Nel 1989, il Soviet Supremo dell’Estonia bocciò all’unanimità, su richiesta del locale “Fronte Popolare”, il progetto di rifoma costituzionale gorbacioviano. Il pollice verso fu dunque anche dei rappresentanti delle minoranze russa, bielorussa e ucraina. Nella stessa seduta, il parlamento estone si espresse inoltre sulla dichiarazione di sovranità di Tallin-Eesti all’interno dell’URSS.
L’oggetto del contendere erano gli emendamenti alla costituzione brezneviana del 1977, con i quali lo Stato centrale aumentava il proprio potere in materia economica, fiscale, ambientale e per quel che riguardava le libertà civili e gli interventi di carattere repressivo.
Un altro problema era la nuova legge elettorale, che di fatto avrebbe escluso le formazioni identitarie dal Congresso dei Deputati del Popolo poiché i nuovi eletti sarebbero stati scelti dal PCUS e dalle organizzazioni di massa.
Per indebolire il “Fronte Popolare” estone e destabilizzare i movimenti patriottici locali (descritti come fascisti, nazisti e sciovinisti), il Kremlino decise allora di creare un “Fronte Internazionalista” composto tuttavia dai soli cittadini di etnia slava o non-baltica. Un escamotage che Mosca avrebbe usato anche in futuro e anche dopo il 1991, ad esempio nel Donbass.