
Qualora l’ultima sua mossa non sia stata genuina ma abbia risposto, completamente o in parte, ad una strategia di “marketing”, Fedez potrebbe aver commesso un errore, forse gravissimo e fatale.
Se il suo scopo era infatti far breccia in quella parte d’Italia (collocata più che altro a sinistra) che lo snobbava o malgiudicava e/o ridimensionare gli aspetti più corrosivi e meno convenzionali del suo personaggio, sarebbe infatti bastata l’adesione della scorsa estate al mainstream emergenziale e “chiusurista” sul Covid. Pure il sostegno al DDL Zan non sarebbe stato, di per sé, controproducente (anzi), se manifestato in maniera più sobria e pacata.
Con questa rottura e con questa svolta radicale, Fedez si va invece a legare ad un gruppo di potere che storicamente non gli appartiene e che è, sì, dominante, ma solo per una serie di elementi fortuiti e soprattutto in via temporanea, con il rischio di essere travolto e annientato alle prossime elezioni, o comunque in un futuro molto prossimo.
Anche la potenza di fuoco dell’infuencer/rapper andrà peraltro riconsiderata; il peso dei social viene spesso sopravvalutato dai non “addetti ai lavori” e 2 milioni di fan e follower, ai quali andranno tolti gli inattivi e i fasulli, sono pochi se confrontati ai numeri di una qualsiasi televisione nazionale (un programma di seconda fascia arriva senza problemi a 2 milioni di telespettatori). La rete è uno strumento per arrivare alla ribalta televisiva, perché il piccolo schermo è il media ancora egemonico, in assoluto.
Non va dimenticato, per concludere, che un conto è fare l’infleuncer per un marchio di boxer o di costumi da bagno, altra cosa e conoscere la politica e la comunicazione politica, terreni molto più accidentati e insidiosi.