La sinistra e l’equivoco Bill Gates, tra tecno-capitalismo e morale protestante

“Ci siamo arresi alla seduzione dei techno-capitalisti figli del deserto: sperimentatori e altruisti, artisti innovativi, visionari che vogliono rendere il mondo un luogo migliore grazie alla tecnologia, venditori che regalano prodotti. Nessuno di costoro può essere un pericolo, dobbiamo aver pensato. Nessuno mette a rischio nulla. Lasciamoli fare”; in questo passaggio Zamperini* si riferisce soprattutto ai creatori dei grandi social network e a Steve Jobs e Jeff Bezos, tuttavia ci offre anche la chiave di lettura per capire un fenomeno altrimenti difficile da spiegare come l’ “infatuazione” di una certa sinistra per un imprenditore multimiliardario, un grande capitalista e un campione della cultura della competizione qual è Bill Gates.


Al pari dei “ragazzi” di Burning Man e molto prima di loro, pure il fondatore di Microsoft ha infatti giocato (sebbene non non manchi un substrato di verità) sull’immagine del “nerd” – cioè dell’outsider – ribelle, anticonvenzionale e venuto dal nulla, teorico della condivisione e critico del capitalismo (ricorderemo i commenti entusiasti sotto una foto che lo ritraeva vestito in modo del tutto anonimo mentre faceva la fila per un hot-dog).


Un’immagine che però non corrisponde e non potrebbe corrispondere alla realtà, non solo per lo status di Gates ma anche perché lui, come gli Zuckerberg, i Jobs, gli Anderson o i Bezos, sono la massima espressione di quello spirito individualista radicato nella cultura e nella storia degli USA fin da pionieri, individualismo rivolto al confronto che si fa lotta per imporsi (senza dubbio debitore della morale protestante), antitetico ad ogni approccio di tipo socialista e di cui fenomeni quali Burning Man sono, appunto, una tra le molte rappresentazioni.


Non è sbagliato dire che l’idea di certi agiografi di Bill Gates sia distorta come quella dei suoi “iconoclasti”, dei complottisti. Entrambi “girano il sugo”, convinti di aver afferrato la verità su di lui e sugli altri.




*Nicola Zamperini, “Manuale di disobbedienza digitale”



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