
Il caso del M5S che pur sposando ufficialmente una linea atlantista e pur sostenendo, come primo partito, un governo attestato su posizioni atlantiste ed un “premier” convintamente atlantista, sconfessa e quasi espelle il proprio ministro degli Esteri perché considerato troppo vicino agli USA, alla UE ed alla NATO, è solo all’apparenza grottesco, irrazionale e paradossale.
Destino di tutte le compagini che acquisiscono forza e consensi vantando un’alterità politica e morale, è infatti perderla, con pesantissime conseguenze in termini di voti e credibilità, una volta entrati nella “stanza dei bottoni”, una volta alle prese con le difficoltà, gli obblighi e i limiti derivati dalla gestione del potere, nel caso di specie le alleanze internazionali e gli equilibri euro-atlantici e globali che impongono al Movimento scelte sgradite a ciò che rimane del proprio elettorato (l’altenativa è invece condannarsi ad un’opposizione perenne, dunque alla marginalità, per preservare tale presunta diversità/superiorità).
Nota: la Lega è in questo senso un’eccezione, perché se vero che all’inizio prendeva soprattutto voti di “protesta” (contro il malcostume pentapartitista) è altrettanto vero che si trattava e si tratta di una formazione localistico/identitaria e di destra, quindi con una forte caratterizzazione ideologico-politica che invece manca al M5S. Da qui Matteo Salvini è ripartito per trovare quei temi (prima il padanismo e dopo la sicurezza e la lotta all’immigrazione) che gli hanno consentito di far risalire la china al Carroccio (anche grazie ad un’esposizione mediatica anomala e per questo al centro di interrogativi e speculazioni).