( Di CatReporter79)
Molto frequente nell’elettorato italiano, la scelta “menopeggista” non è quasi mai come viene presentata da chi la effettua, ossia un voto cosiddetto “d’impulso” o frutto della delusione per gli altri partiti (“controdipendente”)*, ma una postura ideologica e partigiana ben definita, netta e fidelizzata.
Nel momento in cui viene negato in modo aprioristico e radicale ogni merito e risultato alle altre forze e agli altri leader (“perché, gli altri cosa hanno fatto?”, “perché, gli altri sono migliori?”, ecc) si compie infatti un procedimento irrazionale, del tutto ascrivibile all’ideologismo ed alla sua emotività.
Si tratta molto spesso di un voto conservatore o populista, camuffato con il criterio menopeggista per sottrarsi ad una certa demonizzazione messa in atto dalla cultura di sinistra verso quel genere di posizionamento. L’elettorato conservatore o populista tende inoltre ad essere meno coinvolto, elemento che lo induce ad una minore esposizione.
*in un saggio del 2006, i politologi italiani Antonio Valente e Alessandro Amadori hanno diviso il voto in tre macrocategorie:
-solido
-razionale
-di impulso
Il voto “solido” è legato a convinzioni di tipo ideologico e di militanza ed è difficilmente modificabile
Il voto “razionale” si divide invece a sua volta in due sottogruppi:
-controdipendente, scaturito dalla delusione per i partiti e gli schieramenti votati in precedenza. Matura dai sei ai dodici mesi prima delle consultazioni
-di interesse, motivato da un’analisi dei programmi e dei leder in campo
Il voto di “impulso” è anch’esso diviso in due sottogruppi:
-last minute, ovvero la scelta di quello che l’elettore considera il meno distante dai suoi orientamenti (il cosiddetto “meno peggio”)
-di cabina, legato a fatti recenti e contingenti. Matura circa dieci giorni prima delle elezioni
Nell’attuale epoca post-ideologica, i voti dei “last deciders” vengono considerati imprescindibili per la vittoria finale