Il vicolo cieco del M5S

Con la defezione di Luigi Di Maio (che si era solo limitato a seguire gli indirizzi del governo di cui faceva e fa parte), il M5S si trova davanti ad uno scenario complicatissimo. Non può infatti continuare ad avallare il sostegno militare all’Ucraina, ora che non ha più il proprio ministro degli Esteri come alibi e giustificazione, ma pure lo stesso sostegno a Draghi, attraverso il metodo del dentro-ma-contro, si è rivelato controproducente, come da responso delle ultime amministrative.

Una rottura rischierebbe tuttavia di condannare il Movimento alla marginalità (non avrebbero mai la copertura mediatica del 2013) e di alterare i rapporti con il PD e i nuovi alleati, e Conte sa bene che, ad oggi, correre da soli non è una strada praticabile, anche perché non è pensabile, e questo in ogni caso, un ritorno alle origini, dopo quattro anni di “contaminazione” con il potere e il governo e con a capo l’uomo dei DPCM e dei lockdown, dell’appiattimento alle linee sanitarie più rigidamente ufficialiste.

Ciò che resta del M5S si trova quindi in un “cul-de-sac”, con la sola e ragionevole speranza di contenere, per quanto possibile, i danni. Una parabola, lo ripetiamo, prevista e prevedibile, guardando al destino di tutti i partiti e i movimenti dell’ “alterità” prima di loro.

Nota: anche sul limite dei due mandati i grillini dovranno adesso mantenere fede alla loro ortodossia, non essendoci più un Di Maio da accusare di voler restare “attaccato alla poltrona”

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