione proprio come avvenne dopo gli anni del congelamento brezneviano.
Nonostante la popolarità acquisita sia sul fronte interno che su quello esterno in ragione della scelta muscolare del suo presidente ( e qui sarebbe utile tornare alle teorie leboniane), la Russia sta soffrendo in modo decisivo per le sanzioni imposte dall’Occidente; per un’economia ancora in via di sviluppo, poco diversificata (il 67 % delle esportazioni russe sono in idrocarburi), scarsamente liberalizzata ed arretrata da un punto di vista tecnologico, i rapporti di buon vicinato sono infatti fondamentali per attirare investimenti stranieri, creare fiducia sui mercati e , nel caso russo, ricevere quella tecnologia occidentale che tanto serve agli apparati produttivi del Paese.
Il crollo del rublo (ai minimi storici sul dollaro dal crack del 1998), l’aumento dell’inflazione, il calo del PIL (per la prima volta dal 2000 dietro quello dell’Eurozona), la fuga di capitali stranieri (70-80 miliardi di dollari ) e la massiccia emigrazione giovanile sono solo alcune delle conseguenze che la Federazione sta pagando per la miopia strategico-politica del suo capo (aumentare il consenso interno) e per la sua anacronistica velleità proiettiva in chiave sciovinistica e contenitiva.
Proseguendo su questa strada, l’ex ufficiale del KGB dissiperà presto i risultati ottenuti negli anni 2000, condannando l’ Orso ad uno scenario, umiliante e catastrofico, speculare a quello dell’era yeltsiniana.